C’è tempo fino al 31 maggio per immergersi nel mondo del cinema italiano di un tempo, ripercorrendo, grazie a una figura d’eccezione, la storia del nostro Paese.
Al Lincoln Center di New York, infatti, è in corso una rassegna su Marcello Mastroianni dal titolo Il Bello Marcello, a Marcello Mastroianni Retrospective, organizzata con il contributo di Istituto Luce Cinecittà e del Ministero italiano dei Beni Culturali.
Che Marcello Mastroianni fosse bello, anzi “il bello”, è un assioma ormai, ma per l’attore la fama di latin lover divenne un problema a un certo punto della carriera, tanto che accettò appositamente il ruolo dell’impotente ne Il Bell’Antonio, pochi mesi dopo la consacrazione a “sciupafemmine” internazionale ne La dolce vita di Federico Fellini. Erano gli anni ‘60 e Marcello Mastroianni era diventato da poco una star del cinema a livello mondiale.

Abbandonata la casa natale a Fontana Liri, in provincia di Frosinone (all’epoca chiamata “Terra del Lavoro”), giovanissimo, si era trasferito negli anni ’30 a Roma per studiare, dove era tornato una volta finita la leva a Firenze, durante la Seconda Guerra Mondiale. Il suo debutto era avvenuto a teatro nel lontano ‘48, con I miserabili di Victor Hugo diretto da Riccardo Freda. Sempre nel ‘48 al teatro Eliseo aveva preso parte a Rosalinda o come vi piace di Luchino Visconti e Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams. Ma la vera consacrazione al cinema avvenne negli anni successivi, grazie al regista Luciano Emmer che lo mise in contatto con il Neorealismo e con il jet set dei registi dell’epoca. In quell’ambiente Marcello incontrò alcune delle figure chiave della sua carriera artistica, come Luchino Visconti sul set di Le notti bianche – con cui aveva già lavorato anni prima a teatro – e Sophia Loren, che è stata la sua più duratura partner artistica, in Peccato che sia una canaglia di Alessandro Blasetti. In quegli anni conobbe anche i maestri della commedia all’italiana, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e Nino Manfredi, tra gli altri.

Poi l’affermazione definitiva come grande attore cinematografico con I soliti ignoti di Mario Monicelli nel ‘58, per arrivare al ‘60 con Fellini in La dolce vita e nel ‘63 in Otto e mezzo. Da allora il suo successo divenne globale e Mastroianni divenne un sex symbol – diremmo oggi – internazionale, tanto che nel ‘62 il Time gli dedicò un servizio definendolo lo straniero più ammirato negli Stati Uniti. Durante la sua lunghissima carriera Mastroianni ha lavorato con i più grandi registi italiani dell’epoca, da Federico Fellini, di cui è diventato l’alter ego, a Vittorio De Sica, Mario Monicelli, Luchino Visconti, Marco Bellocchio, Michelangelo Antonioni, Paolo e Vittorio Taviani, Valerio Zurlini, Elio Petri, e con alcuni registi stranieri, tra cui il francese Jacques Demy, il cileno Raúl Ruiz e l’americano Robert Altman.

Attore straordinario e straordinariamente capace di passare dai ruoli drammatici ai ruoli comici (e viceversa) con naturalezza, Mastroianni ha ottenuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro: è stato candidato all’Oscar tre volte, una per Divorzio all’italiana (nel ‘63), una per Una giornata particolare (nel ‘78) e una per Oci Ciornie (nell’88); ha vinto due Golden Globe e due premi BAFTA, otto David di Donatello, otto Nastri d’Argento, cinque Globi d’Oro, un Ciak d’Oro, un premio come miglior interpretazione maschile nel ‘70 e nel ‘78 a Cannes e nel 1990 un Leone d’Oro alla carriera. Eppure, nonostante la fama, ha continuato a lavorare fino alla fine – è indimenticabile la sua performance in Sostiene Pereira di Roberto Faenza, girato un anno prima della sua morte – e, con la sua aria distaccata e un po’ tra le nuvole, ha continuato a convincere il pubblico con ogni ruolo e in ogni storia che ha interpretato.

Durante la sua carriera, infatti, ha ricoperto una lunga serie di ruoli diversi tra loro, accompagnando il pubblico nei cambiamenti storici che il nostro Paese stava attraversando, dal dopoguerra al boom economico, agli anni ‘90. Ed è vestendo i panni dell’anarchico, del socialista, del latin lover, del prete, del ladro, dell’omosessuale, dell’impotente, del creativo, dell’assassino e di tanti altri ancora che Mastroianni si è liberato della maschera del “bello”, diventando un personaggio collettivo: in due parole, un italiano.

Con un programma fittissimo che ripercorre tutta la carriera di Mastroianni, il Lincoln Center ospita spettacoli quotidiani in diverse fasce orarie, tra i quali è possibile trovare film quasi dimenticati, come Dark Eyes di Nikita Milkhalkov, The Beekeeper di Theo Angelopoulos, o film meno noti al pubblico italiano come A slightly pregnant woman di Jacques Demy e Ready to wear di Robert Altman.
