La città che sale, testo vincitore della V edizione del Premio Mario Fratti (attribuito ogni anno all’autore di un’opera originale in lingua italiana o in dialetto, inedita e mai rappresentata), è stato scelto nella rosa di tre finalisti, accanto a Tin Lizzie 17 (Diari dell’ambulanza) di Marco Gnaccolini e Quattro uomini chiusi in una stanza (sembra quasi una storia vera) di Mario Gelardi. L’opera vincitrice prende il nome da un quadro del futurista Umberto Boccioni (esposto al MOMA) e parla di confini (tema del Premio 2018): quelli tra le diverse comunità nazionali, tra culture, tra generazioni. La giuria, presieduta dallo stesso Mario Fratti e di cui ho l’onore di aver fatto parte in qualità di operatrice culturale insieme a Giampiero Cicciò (attore e regista), Alessandro Fabrizi (regista) e due artisti dell’edizione 2017 di In Scena! Emilia Brandi (attrice e regista) e Francesca Falchi (attrice e drammaturga), ha così motivato l’assegnazione del Premio (in sintesi): testo immediato e molto diretto, che nella leggerezza trova un contrappunto alla tragedia, senza cadere nel pietismo e lasciando la libertà di comprendere i molteplici punti di vista. L’opera sarà tradotta in inglese da Carlotta Brentan (Kairos Italy Theater), e pubblicata insieme alle quattro vincitrici delle precedenti edizioni del Festival. Istituito nel 2014, il Premio Mario Fratti accompagna In Scena! chiudendolo ogni anno con la premiazione (un dipinto espressamente creato dall’artista Victoria Febrer) e la lettura presso l’Istituto Italiano di Cultura, quest’anno il 21 maggio alle 18:00. Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, entrambi milanesi poco più che trentenni si conoscono alla Scuola d’Arte drammatica Paolo Grassi di Milano, con percorsi formativi diversi che attraversano l’Europa (regista lui, autrice lei) e convergono nel 2016 nella Confraternita del Chianti, vincitrice di diversi premi. Il gruppo teatrale, con base a Milano, affronta temi legati alla contemporaneità e alla storia recente. Insieme curano la residenza multidisciplinare Manifattura K, riconosciuta dal Mibact e dalla Regione Lombardia.
Com’è nata l’idea di scrivere La città che sale?
CB: L’idea? È arrivata nel 2011, credo. Come risposta all’incipit di un racconto incompiuto di un giornalista prematuramente scomparso, Marco Formigoni. Poi, con il passare del tempo, quel materiale si è arricchito, è diventato qualcosa di sorprendente anche per noi. Oltre ai personaggi e ai fili della narrazione, i temi si sono fatti molteplici: lavoro, speculazione, gentrification, confini (territoriali, sociali, morali, mentali), integrazione, cambiamento climatico. Lo studio di una città come Milano, in forte cambiamento negli ultimi anni, ci ha portati ad analizzare gli interventi urbanistici in occasione di EXPO, ma anche il rapporto con le mafie, con i flussi migratori, con la cultura dell’evento, con la nebbia che non c’è più.
MDS: L’idea del testo nasce nel 2011 in risposta a un bando dedicato alla figura del giornalista Marco Formigoni. Il bando chiedeva di partire da poche righe scritte del giornalista: si raccontava di un corpo che cade da un cantiere. Chiara e io abbiamo scritto un corto teatrale a partire da quella suggestione, ma non ci convinceva. Infatti il bando non è andato bene e abbiamo accantonato il testo per quattro anni. Nel 2015 ci è capitato di rileggerlo e da quelle poche pagine abbiamo deciso di costruire un giallo corale di ampio respiro (e con molti personaggi) che in qualche modo raccontasse la realtà che ci circondava, che nel frattempo era cambiata profondamente. Basti dire che il 2015 è stato l’anno di Expo a Milano. A quel punto è nata l’idea del narratore, l’unico personaggio realmente esistito che compare nel testo: Driss Moussafir, immigrato marocchino morto il 27 Luglio 1993 ucciso dall’autobomba mafiosa al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano mentre dormiva su una panchina ai giardini di Porta Venezia. Nello stesso attentato persero la vita anche l’agente di Polizia Municipale Alessandro Ferrari e i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno.
