L’ultimo film di Ferzan Ozpetek è un thriller ambientato in una delle città più misteriose del mondo, Napoli appunto, di cui il regista ne ha distillato l’essenza con un approccio lontano dai cliché.
La storia è quella di Adriana (Giovanna Mezzogiorno), un medico legale che perde la testa per un giovane uomo (Alessandro Borghi) dopo una notte di passione. Il giorno del loro secondo appuntamento, però, l’uomo viene trovato morto e Adriana comincerà ad indagare, scendendo nelle viscere di una Napoli che continua a sorprendere per i suoi segreti e le sue rivelazioni.
Alla rassegna Open Roads del Lincoln Center abbiamo incontrato a New York il regista Ferzan Ozpetek per parlare del film.

Come nasce l’idea di questo film?
“Avevo avuto un’idea simile anni prima ma ambientata a Istanbul. Poi una sera ne ho parlato con Giovanni Romoli e Valia Santella e da lì abbiamo scritto la sceneggiatura adattando la storia a Napoli”.
Cosa ti ha portato a Napoli?
“Sono stato a Napoli 6 anni fa per fare la “Traviata” al San Carlo e in quell’occasione ho conosciuto la città, le persone, le loro case e ne sono stato rapito. Non puoi non innamorarti di una città del genere”.
E poi c’è questo velo…
“Sì, ero rimasto colpito da un rito pagano, quello della “figliata”, legato alla cultura dei femminielli, ovvero la rappresentazione di un parto maschile. In questo rito un personaggio usa un velo per coprire lo spettacolo e dice al pubblico “adesso sentirete e vedrete pochissimo”, perché la verità va più sentita che guardata”.
Ma al contrario, velando, si vede molto di più…
“Esatto, da lì mi è venuta l’intuizione sul Cristo Velato che, toccandolo, senti tutte le vene e le sfumature, e da lì quindi ho pensato alla Napoli velata. E raccontare Napoli senza cadere nelle banalità non è stato facile, è una città che ha un rapporto molto forte con la morte, che la vive ma che la esorcizza anche”.
Quali sono state le sfide di questo film?
“Sicuramente la scena del sesso, una scena molto forte, è stata per me una sfida. Volevo farla però non era una cosa mia. Un grande merito è stato quello di Giovanna Mezzogiorno e di Alessandro Borghi, che avevano capito quanto quella scena fosse importante per il film. Un’altra sfida è stata quella di raccontare una città agli altri che avrebbero potuto non capire, perché è una città che devi vivere per capire che è reale”.
Cosa consiglieresti a un giovane regista esordiente?
“Di tenere la passione sempre accesa, quella poi te la tolgono”.
Hai dei progetti in cantiere?
“Non riesco mai a stare fermo. In questo momento sto scrivendo un soggetto insieme a Giovanni Romoli e Silvia Ranfagni, e poi ho ideato e appena lanciato un’app, “Whatastar”, che dà un minuto e mezzo per cantare o recitare e postare il video, e in base ai voti l’utente può diventare un famoso attore o una famosa cantante”.