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Perché “questa cosa della blackface” del programma Rai fa malissimo all’Italia

In "Tale e Quale Show" sulla Rai si imitano cantanti dipingendosi la faccia più scura: l'italiano di origine africana Abi Zar spiega l'offesa razzista

Lara LagobyLara Lago
Perché “questa cosa della blackface” del programma Rai fa malissimo all’Italia

Roberta Bonanno truccata canta: "Love on top" di Beyoncé nel programma Rai Tale e Quale Show 25/10/2019

Time: 8 mins read
Abi Zar, italo-ghanese, laureato in giurisprudenza
Abi Zar, italo-ghanese, laureato in giurisprudenza

Quando Abi diventa triste smette di parlare, dice “allora”, prende un bel respiro profondo e poi, con tutta la pazienza che ha, cerca di spiegarti perché è diventato triste. Me lo vedo che gesticola con le mani anche mentre mi scrive un messaggio su Whatsapp. Vedo il suo “allora”, vedo il suo respiro profondo.

“Questa cosa della blackface del programma della Rai l’ho presa proprio male sai”, mi scrive.

La “cosa della blackface del programma della Rai” è un’abitudine del programma Tale e Quale show, in onda tutti i venerdì in prima serata su Rai 1, di far interpretare a dei cantanti italiani bianchi artisti internazionali, anche neri. Capita così che, per impersonare Beyoncè, Roberta Bonanno venga truccata con la faccia e il corpo con un cerone più scuro. La comunità afrodiscendente insorge e tanta gente italiana non riesce nemmeno a capire per cosa.

Una situazione paradossale, dove chi non vive il razzismo sulla propria pelle deve solo farsi da parte e ascoltare. Io scelgo di ascoltare Abi Zar, il primo assistente di volo nero italiano di una famosa compagnia aerea inglese, che da sempre si batte per la comprensione di fenomeni dolorosi a chi non ne ha nemmeno cognizione di causa.

“La blackface è un fenomeno che va capito per comprenderne la gravità. Credo che il problema iniziale sia proprio questo: la mancanza di studio, e di conseguenza, di consapevolezza riguardo a questa pratica, e ciò che più in generale costituisce razzismo – racconta Abi – Dunque, la blackface ha origini negli Stati Uniti del dopo guerra. Intendo la guerra civile della secessione che ebbe come causa principe l’abolizione della schiavitù. Gli attori di teatro iniziarono a dipingersi la faccia e a colorarsi le labbra per interpretare i neri solo al fine di de-umanizzarli e demonizzarli. C’è, tuttavia, un altro momento storico che considero fondamentale nella diffusione della blackface. Nel 1915 usciva il film “Nascita di una Nazione”, una pellicola che ha avuto un successo impressionante e che ha rappresentato il risorgimento del Ku Klux Klan. Nel film attori bianchi si dipingevano la faccia per interpretare neri assassini e stupratori che incarnavano i peggiori incubi di ogni essere umano. Da qui ha acquisito un’accezione ancora più negativa e così è rimasta fino ai giorni nostri.
Questo è come nasce e si sviluppa la blackface che non potrà mai assumere significati innocenti e innocui perché fin dalle origini ha sempre e solo avuto uno scopo profondamente razzista e denigratoria.
Vedere la blackface espressa in televisione è prima di tutto umiliante. Uno dei principi dello Jus Cogens è proprio il diritto alla dignità. Un principio dunque inalienabile e sacro che la blackface calpesta in tutti i sensi. È una presa in giro della mia persona e di tutti quelli come me. È sintomo di una società che ha fallito nel riconoscere la diversità e nel darle valore. Vedi la blackface in televisione e ti senti ferito dentro, come se oltre lo schiaffo, ti avessero sputato dentro. È una mancanza di rispetto ed un atto denigratorio esplicito difficile da capire e accettare per chi è nero”.

Come mai la blackface ti “offende” più di altri atti di razzismo? 

