È stata una novantunesima edizione degli Oscar in “armonia da bilancino”, che ha premiato soprattutto l’orgoglio afroamericano, attraverso generi vari. È stata anche un’edizione che ha cercato di accontentare tutti e con un unico vero sconfitto: “Vice-L’uomo nell’ombra“, candidato ad otto premi, ha portato a casa la statuetta solo per “Migliore trucco”: a parte i capelli di Trump, l’esito ha tutto il carattere di una protesta contro l’establishment e le sue battaglie, considerando anche che il premio come “Migliore attore” è andato a Rami Malek, egiziano di origine, per il suo Freddy Mercury, cantante icona dei Queens, in “Bohemian Rapsody“, di Bryan Singer (film premiato anche come “Migliore sonoro”, “Migliore montaggio” e “Migliore montaggio sonoro”). E che Hollywood avesse voglia di mostrare la sua avversione per la politica sociale di Trump lo conferma il fatto che i temi della lotta al razzismo, dell’inclusione, dei diritti delle minoranze e del superamento dei muri hanno caratterizzato quasi tutti gli interventi dei premiati.
Ad aggiudicarsi il prestigioso premio “Migliore film” è stato “Green Book“, di Peter Farrelly, sull’amicizia tra un pianista di colore e un buttafuori italoamericano nell’America razzista degli anni Sessanta. Una statuetta che non ha però trovato d’accordo Spike Lee (vincitore, finalmente! di un Oscar reale – e non onorario come quello conferitogli tre anni fa – per “Migliore adattamento di una sceneggiatura” con il suo “BlacKKKlansman“): “L’arbitro ha preso una decisione sbagliata – The refery made a bad call -“, ha detto il regista di “Fai la cosa giusta“, “Malcomn X“, “Jungle Fever“, cercando di andarsene dal Dolby Theatre di Los Angeles, per poi tornare al suo posto, ma con le spalle voltate al palco, durante il discorso di accettazione di Peter Farrelly.
Nel ricevere la statuetta – prima del premio a “Green Book” – Spike Lee aveva infiammato la platea ricordando la storia di schiavitù e genocidio degli Stati Uniti e dicendo. “Le elezioni del 2020 sono dietro l’angolo, ricordiamocelo, possiamo fare una scelta di amore e non di odio. Davanti al mondo stasera, rendo omaggio ai miei antenati che hanno costruito questo paese, e al genocidio dei nostri nativi”.
“Green Book” è stato premiato anche per “Migliore sceneggiatura originale” e “Migliore attore non protagonista” (Mahershala Ali, al suo secondo Oscar dopo quello per “Moonlight”, nel 2017, primo musulmano nella storia come “Migliore attore”).
Quello che la comunità afroamericana rimprovera soprattutto a “Green Book” è di avere come protagonista principale un uomo bianco (l’attore Viggo Mortensen nel ruolo del buttafuori Tony Vallelonga) in un film sulla discriminazione contro la gente di colore ed il fatto che molte questioni legate al razzismo vengono sfiorate ma mai adeguatamente approfondite. Insomma Farelly (autore con il fratello Bob di commedie di grosso incasso, come “Tutti pazzi per Mary” e “Lo spaccacuori“) si sarebbe limitato a far sentire i bianchi imbarazzati nella loro pelle e i gli afroamericani nella propria ma senza scavare più a fondo.
Sempre in tema di “serata dell’orgoglio afroamericano”, un’altra attrice di colore, Regina King, ha ricevuto l’Oscar come “Migliore attrice non protagonista” per “Se la strada potesse parlare“, di Barry Jenkins. Da sottolineare poi la grande affermazione per “Black Panther”, di Ryan Coogler, il primo film con supereroi neri e basato sul personaggio di Pantera Nera della Marvel Comics: “Miglior colonna sonora”, “Migliore scenografia” e “Migliori costumi”.
E veniamo all’altro prestigioso premio, quello per “Migliore regia”, è andato – come compensazione? – al superfavorito “Roma” di Alfonso Cuaron, film in bianco e nero ambientato nel Messico degli anni Settanta, che ha comunque portato a casa anche le statuette quale “Migliore film straniero” e “Migliore fotografia”. Decisione in armonia con “il bilancino” accennato sopra: dopotutto “Roma” ha già vinto tanti premi importanti in giro per il mondo (incluso il recente Festival di Venezia) e poi è anche lui un film che segue la linea “anti Trump” raccontando la storia di una donna che lavora duro pur senza diritti, come tanti immigrati nell’America odierna che parla di muri. E proprio di questi ha parlato l’attore Javier Bardem, che con Angela Bassett ha presentato il premio “Migliore regia”, dicendo: “Non ci sono muri che possono contenere il talento”.
È chiaro che in una serata così “politicamente impegnata” non poteva che esserci poco spazio per il pur bellissimo “La Favorita“, di Yorgos Lanthimos, presentatosi con ben 10 candidatuire: alla fine solo l’Oscar per “Migliore attrice protagonista” a Olivia Colman, per il ruolo dell’infantile e capricciosa regina Anna d’Inghilterra. Ancora nessun Oscar, quindi, per Glenn Close, alla sua settima sfortunata candidatura, nonostante la superba interpretazione in “The Wife“, di Björn Runge, nel ruolo della moglie nell’ombra.
Come nelle previsioni, Lady Gaga è stata premiata per “Migliore canzone”, la sua “Shallow” di “A Star is born” di Bradley Cooper, che con lei ha cantato sul palco.
La serata degli Oscar ha riservato anche un omaggio a Bernardo Bertolucci scomparso recentemente e che, con “L’ultimo imperatore” vinse nove statuette.