Teniamoli bene a mente, questi nomi. Se il cinema, il teatro, la televisione hanno avuto un genio non solo della risata, lo dobbiamo a loro. Il primo nome: Giuseppe Jovinelli, proprietario del teatro Ambra Jovinelli, che negli anni Venti (e anche in seguito) era la massima espressione del teatro di varietà; il secondo nome da ricordare è quello di un barbiere: Pasqualino; infine Gustavo Lombardo, fondatore della Titanus.
Anche senza di loro, chissà, Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, sarebbe diventato quello che poi tutti conosciamo: Totò. Ma forse no, vai a saperlo.
Totò nasce a Napoli, rione Sanità, il 15 febbraio del 1898, 120 anni fa. Napoletano verace, si trasferisce con la madre Anna Clemente e il padre (il marchese Giuseppe De Curtis) a Roma. La madre sogna di farne un militare di carriera, oppure un sacerdote che poi sale i gradini della gerarchia. Un Totò militare, proprio non ci riesce di immaginarlo a meno che non sia l’Antonio Di Maggio de “I due colonnelli” di Steno con Walter Pidgeon; quanto al prete, è lo stesso Totò a fugare ogni dubbio, una volta che rilascia una lunga intervista a Oriana Fallaci: “Sarà perché sono meridionale, sarà perché odio gli uomini: ma le donne, secondo me, sono la cosa più bella che ha inventato il Signore. Abbandonai l’idea di diventar prete proprio quando scappai con una canzonettista, a vent’anni. Ma che ci vuol fare: io, quell’affare della castità, non lo capisco”.
Ventenne Totò comincia a frequentare l’ambiente teatrale. Qui entra in scena Jovinelli. Lo vede, lo osserva, gli prende le misure, capisce al volo che quel ragazzo ha del talento. Lo scrittura. Il pubblico dell’avanspettacolo, tenero quanto quello proverbiale del loggione del teatro regio di Parma, lo accetta e lo acclama. C’è un guaio: la paga è infima, e Totò non ce la fa a tirare avanti.
La leggenda vuole che un giorno, spiantato e disperato, gli servisse un veloce taglio di capelli. Il provvidenziale barbiere Pasqualino: taglia, rade, ascoltagli sfoghi, i sospiri. Prende a cuore il caso, e lo presenta ai proprietari del teatro Sala Umberto I, Salvatore Cataldi e Wolfango Cavaniglia. La carriera di Totò prende forma, sostanza; comincia a prendere corpo la “maschera” che poi conosceremo, e che non è solo una maschera: è la rappresentazione di un mondo. Si misura con giganti del calibro di Anna Magnani e Mario Castellani. Trova il modo anche di procurarsi qualche guaio serio. Nel maggio 1944, piena occupazione nazista, con la rivista Che ti sei messo in testa, fa della pesante ironia sugli occupanti tedeschi. Una bomba viene fatta esplodere davanti al teatro, lui la compagna e la figlia Liliana sono costretti a darsi alla macchia per evitare l’arresto.

Grazie a Lombardo, diventa attore di cinema. Ormai è Totò. A Roma si potrebbero fare dei pellegrinaggi, sui luoghi che hanno fatto da sfondo per tanti suoi film di successo: La banda degli onesti, con Peppino De Filippo e Giacomo Furia, per esempio è girato quasi interamente nel quartiere Monti. La famosa scena nella quale Totò spiega a Peppino il capitalismo facendo uso della tazzina di caffè e lo zucchero, la girano in un bar della Suburra, all’uscita della stazione metro Cavour ancora in attività. La prima vera casa di Totò è al 98 di viale Bruno Buozzi; successivamente si trasferisce in una palazzina chiamata “casa Girasole”; poi in viale dei Parioli 41, dove oggi ha sede l’ambasciata della Costarica. Infine nella tranquilla via dei Monti Parioli 4, dove il 15 aprile 1967 muore. La sera prima, all’autista che lo riporta a casa, confida: “Cafié (l’autista si chiamava Carlo Cafiero, ndr), stasera mi sento una schifezza…”.
E’ stato l’indiscusso re della commedia italiana. Non si può dire sia stato un Adone, eppure a quanto pare le donne stravedevano per lui. Una fama di sciupafemmine, e una quantità di bellissime donne ai suoi piedi. Grandi amori finiti anche tragicamente, come quello dell’attrice Liliana Castagnola, che per lui si uccide.
Per l’epoca, fa scandalo: quando, per esempio intreccia una relazione con Diana Rogliani, appena sedici anni, e che gli dà l’unica figlia: Liliana, chiamata così in onore della Castagnola. Con Diana una lunga convivenza, il matrimonio nel 1935, annullato in Ungheria nel 1939. E mille altre travolgenti passioni, come quella per Silvana Pampanini, che però non corrisponde: “Era di una gentilezza estrema, sapeva come farti sentire donna… Totò era un maestro nell’arte della cortesia” confida anni dopo, con una punta di rammarico.
Franca Faldini, la compagna che gli resta accanto fino alla fine, arriva nel 1952. Totò ne viene folgorato dopo averla vista in fotografia sul settimanale Oggi; la differenza d’età provoca mille pettegolezzi – Totò ha 33 anni più di Franca – ma i due formeranno una delle coppie più solide del mondo dello spettacolo.

Come spesso accade, per vedersi riconosciuta la sua arte (e però il pubblico lo ha amato da sempre), Totò ha dovuto prima morire. Unica eccezione, Pier Paolo Pasolini, che lo vuole per il suo Uccellacci e uccellini, film del 1966 con, oltre Totò, uno degli attori preferiti da Pasolini, Ninetto Davoli.
Pasolini sceglie Totò, pur non conoscendolo personalmente, perché ritiene che la sua “maschera” rappresenti in modo esemplare i due caratteri tipici dei personaggi fiabeschi: la stravaganza e l’umanità. Giudizio poi confermato una volta che i due iniziano a lavorare insieme. Pasolini usa nella stessa pellicola attori presi dalla strada e senza esperienza recitativa e mostri sacri come Totò, convinto che alcuni personaggi necessitino di interpretazioni estreme: la naturale brutalità o leggerezza del dilettante e l’impostazione ed esperienza dell’attore professionista. Totò parla di Pasolini come un uomo intelligente e pieno di fantasia, con un modo di regia differente da quello cui il comico era abituato: grande improvvisatore sul set e abituato ad avere sempre carta bianca, è invece costretto, in questo film, a rispettare puntualmente le battute del copione e le indicazioni del regista.
Anni dopo Oreste Lionello racconta che Pasolini aveva rifiutato l’aiuto di Carlo Croccolo, che solitamente doppiava Totò ormai cieco nelle scene esterne dei suoi film; chiama invece Lionello per doppiare tutto il film: successivamente Totò, dopo aver ascoltato la traccia di Lionello, si auto-doppia. È l’ultimo film da protagonista interpretato da Totò.