Il teatro ci salverà. Forse. Speriamo. Almeno a giudicare da ciò che si è visto durante una settimana di conferenze e spettacoli svoltasi in Calabria, fra Cosenza e Castrovillari, grazie all’UNICAL e a Primavera dei Teatri. Dal 29 al 31 maggio, all’UNICAL, dal TAU e dal Centro Arti Musica e Spettacolo dell’Università della Calabria, un convegno dal titolo “Pensare l’attore”: “Attraverso l’attore si inventa una “lingua di scena” e una pratica di messa in scena e si crea un intreccio di linguaggi a cominciare da quello tra cinema, teatro e televisione. Tale interazione tra lingua d’attore e linguaggi fa emergere singolarità e stili. Esempi emblematici in Italia sono quelli di Petrolini, di Viviani, di Eduardo, di Carmelo Bene, di Dario Fo, di Marco Paolini, di Toni Servillo.” In tre giorni. studiosi da tutta Italia hanno analizzato la figura dell’attore sotto molteplici aspetti, da quello tradizionale, nato sulle tavole del palcoscenico, a quello virtuale, creato in studio anche dopo la morte fisica dell’interprete stesso (cosa che un certo brivido lo provoca). Per quanto sia vero che il teatro sia fatto da attori, nella nostra società ormai il teatro è fatto più dalla televisione – attirano gli attori che fanno alto share televisivo – che dal palcoscenico. Il teatro è quasi visto come un edificio antico che contiene cose antiche, anche quando parla un linguaggio ultramoderno. Ebbene, questo convegno, ricchissimo per quanto riguardava l’offerta di presentazioni da seguire, ha fatto davvero pensare a quanto l’attore, da quello comico a quello drammatico, dal divo all’eremita, dal tradizionale a quello estremamente sperimentale, abbia contribuito non solo allo sviluppo del nostro teatro e della nostra cultura, ma a quello della nostra società. Un attore che in sé porta tic, commenti e anche pregi dell’epoca che vive, li comunica e li fa comprendere al pubblico che lo segue. Presentazioni su Walter Chiari, Marcello Mastroianni, Franca Valeri hanno posto l’accento sulla necessità, che esiste ancora oggi secondo me, dell’interprete consapevole e preparato. Inoltre la conferenza ha avuto il pregio di mostrare l’attore teatrale che porta la sua arte al cinema e in televisione e ha portato due attori importanti come Marco Paolini e Toni Servillo a dialogare col pubblico sull’essere attore. Paolini si è soffermato sull’uso delle tecnologie a teatro, non sul palcoscenico, ma in platea: i telefonini che per tutti gli attori sono ormai una condanna silente e illuminata durante lo spettacolo. Paolini – con il suo famoso modo di rapportarsi al pubblico come se stesse facendo una chiacchierata fra amici – ha raccontato di alieni illuminati di blu che si manifestano durante lo spettacolo per motivi a noi misteriosi. Servillo invece è intervenuto dopo la proiezione di un breve video che lo riprendeva durante uno dei pochissimi seminari che ha tenuto per giovani attori. Attraverso quella esperienza, l’attore ha ripercorso la sua esperienza d’attore, raccontando di quanto sia importante il testo, punto di partenza assoluto, di quanto la parola significhi oltre al suo significato dato. Insomma, una tre giorni che ha mostrato quanto l’attore, dunque l’artista sia necessario ad una società per crescere.
Spostandosi di soli pochi chilometri, a Castrovillari, fino al 4 giugno è stata la volta di Primavera dei Teatri, organizzato dalla compagnia Scena Verticale. Primavera dei Teatri, come dice bene il nome, è un festival dedicato a prime volte di compagnie e autori giovani. A parte alcune eccezioni, gli spettacoli scelti dagli organizzatori hanno il loro debutto proprio durante il festival. Spettacoli dalle scenografie più importanti o altri sul palcoscenico quasi nudo, testi nuovi e testi rivisti, riadattati, ripensati, quello che si vede a Primavera dei teatri è una sorta di panorama del teatro italiano in fieri. Quali sono i temi prediletti – quest’anno sicuramente la letteratura -, quali sono le forme preferite, c’è una tendenza oppure no. Attraversare il programma di Primavera dei teatri significa dialogare con il teatro odierno e capire di cosa ha voglia. Mi piace citare, fra i tanti spettacoli visti,

“Non sono un gabbiano” della compagnia Oyes, una rilettura de “Il Gabbiano” di Checov fatta dai giovani attori che mettono in primo piano proprio la figura dell’artista e il suo significato in una societa’ dove tutto sembra spettacolo,

“Lingua di cane” della Compagnia dell’Arpa proveniente dalla Sicilia. Uno spettacolo il loro fatto di pochi stracci e di corpi umani che raccontano la storia infinita dell’immigrazione che muore in mare. Un problema che la Sicilia conosce bene. Interessante e con una strepitosa protagonista Marta Dalla Via, “Personale politico Pentothal – Opera Rap per Andrea Pazienza”, omaggio al dizionario dadapaz di Andrea Pazienza. Da citare, ovviamente, anche l’anteprima nazionale di Roberto Latini “Il Cantico dei Cantici”, creato insieme a Gianluca Misiti alle musiche e “Aiace” un riscrittura per molte lingue del Teatro Sybaris. Per chiudere, la riflessione da cui sono partita. Il teatro ci salverà. Come ha dimostrato proprio la faccenda “Julius Caesar”, il teatro puo’ ancora salvarci risvegliando le menti e educando. Come ha dimostrato una chiaccherata sullo stato del teatro – e dei contributi – organizzata all’interno di Primavera dei Teatri, il teatro ci salverà se verrà a suo volta salvato facendo sistema, collaborando e sperando che i ministeri, le regioni e chi per loro vorranno contribuire veramente per farlo vivere. Molte compagnie e associazioni si stanno unendo in gruppi di lavoro per ottenere finanziamenti mirati e puntuali – ad oggi, in Italia, i soldi arrivano per legge dopo che l’evento si e’ svolto, se e quando arrivano – e distribuiti in modo tale da poter dare possibilità a tutte le forze vitali che esistono sul territorio. Per questo, alla fine di questa settimana il pensiero è che il teatro ci puo’ salvare, muovendo le menti, forzando collaborazioni, dialogo, apertura, tutte cose che sinceramente sembrano mancare alla società italiana (o forse dovrei dire mondiale?) oggi. Non so, ma dopo questa settimana ho veramente pensato che forse solo il teatro ci può salvare da questo buco nero che sembra essere il mondo adesso.