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December 13, 2015
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Sono cosa nostra! L’anteprima a New York del documentario sui venti anni di Libera

Chiara BarbobyChiara Barbo
Il momento della discussione dopo la proiezione a Brooklyn di Sono cosa nostra

Il momento della discussione dopo la proiezione a Brooklyn di Sono cosa nostra

Time: 4 mins read

Un documentario realizzato in occasione dei vent'anni dalla nascita di Libera, associazione di promozione sociale che raccoglie oltre 1600 associazioni e cooperative nel nome della condivisione, del lavoro e della lotta alla mafia.

Sono cosa nostra è stato presentato a New York il 7 dicembre 2015 in anteprima assoluta, in occasione della serie di proiezioni ed eventi organizzati in città da RAI Cinema, che ha co-prodotto il documentario insieme a Clipper Media. Raccontando il lavoro di alcune di queste organizzazioni e cooperative insieme all'esperienza personale di chi da anni si impegna ogni giorno a costruire, produrre, condividere e fare cultura in nome della lotta alla cultura e all'economia mafiose, Sono cosa nostra raccoglie una serie di storie che sono “storie di normalità possibili”, come spiega don Luigi Ciotti, presidente di Libera e presente al cinema Nitehawk di Williamsburg, a Brooklyn, per introdurre il documentario, insieme al regista e alcune protagoniste del documentario. Il docente di cinema della NYU Antonio Monda, ha introdotto gli autori e Don Ciotti.Don Ciotti ristorante

La Legge Rognoni–La Torre prevede, dal 1996, non solo il sequestro ma il riutilizzo dei beni confiscati alla mafia, “per l'uso sociale di questi beni – spiega don Ciotti – una legge che è stata fortemente voluta dalla base e che ha permesso di fare grandi passi avanti ma altri bisogna farne; infatti è previsto il sequestro e utilizzo dei beni immobili ma sui beni aziendali c'è ancora molta confusione (ndr progetti di legge per migliorare e ampliare la legge sono attualmente al vaglio di Camera e Senato), c'è un unico caso di successo, raccontato anche dal documentario, che è quello della Calcestruzzi Ericina, a Trapani. Inoltre – prosegue il presidente di Libera con l'eloquenza accorata e ferma che lo contraddistingue – c'è sempre chi trova un cavillo, un punto o una virgola, per ignorare, o bloccare le cose, invece con la mafia non ci si può permettere nessuna ambiguità!”, conclude con il tono severo di chi ha visto molte volte elusioni e colpe, pur all'interno della formale legalità.“Sono oltre 500 le associazioni e le cooperative che ad oggi hanno utilizzato i beni sequestrati alla mafia per creare e dare lavoro, coltivando, realizzando e vendendo prodotti biologici, nel rispetto della terra e delle persone, che hanno ridato libertà e dignità ai giovani in territori ad alta presenza criminale”, racconta don Ciotti. Il documentario diretto da Simone Aleandri ben racconta alcune di queste storie di giovani e lavoro in terreni e immobili un tempo (anche recente) appartentuti a boss e famiglie mafiosi: uliveti a Cerignola, vigneti di alta qualità nell'alto Belice corleonese, apicoltura in una cascina sulle colline del torinese, un maglificio nell'avellinese, oppure luoghi di organizzazione criminale, come un bar di un quartiere di Milano.sono cosa nostra

E accanto a queste, storie di famiglie, figli e figlie di magistrati e servitori dello stato uccisi dalla mafia ma la cui azione prosegue attraverso il lavoro delle cooperative di Libera. Sono alcune di queste storie di quotidiana e difficile lotta alla mafia, in territori in cui la mafia continua ad esserci e continua a minacciare, distruggere e uccidere. E questo documentario può aiutare a raccontare e far conoscere non solo quello che Libera ha fatto in questi anni, ma quella parte di Italia responsabile e coraggiosa di cui a volte ci dimentichiamo. 

Sono cosa nostra verrà trasmesso dalla RAI nelle prossime settimane, verrà presentato nelle scuole italiane e, proprio in questi giorni, è stato fatto un accordo con la diocesi di Brooklyn la cui televisione lo manderà in onda a breve (data da definire). Ma non basta, perché documenti come questo andrebbero visti dentro e fuori dal nostro paese, dove per esempio l'Unione Europea nel febbraio 2015 ha emanato una direttiva ai paesi membri affinché, oltre al sequestro dei beni mafiosi, prevedano anche, come in Italia, il riutilizzo di questi beni da parte e per il bene della comunità. E andrebbe visto qui negli Stati Uniti dove, al di fuori di poche eccezioni, si pensa ancora alla mafia come a un fenomeno siciliano fatto di sparatorie e uomini d'onore, come tanti film hollywoodiani hanno mostrato negli anni. Ma la mafia in America ha una storia e una quotidianità diverse, e soprattutto il cinema non è documento ma creazione artistica, e qui c'è stata spesso ambiguità anche a causa della scarsa conoscenza della realtà da parte del pubblico americano e internazionale. 

“La mafia ha radici storiche nel sud ma ha sempre fatto affari anche al nord – sottolinea Luigi Ciotti – e la mafia in questi anni si è globalizzata, così ci siamo globalizzati anche noi con Libera, e con le nostre attività”. Lontano dal sud e dall'Italia, Libera continua a fare attività e comunicazione in luoghi dove si pensa la mafia sia lontana (si vedano anche a questo proposito le campagne di comunicazione di Libera in collaborazione con la Cinemovel Foundation), mentre invece c'è e fa affari sotto ai nostri occhi, a volte con la nostra partecipazione, se si pensa per esempio al mercato della contraffazione, delle costruzioni, e tanti, tanti altri. 

Sono cosa nostra è un tassello di una comunicazione mediatica che può e deve fare la sua parte, possibilmente anche attraverso l'elaborazione artistica, attraverso forme d'arte e espressioni culturali che raccontino, spieghino ma anche in sé siano arte e bellezza. Vengono citate a proposito le parole di Peppino Impastato: “bisogna educare alla bellezza, riconoscerla e difenderla”. E il cinema in questo può avere una grande parte.

“I beni di cosa nostra devono quindi tornare ad essere cosa nostra”, conclude Luigi Ciotti, insieme al regista e ad alcune delle donne le cui storie sono state raccontate nel documentario, e riappropriarsi delle parole è importante, così come dare segnali forti, come ad esempio la nazionale di calcio italiana che, come mostra il documentario, è andata a giocare in quel campetto per anni in mano alla 'ndrangheta, per anni inutilizzato da bambini e ragazzi perché in mano mafiosa e sotto costante minaccia. 

Segnali visibili e inequivocabili quindi, sono importanti anche questi, e cinema, web e televisione possono e devono raccontare e far vedere questi segnali.

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Chiara Barbo

Chiara Barbo

Scrivere di cinema o scrivere il cinema? Possibilmente tutti e due. Dalla critica cinematografica alla sceneggiatura passando per la produzione, al di qua e al di là dell'oceano, collaboro con La VOCE di New York e con Vivilcinema, con la Pilgrim Film e con Plan 9 Projects. E anche con altri. Ma per lo più penso, immagino, ricerco, scrivo, organizzo in modalità freelance. Insieme a tanti altri, faccio parte della giuria del David di Donatello. New York è stata una scelta. New York è intensa, vitale, profonda e leggera, pacchiana e intellettuale, libera, creativa, è difficile, è bellissima, ed è la città più cinematografica del mondo.

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