“È complicato classificare quanto un atto di razzismo faccia male, perché in genere dipende molto da chi lo subisce. La blackface però credo si ponga su un altro livello, pari ai cartelli “vietati ai neri” di una volta. È un’affermazione aperta e plateale di un soggetto che si mostra ad un pubblico consapevole di avere un privilegio e convinto di essere superiore. Un soggetto che sa che finito lo show si pulirà la faccia e tornerà ad essere una persona con la pelle “normale”. Già perché ancora di questo si parla: la pelle bianca come quella normale, in coerenza con la logica eurocentrica e colonialista. La blackface ti costringe ad affrontare il problema del razzismo. È un atto pubblico che va al di là del singolo pensiero di una persona perché il pubblico che alla fine applaudirà è probabilmente la parte principale del problema. 
La blackface mi offende perché porta con sé la serenità o sfrontatezza di un atto così grave di fronte ad un pubblico che approva. È come subire un atto di razzismo non da una sola persona ma da una piazza intera nello stesso momento. Capisci che è diverso?”

Cosa rispondi a chi dice che a Tale e Quale show volevano solo imitare delle cantanti famose, quindi fare una sorta di omaggio/tributo agli artisti neri? 

“Io parto sempre con il beneficio del dubbio e non accuserei mai una persona o un programma intero di essere razzista a cuore leggero. Per me è un’accusa grave e le parole vanno misurate.
Tuttavia occorre dire che il non avere intenzioni razziste non salva nessuno dal commettere atti di razzismo. Riprendo la mia prima affermazione sulla mancanza di studio e consapevolezza. Se io voglio imitare una cantante al solo scopo di omaggiarla non ricorro ad una pratica che ha da sempre fini estremamente deplorevoli. Cado in contraddizione e il mio atto sarà considerato razzista anche se io come persona non lo sono. Succede molto più di quello che si pensa. Persone mosse da buone intenzioni che senza rendersene conto, nel quotidiano, dicono o fanno cose razziste. Su una cosa così grave come la blackface, però, è impossibile ammettere attenuanti.
Certo che un bianco può imitare un nero e viceversa, ma vi immaginate un nero che con del gesso si dipinge la faccia per cantare Celentano? Fermativi e prendetevi 15 secondi e provate davvero ad immaginarlo. Ora sono io che vi chiedo se sarebbe così normale e divertente. Non condanno di sicuro la volontà di imitare ma sarebbe stato più dignitoso limitarsi a cantare imitandone la voce ed indossandone i vestiti.”

Abi accanto a un graffito di Malcom X

Cosa rispondi a chi dice che in questi giorni la comunità black ha avuto atteggiamenti di vittimismo e che si sta esagerando sul tema?

“Nessun vittimismo e nessuna esagerazione.
Questo purtroppo è il risultato di anni di silenzio mentre certe cose venivano fatte e dette. Alla generazione dei miei genitori importava solo lavorare e riuscire a mantenere la famiglia. Non c’era voglia né interesse a ribellarsi o creare consapevolezza.
Il punto è che non sta ai bianchi (o a chiunque non possa subire razzismo per il colore della pelle) dire ai neri cosa sia o non sia razzismo in generale, figurarsi in un caso come quello della blackface.
È fastidioso questo continuo negare o minimizzare i casi di razzismo da parte di chi non ha gli strumenti e la sensibilità per capirne l’impatto su chi lo subisce.
La gente non è abituata ad avere un confronto con una controparte in questi argomenti. Tutte le volte che si parla di razzismo in televisione, nei convegni, o in generale ad un pubblico, gli oratori sono in stragrande maggioranza bianchi, un po’ come vedere una sfilza di uomini ad un convegno per i diritti delle donne. Dunque si grida al vittimismo ogni qualvolta si alza la voce dall’altra parte. Sappiate che quella voce sarà sempre più alta perché non si può più accettare in silenzio che continuino ad accadere certe cose.”

Cosa diresti agli autori di Tale e Quale show? 

