Sembra incredibile, ma è già passato un anno dalla sconfitta sul campo di Infinity War. Ci avevano lasciato con un’idea, terribile ma realizzata, che nasceva da una convinzione di Thanos: eliminare la metà della popolazione per progredire. Non c’è crescita senza rinascita, non c’è benessere senza equilibrio. Abbiamo visto metà degli eroi sparire sotto i nostri occhi in – letteralmente – uno schiocco di dita, attraverso la potenza delle gemme dell’infinito. E per ogni guerriero che ha perso qualcosa, altrettante persone hanno visto svanire improvvisamente la loro quotidianità, senza nemmeno un perché. Andare avanti è possibile?
I presupposti di Avengers Endgame si basano su questo interrogativo. Potevano fermare Thanos, ma non l’hanno fatto; vivere con il rimorso sembra quasi impossibile. Il pregio più grande dell’umanità, e in questo caso anche dei supereroi che vivono sul nostro pianeta, è la caparbietà. Non c’è dono più grande che ci sia stato concesso, se non quello dell’impossibilità all’arresa. Perché proprio non ce la facciamo, è più forte di noi. Captain America, Iron Man, Thor, Hulk, Natasha Romanoff, Clint Barton, Rocket, Thodey, Nebula: gli unici rimasti in vita dopo il precedente conflitto. Senza un appiglio è difficile iniziare, ma lo è ancora di più portare sulle spalle il peso di mezzo mondo che non c’è più. La Marvel Cinematic Universe ci ha insegnato negli undici anni di amicizia con i suoi spettatori che è necessario raccogliere tassello dopo tassello, non disperderlo, e metterlo al posto giusto quando arriva il momento. Ci ha presentato i suoi eroi fin dal 2008 con il primo film con Tony Stark/Iron Man protagonista.
E ha continuato introducendo personaggi considerati minori – da Doctor Strange, Ant-man alla più recente Captain Marvel – che si sono rivelati invece fondamentali per lo sviluppo della storia. Costruendo un intreccio rischiosissimo da sostenere così a lungo, la casa di produzione supervisionata dal genio di Stan Lee può finalmente dire di aver superato ogni prova: è riuscita a mantenere un target proprio e ben definito, scongiurando il rischio invecchiamento reinventandosi ogni volta che il tempo o il personaggio lo richiedeva; ha mostrato una grande abilità nel seguire un filo narrativo disseminato di sottili linee congiunte che, ad opera compiuta, non si può che definire impeccabile; infine, ha mantenuto livelli altissimi di produzione, sempre. La costruzione di scenari tra green screen e computer grafica è sempre stata sostenuta, oltre che da budget stellari, da un cast che non si è mai risparmiato su allenamenti durissimi per risultare credibili. Così come costumi, colonna sonora, dialoghi, fotografia e il lavoro di un compartimento tecnico in grado di realizzare nel modo più credibile possibile ogni spiraglio di idea creativa della mente dei registi susseguitisi negli anni. Anthony e Joe Russo, che hanno diretto anche quest’ultimo capitolo, non hanno avuto dubbi riguardo l’uso della tecnologia Imax per Avengers Endgame, sostenendo che il più importante e colossale dei progetti della storia cinematografica Marvel non poteva che richiedere la più elevata delle prestazioni nel campo della ripresa al momento esistente.
Girato con le Alexa Imax 65mm, i fratelli Russo sono stati in grado di catturare e rappresentare ogni singolo frame senza perdere nessun dettaglio di nitidezza, qualità e velocità di azione. Tutto questo si accompagna ad un impatto emotivo molto forte; non tanto per la storia in sé, ma per l’epilogo che ci costringe, in un modo o in un altro, a dire addio ad una generazione di supereroi che ci ha accompagnato fin qui. Si sa che il compito di chi ha grandi poteri è quello di proteggere e infondere speranza, sempre. La sensazione che si ha all’uscita dalla sala è proprio questa. Hanno assolto al loro dovere, ora possono congedarsi. Così come ha fatto Stan Lee, che ci ha accompagnati fino alla chiusura della “Saga dell’Infinito”, lasciandoci l’eredità più grande: la fantasia.
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