Quali sono i pro e i contro di una scrittura a quattro mani?
CB: Quella con Marco è una collaborazione che va avanti dal 2010, ed è la cosa più bella che potesse capitarmi. A volte ci sono percorsi che preferiamo portare avanti da soli, magari, ma alla fine di una giornata di scrittura, o di sala prove, è all’altro che guardiamo per un parere sincero o una critica spietata. Un paio di occhi e di mani in più offrono spunti e linguaggi diversi, inaspettati, e in teatro questo può essere solo un valore aggiunto.
MDS: Chiara e io scriviamo spesso insieme, ormai vedo solo i lati positivi di questa pratica. Inoltre lo facciamo solo quando ne sentiamo davvero il bisogno: ognuno di noi ha una carriera anche come autore singolo e questa evita che ci siano frustrazioni di qualsiasi tipo.

Vi siete ispirati a qualcuno o a qualcosa in particolare per raccontare la storia de La Città che sale?
CB: La Città che sale è una riflessione sulla città che ci siamo scelti, Milano ma anche sulle città più in generale. Le persone si dividono in due: quelli che nelle città ci vedono il pericolo, e quelli che ci vedono una promessa. Qualcuno ce la fa, qualcuno no, ma loro continueranno a cercare un posto, un’occasione, un momento di abbacinante silenzio in mezzo al brulicare delle speranze disattese. Ne sarà valsa la pena?
MDS: Fin da subito avevamo in mente il quadro di Boccioni come riferimento, anche se pittorico e lontano nel tempo. Col senno di poi credo che il testo sia stato influenzato da alcune delle letture che più ho amato negli ultimi anni. Penso ad autori come Mayorga, Spregelburd, Sinisterra.
Cosa ha portato ciascuno di voi dal punto di vista artistico e umano al testo?
CB: Ottima domanda, difficilissima la risposta. Il nostro lavoro a due procede per strati successivi, sempre più a fondo. È una specie di staffetta. L’altro giorno ci chiedevamo quali idee e quali personaggi fossero partiti dall’uno o dall’altra, e non siamo riusciti a venirne a capo, tanto lunga e complessa è stata la gestazione del testo. D’istinto direi che Marco ha portato la complessità di alcuni temi più politici, mentre io mi sono concentrata sull’umanità di alcuni personaggi. E sulla cometa. La cometa la rivendico, ma non ditelo a Marco!
MDS: Per quanto mi riguarda ho cercato di chiarire alcune questioni che faticavo a mettere a fuoco. Scrivo e creo spettacoli solo se c’è qualcosa che non capisco e che sento di dover affrontare: la gentrificazione, per esempio, ma anche le difficoltà di convivenza tra culture diverse. Ogni volta che lavoro su un nuovo testo o spettacolo sento di avere una consapevolezza nuova. Se questo non accade vuol dire che probabilmente non ho fatto il mio lavoro come avrei dovuto. In questo caso sono soddisfatto: La città che sale è un testo che amo molto e spero di vederlo rappresentato al più presto in Italia e all’estero.
Cosa immaginate che porterà il Premio Mario Fratti al vostro lavoro?
CB: Il Premio Mario Fratti permetterà (spero) a un testo produttivamente complesso la possibilità di incrociare mercati al di fuori di quello nazionale, per i quali La Città che Sale possa essere una scommessa realizzabile. Da qualche anno ci rivolgiamo sempre più a realtà europee e internazionali, trovando dialogo, buone pratiche e spunti interessantissimi. Non è una “fuga di cervelli”, come si dice in Italia: è ciò che rende questo lavoro il più bello del mondo.
MDS: Negli ultimi anni abbiamo lavorato molto all’estero, ma mai negli Stati Uniti. Questa è per noi la prima volta e come tutte le prime volte le aspettative sono alte. Spero che questo sia un modo per far conoscere il nostro lavoro anche a New York e non solo. Inoltre il testo è stato selezionato anche dal comitato italiano di Eurodram e la pubblicazione del testo in inglese arriva proprio nel momento giusto.
Per maggiori informazioni: InScena!