Il piccolo principe diventa un film. Mark Osborne, già noto al grande pubblico per film d’animazione come Kung Fu Panda, attinge alla favola di Antoine de Saint-Exupéry per parlare d’amicizia, d’amore e della perdita e riconquista dell’innocenza.
Una bambina si trasferisce insieme alla madre in un nuovo quartiere dove diventa vicina di casa di un vecchio eccentrico aviatore. Nelle pagine del diario dell'anziano esploratore, la bambina scopre tracce del piccolo principe, enigmatico bambino arrivato da un altro pianeta incontrato dall'aviatore anni prima. La bambina e l'aviatore si imbarcheranno in un'avventura che li riconnetterà con la propria infanzia.
Il film esce nelle sale il 1° gennaio, sia negli USA che in Italia. Abbiamo incontrato il regista che ci ha parlato del suo ultimo film, delle scelte artistiche e tecniche e del suo rapporto con il personaggio del libro e con l'infanzia.
Cosa ti ha ispirato a portare Il Piccolo Principe sullo schermo e cosa rende questa storia così immortale?
“Come tanti altri, amo moltissimo questo libro. Avverto l’incredibile potere e la presenza che ha nel mondo e nelle nostre vite. Ho sentito l’incredibile opportunità di celebrarne la storia e di mostrare quanto abbia avuto un effetto portentoso sulle nostre vite. Credo che Saint-Exupéry abbia scritto di tutti quegli aspetti importanti che ci rendono umani e di ciò che ci avvicina gli uni agli altri: la natura dell’infanzia, del diventare adulti, l’immaginazione, l’amicizia, l’amore, la solitudine, l‘affrontare le perdite e il mantenere i legami che condividiamo con coloro che amiamo”.
Il tuo primo o più significativo ricordo legato al libro?
“Il libro mi era stato regalato oltre 25 anni fa dalla mia ragazza al college. Il nostro rapporto era forte, ma io ero in procinto di trasferirmi in California per studiare animazione e non volevo lasciarla. Mi diede la sua copia del libro perché ci tenesse assieme, vicini. E lo fece: ora siamo sposati e abbiamo due bambini”.
Qual è il filo rosso del film? Come hai scelto le parti del libro da raccontare e quelle da tralasciare?
“Qualunque adattamento di un lavoro ben scritto richiede delle scelte su come rendere al meglio l’anima del materiale che abbiamo a disposizione. Ho deciso che il film che volevo realizzare dovesse essere incentrato sul potere del libro e che non dovesse essere una mera descrizione di ogni singola parola o pagina. Volevo dimostrare come il libro attecchisca dentro di noi, ci influenzi e cambi il corso della nostra vita. Per farlo, ho creato una relazione molto significativa che si sviluppa attorno all’esperienza di condividere questa storia. Poiché tutti noi abbiamo la nostra personale esperienza del libro, ho voluto che anche la nostra protagonista ne avesse la propria interpretazione. Perciò le parti del libro che vediamo nel film sono quelle che parlano a lei e che sono particolarmente significative per la sua vita. La vita della bambina ruota attorno alle parti della storia che rappresentano delle lezioni per la sua vita e da cui ha bisogno di imparare. Come cineasti, abbiamo scelto esclusivamente gli aspetti del libro che erano importanti per lei e che ci aiutassero a raccontare la sua storia personale”.
Qual è stata la sfida più grande nel portare questo classico sullo schermo e quale la più grande ricompensa?
“La più grande sfida è stata realizzare un film che potesse essere amato tanto da coloro che hanno letto il libro quanto da quelli che non l’hanno letto. Volevo che funzionasse in questo modo e che avesse una propria valenza come film, indipendentemente dal libro. Se non fosse stato così, avremmo fallito nel compito di creare un’esperienza cinematografica ispirata al lavoro originale. E la maggiore ricompensa è stata la commozione del pubblico. Il mio più grande desiderio per questo film era di suscitare una reazione simile a quella che si ha nel leggere il libro. Ogni volta che qualcuno versa una lacrima nel vedere il film, so che il mio desiderio si è tramutato in realtà”.
