“Squadra che vince non si cambia” sostiene uno dei luoghi comuni più famosi applicati allo sport. David O. Russell sembra averlo fatto proprio, dal momento che con Joy torna a lavorare con Jennifer Lawrence, Robert De Niro e Bradley Cooper al terzo film di fila in quattro anni. E dal momento che soprattutto il secondo di questi, American Hustle, si è rivelato un più che sostanzioso successo commerciale, il regista ne ripropone anche molte delle coordinate estetiche.
Scivolando dagli anni ’70 del precedente heist-movie al decennio successivo, Russell mette in scena un’altra storia vera lavorando su tutto il glamour possibile che l’epoca poteva fornire. Ed ecco allora che come American Hustle anche Joy è un tripudio di musica, costumi, acconciature e trucco soavemente retrò, immagini patinate, rimandi meta-cinematografici che servono per mescolare toni e ritmo della storia.
Stessa formula, risultato (quasi) diametralmente opposto. Tornando infatti al detto con cui abbiamo aperto l’articolo, se però ad andare in campo è sempre la stessa formazione può anche capitare che i giocatori e le tattiche alla lunga si logorino. Ed è proprio questo che succede al film, il quale ripropone tutto quello che abbiamo già visto senza però amalgamarlo a dovere.
La prima parte di Joy è infatti una sorta di favola strampalata con inserti di vero e proprio surrealismo. La parte centrale invece si muove maggiormente dentro gli schemi del melodramma familiare, in cui la protagonista si sforza di affermarsi nonostante le influenze e gli insegnamenti non proprio positivi provenienti dal nucleo che la circonda. In alcuni momenti poi il lungometraggio scivola addirittura nel gangster-movie, salvo poi tirare in maniera più sotterranea anche alcune frecciate all’American Way of Life, che da sempre è inscindibile con il sistema capitalistico più potente e controverso dell’Occidente.
Insomma, alla fine del film – anzi, a essere onesti anche durante il suo svolgimento, e più di una volta – ci si chiede quale sia la vera anima di Joy, cosa David O. Russell abbia voluto realmente raccontare. Stavolta la miscela di stili e toni proprio non è riuscita a un autore che in questo caso appare più aver tentato la furbata che essere stato realmente ispirato dal racconto.
Per quanto riguarda gli attori, la protagonista Jennifer Lawrence si conferma sufficientemente efficace anche se i tempi di grandi interpretazioni, come ad esempio quella di Winter’s Bone (Un gelido inverno, 2010), sembrano ormai lontane. Il cast di supporto composto da Robert De Niro, Edgar Ramirez, Isabella Rossellini, Diane Ladd, Virginia Madsen si barcamena come meglio può dentro ruoli quasi tutti troppo irritanti perché si possa realmente entrare in empatia con loro. Alla fine il migliore in scena è Bradley Cooper, che si ritaglia un personaggio secondario e con sole due o tre scene riesce a dargli vigore, profondità, simpatia.
Joy è uscito nelle sale americane il 25 dicembre; in Italia si dovrà aspettare il 28 gennaio.
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