“Sono tre le cose fondamentali su cui vorrei che gli autori del programma riflettessero. La prima: il fatto di non avere intenzioni razziste non giustifica ciò che è stato permesso di fare nel programma. Non si può ignorare il significato che la blackface ha.
Prendiamo la svastica ad esempio, grande simbolo di vita e dell’unione tra religione e natura. Un simbolo di buon augurio. È, con ogni probabilità, uno dei primi simboli usati dall’uomo per rappresentare un moto di rotazione intorno ad un asse immobile, usato da diverse civiltà in tutto in globo. Come ben sappiamo, tuttavia, la nascita del Reich ha dato un significato profondamente diverso a questo simbolo ed ora non è ammissibile che compaia in luoghi pubblici senza conseguenze. Viaggiando è possibile trovarli in templi antichi situati in India e in Giappone ma ad oggi il suo uso non è di sicuro più riconducibile alla vita, bensì alla morte.
Ora come si può pensare di ignorare il significato della blackface quando addirittura non c’è nemmeno mai stato un significato positivo? Quando le conseguenze di ciò che è accaduto sono tuttora tangenti? Credo che la risposta sia semplice.
L’altro punto su cui riflettere è la necessità di dare spazio alle seconde generazioni. Gli autori del programma sono arrivati a permettere a cuore leggero un atto del genere anche perché non c’è rappresentanza dei neri. Nelle televisioni e nei programmi italiani è raro vedere talenti non caucasici. Ragazzi non bianchi di talento ce ne sono e tanti ma non hanno spazio e quelle poche volte che ce l’hanno vengono riempiti di insulti, nella musica come nello sport. Perché non c’era nessun nero ad imitare Beyoncé ed avete voluto ricorrere addirittura alla blackface? 
Terza ed ultima cosa sentitevi pure liberi di far imitare chiunque vogliate, occorre però avere rispetto, sensibilità e consapevolezza. Un’imitazione può essere eccellente senza bisogno di pitturarsi la faccia. Esistono persone non bianche che vivono in Italia, che fanno parte del tessuto sociale e che sono italiani a tutti gli effetti. Non le si può ignorare, umiliare e ferire in questo modo. La corretta rappresentanza, inoltre, è importante ora più che mai. Avete una grossa responsabilità in questo”.

Cosa ti dice questo episodio dell’Italia in questo momento storico? 

“Vedi questo episodio mi rattrista perché sono convinto, specialmente in questo momento storico, che l’Italia sia l’ultimo paese in cui si dovrebbe permettere che accada una cosa del genere. È un momento di tensione, dove c’è un odio in costante crescita che pare non conoscere pace.
Viviamo in un paese dove è più facile che una persona sudamericana ottenga la cittadinanza italiana rispetto ad un bambino nato e cresciuto qui ma con genitori stranieri.
Viviamo in un’Italia dove “lo stupro dall’italiano lo capisco ma dallo straniero no”. Lo stupro non è accettabile mai. Punto.
Un paese dove vedere una coppia mista fa scalpore e ribrezzo, e alle mamme si chiede di default se i bimbi siano stati adottati.
Un paese dove si è talmente concentrati sui clandestini che dei diritti degli oltre 5 milioni di regolari e residenti sul territorio da anni nessuno parla.
Un paese dove sedendosi al bar o al parco col proprio cellulare si rischia di finire sui social con didascalie come: “dicono di scappare dalla guerra ma bivaccano in giro ed hanno iPhone a nostre spese mentre i terremotati stanno nelle tende”.
Un paese dove chiunque si permettere di darti del ne*ro di m##da per strada senza nessuna conseguenza legale.
Un paese dove si arriva ad esultare per le morti nel mediterraneo e dove le notizie in tv fanno gola solo se l’assassino è nero o straniero.
C’è un bisogno disperato di sensibilizzazione. Una cosa come la blackface non può essere permessa proprio qui dove manca qualsiasi base di comprensione di fenomeni così gravi.”

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Lara Lago

Lara Lago

Lara Lago, nata a Bassano del Grappa, giornalista collaboratrice de La Voce di New York fin dal 2013, dopo aver vissuto in Albania e ad Amsterdam, ora si divide tra Milano, dove lavora per Sky, e il Veneto, scrivendo di diritti e Bodypositivity.

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