“Allora ci siamo, tutto portava qui”. Sono passati dieci anni da quando il Marvel Cinematic Universe ha iniziato a delinearsi e definirsi, con ben diciotto film in cui i supereroi dei fumetti prendono vita sullo schermo. L’ambizioso progetto Marvel è stato costruito negli anni, mostrando al pubblico la nascita e l’evoluzione dei singoli personaggi, intrecciando a volte le loro strade per una ragione comune. Pianeti, storie, protagonisti, poteri e caratteri diversi raccontati in un decennio, e all’uscita nelle sale di Avengers: Infinity War, tutto appare più chiaro nel suo intreccio che porta alla battaglia.
Ciò su cui i fratelli Russo, registi del film, hanno voluto puntare, è un mix di cinema classico e nuovo senza tralasciare l’inconfondibile stile Marvel: cinema moderno nei suoi effetti speciali, che già dalle ultime pellicole (soprattutto in Doctor Strange e Black Panther) ha dato dimostrazione che la casa di produzione Marvel Studios non ha paura di pensare in grande e portare sul set e in post produzione le sue idee, con il risultato che Infinity War vanta un cast corale come pochi, diverse troupe simultanee – vari i set tra cui Stati Uniti, Londra, Irlanda – ed un lavoro di computer grafica che permette di creare alla perfezione ogni mondo e scenario immaginato nella mente di papà Marvel, Stan Lee.

Il fulcro del cinema classico, o meglio intramontabile, che non è stato tralasciato, ma che al contrario occupa un grande spazio già negli ultimi film della serie: il sentimento. Non si è mai cercato di nascondere che anche i supereroi hanno un cuore o dei sentimenti, anzi al contrario, si è fatto leva su questo per creare personaggi imperfetti e quindi aprire un varco di empatia tra pubblico e protagonisti, per far sì che ognuno di noi potesse avere un suo personaggio preferito, capire le sue scelte, ritrovarsi in alcuni suoi aspetti. Questo mix è il punto di forza di un universo cinematografico che vince su altri; senza un equilibrio, sarebbero solo effetti speciali.
La trama di Infinity War è la conseguenza di ciò a cui ci hanno portato in questi anni con i precedenti film, in particolare il grande antagonista Thanos (Josh Brolin) , già citato come padre di Gamora (Zoe Saldana) e nei precedenti Avengers, diviene finalmente il problema principale, dopo essersi fatto attendere parecchio dai fans. Le gemme dell’infinito, presentate nel primo film de I Guardiani della Galassia, sono il fine ultimo di Thanos per il raggiungimento dei suoi scopi: eliminare parte della popolazione in ogni pianeta.

Telecamere Arri Alexa 65 in formato Imax e un enorme lavoro di post produzione per 148 minuti di film che, come ormai si sa, è solo la prima parte dello scontro finale. Fedeli allo schema di inquadratura Marvel, che conferiscono un senso di spazio e allo stesso tempo importanza a ogni singolo protagonista, per la prima volta vediamo i supereroi seguiti da una camera a spalla nel momento in cui Thanos si presenta davanti a loro: una sequenza in cui gli eroi si muovono confusi tra i civili, perchè per la prima volta non sanno cosa si troveranno davanti. Ancora un modo per abbassarli dai loro piedistalli di superiorità e perfezione, perchè nonostante siano supereroi, non possiamo pretendere che siano infallibili.
Oltre due ore di schemi intrecciati e scadenzati in un minutaggio che si fa sempre più breve per raccontare i segmenti delle varie storie che porteranno al punto centrale del film. Vengono raccontate in una sceneggiatura a blocchi gli accadimenti simultanei nei vari pianeti per ciascuno dei protagonisti, da Capitan America ad Iron Man, dai Guardiani della Galassia a Doctor Strange. Non verrà tralasciato nessun punto. Ma per il sequel dovremo aspettare maggio 2019. Nel frattempo, possiamo goderci questo primo film che lascia decisamente lo spettatore perplesso e pronto a rivedere ogni singolo film Marvel antecedente nell’attesa.