Alcuni dei film d’animazione che abbiamo visto di recente, come Il Piccolo Principe o Inside Out, sembrano essere indirizzati a un pubblico molto vasto; tu hai un target specifico in mente quando pensi a un progetto cinematografico?
“Quando racconto una storia cerco di non rivolgermi a una determinata fascia d’età. Tento di fare qualcosa di interessante su molti livelli, qualcosa che sia emotivamente onesto e importante, ma più di tutto il mio obiettivo è creare un’esperienza umana condivisibile, che possa essere sentita indipendentemente dall’età. Al pari del libro, spero che il film parli a persone di tutte le età, e che possa significare qualcosa di diverso per tutti noi ogni volta che ne abbiamo una qualche esperienza”.
Puoi dirci qualcosa in più a proposito delle due tecniche d’animazione che hai utilizzato nella narrazione?
“Per raccontare la storia al meglio ho ritenuto opportuno utilizzare una combinazione di tecniche d’animazione. Mi piace molto come i vari media possano suscitare nel pubblico diversi sentimenti e effetti espressionistici. Ho pensato che la grafica al computer sarebbe stato il modo migliore di portare in vita la “realtà”, mentre l’animazione realizzata a mano avrebbe meglio reso la natura delicata e artistica dell’immaginazione della Ragazzina, che rivive la storia originale con i propri occhi. Il mio auspicio era che le due diverse tecniche potessero al tempo stesso, e nel modo più completo possibile, delineare e celebrare i diversi universi che avevamo in mente di esplorare. Tutto ciò mi avrebbe anche permesso di esprimermi sulla differenza tra l’essere adulto e l’essere bambino”.
Perché ritieni che il principe lasci la sua rosa?
“C i sono molte interpretazioni, e dopo aver studiato questa parte del libro accuratamente, so per certo che non ci siano delle ragioni chiare. È aperto all’interpretazione, e la mia si basa sulla mia esperienza personale. Credo che il Piccolo Principe lasci la sua rosa per accrescere la propria esperienza del resto del mondo, e anche perché non comprende completamente la natura della rosa e della relazione che ha con lei. Come si dice nel libro: Non lo capisce sul momento, ma il viaggio che fa è il primo passo per tornare da lei”.
Che significa per te “l’essenziale è invisibile agli occhi”?
“Ciascuno di noi ha la propria opinione a proposito di questa frase memorabile, e vorrei che le cose restassero così. Per me, l‘idea di fondo ha a che fare con l‘essenza stessa dell’amore. Quando teniamo a qualcuno, questa persona è con noi sempre, anche se non in forma fisica. Il vero amore trascende qualunque cosa”.
Quando credi che finisca l’infanzia?
“Credo che finisca quando smettiamo di ricordare. Se dimentichiamo la nostra infanzia, allora la perdiamo. Se la ricordiamo e la teniamo stretta, allora non ci lascerà mai. Mi piace pensare al Vecchio Aviatore come a una grande bambino, che impersona lo spirito del Piccolo Principe e ne diffonde il messaggio nel mondo”.
Hai chiamato la scuola del film Werth, come l’amico di Saint-Exupéry a cui il libro fu dedicato. Puoi dirci di più su questo personaggio così poco conosciuto? Perché Leon Werth era così importante per Saint-Exupéry?
“P er quanto ne so, Leon Werth era un caro amico di Saint-Exupéry e, come lui, era depresso per via di come si erano messe le cose nel mondo. A differenza di Saint-Exupéry, era bloccato in Francia durante l’occupazione della Seconda Guerra Mondiale. Aveva freddo, fame, ed era solo. La dedica era un tentativo per ricordargli che c’era ancora speranza. Credo anche che sia l’indizio più forte che il libro sia indirizzato sia agli adulti che al bambino dentro di noi, che tendiamo a dimenticare. L’idea di chiamare la scuola col suo nome è stato sia un legame a quest’aspetto del libro, sia un gioco di parole, dato che Werth suona come 'worth', un qualcosa di grande valore per il mondo adulto dove la nostra storia ha luogo”.
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