
Liberamente tratto dal capolavoro di Beppe Fenoglio, considerato da Calvino uno dei più bei romanzi italiani del Novecento, Una Questione Privata di Paolo e Vittorio Taviani è stato presentato nella selezione ufficiale della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Una storia di impazzimento ed amore in contraddizione con il clima di violenza in cui avviene. È questo il fulcro del film. A due anni dal Meraviglioso Boccaccio, i due registi ormai ultra ottantenni, raccontano di tre ragazzi che si incontrano nella villa estiva di Fulvia, una bella e giovane ragazza torinese. I due ragazzi sono Milton e Giorgio, l’uno cupo e riservato e l’altro bello ed estroverso. Entrambi si contendono Fulvia che gioca con i sentimenti di entrambi. Un anno dopo Milton, partigiano, si ritrova davanti alla villa ora chiusa. La custode lo riconosce e insinua un dubbio: Fulvia, forse, ha avuto una storia con Giorgio. Pazzo di gelosia, vuole scoprire la verità. E corre attraverso le nebbie delle Langhe per trovare Giorgio, ma Giorgio è stato fatto prigioniero dagli “scarafaggi neri”. L’ossessione d’amore gli farà dimenticare la Resistenza che lo ha portato in montagna a combattere per liberare il Paese dalla dittatura.

Si perchè i Taviani riportano sullo schermo i fascisti in un momento in cui gli echi di quella tragedia sembrano riproporsi in questi giorni in un manifesto di Forza Nuova copiato da quello della Repubblica di Salò in cui un nero allunga le mani su una bella donna indifesa. Un triangolo d’amore che non ha da suggerire nulla di nuovo rispetto a molti altri film. Ma i Taviani non se ne preoccupano. Perché se il punto di partenza è il capolavoro di Fenoglio, nella trasposizione cinematografica, i registi si prendono la libertà di esprimere la loro profonda conoscenza dei fatti della Seconda guerra mondiale. Si copia sempre. Il mito dell’originalità secondo i due registi è una balla. E aggiungono: “L’importante è cercare di fare le cose diversamente, anche meglio se si ha fortuna”. Così all’interno di un archetipo narrativo antico e ormai consunto, i registi riescono ad inventare nuovi personaggi e a una storia d’amore come quella tra Fulvia, Milton e Giorgio.

Gli eventi bellici sono comunque lasciati sullo sfondo. L’orrore della violenza tra uomini che si combattono e si uccidono è raccontata attraverso la desolazione dei personaggi di fronte ad un mondo che ha smarrito ogni briciolo di umanità. “Quando scegliamo un racconto che sia Tolstoj, Pirandello, siamo sempre riconoscenti e diciamo grazie agli autori ma ora noi andiamo per la nostra strada che è la strada del cinema. Noi siamo nati con il cinema e non dalla letteratura come alcuni hanno insinuato. Perché tradiamo la letteratura ogni qual volta in cui adattiamo la storia a quell’organismo audiovisivo che è il film. Proprio Pirandello diceva che le storie sono come dei sacchi vuoti, afflosciati a terra. Solo se li riempi con i tuoi sentimenti e pulsioni allora stanno in piedi”. A ricostruire la

guerra ci pensa la forza rievocativa della musica. La canzone “Somewhere over the Rainbow”, cantata da Judy Garland rimanda agli anni ’40, un periodo che segnato profondamente il corso della storia contemporanea. Le note tormentate del brano raccontano la discesa negli inferi della follia di morte di Milton e di un’intera generazione di giovani.
Ad interpretare il partigiano tormentato dai dolori d’amore è Luca Marinelli. “Ci aveva coinvolto – rivelano i registi – la recitazione volutamente sopra le righe di Non essere cattivo e Jeeg Robot. Avevamo ammirato la sua capacità di uscire da sé stesso e diventare quei personaggi malvagi e deboli. La ragazza amata è Valentina Bellè, già vista in Meraviglioso Boccaccio. Mentre il ruolo di Giorgio, l’amico di una vita, è stato affidato a Lorenzo Richelmy. Oggi nelle Langhe ci sono vigneti a perdita d’occhio come tanti soldatini in fila. Conserva ben poche tracce di quel paesaggio verde e nebbioso del libro di Fenoglio. Per il film i Taviani hanno quindi scelto le più belle valli delle montagne della Val Maira. Lì hanno ricostruito l’accampamento dei partigiani, a 2300 metri d’altezza. Una decisione che ha dovuto fare i conti con gli imprevisti della natura che qui regna indisturbata. “Un giorno – concludono i registi – abbiamo avuto un incidente che ci ha costretto a sospendere le riprese e cambiare il piano di lavorazione: era arrivata una transumanza di vacche e il giorno dopo l’accampamento era impraticabile”.
*testo di Monica Straniero e video a cura di Stefano Amadio