Vedere un testo teatrale italiano contemporaneo tradotto per i palcoscenici newyorchesi è di per sé motivo di gioia per chi, come noi, segue la cultura italiana nella Grande Mela e sa quanto raro sia che qualsiasi cosa sia venuta dopo Pirandello (e che non sia Eduardo De Filippo) attraversi l'Atlantico. Ma Dealers of Souls. This Theater is not for Sale, fino a domenica 29 al Theater for the New City, nella produzione degli amici di Kairos Italy Theater, ci rende ancora più felici perché è teatro universale, parla il linguaggio della fascinazione del palcoscenico.
In scena ci sono Vito LaBella, nei panni dell'affarista senza scrupoli, Francesco Andolfi che interpreta il giovane drammaturgo idealista e Laura Caparrotti, fondatrice di Kairos oltre che columnist de La VOCE, che firma anche la regia e che nello spettacolo è “la donna”, un personaggio enigmatico, un po' fantasma, un po' folletto dispettoso.
È lei la vera anima della storia, ma la sua identità è indefinita e indefinibile. È una pazza che vive nei suoi deliri di grandezza o una diva decaduta intrappolata nell'amaro ricordo delle glorie del passato? Una barbona che sopravvive nascondendosi nel vecchio teatro o un'attrice di lunga esperienza? È viva o morta? Vera o immaginaria? L'accento marcatamente straniero, lascia immaginare un passato in luoghi lontani. Ma è tutto parte di quella nube di mistero che la circonda. Da dove viene? Le storie che racconta sono tutte fandonie o dietro c'è un sapere che al giovane ancora sfugge?
In questo spettacolo è vero tutto e il contrario di tutto. Quello che è certo (eppure è proprio quella certezza ad essere minacciata dall'affarista) è il teatro, la magia, lo spazio dove tutto viene sospeso, dove vigono regole proprie, quel quadrato disegnato sul pavimento dentro il cui perimetro l'impossibile si fa possibile e fuori dal quale la realtà soffoca sogni e creatività.
La trama racconta di un impresario dall'aria e dai modi del traffichino (Vito LaBella) che vuole comprare il teatro facendo credere di volerlo riportare alle vecchie glorie. In realtà, disilluso da quella che ormai per lui è soltanto un'industria che non fa più soldi, vuole trasformarlo in un supermercato. Il teatro è nelle mani di un giovane sognatore (Francesco Andolfi) che si fa ingannare dalla falsa speranza di vedere messi in scena i suoi testi. Entrambi gli attori donano carattere ai due personaggi muovendosi sul filo del surreale e del grottesco, come in una commedia di costume dei bassi fondi.
Il testo, scritto da Alberto Bassetti a inizio anni 2000 col titolo di Venditori di anime, è una denuncia della scomparsa dei teatri, sempre più schiacciati dalle logiche del mercato immobiliare e da un pubblico distratto che non sa più riconoscere la magia dietro il sipario. Per quanto appropriato possa essere in una New York dove gli spazi teatrali fanno sempre più fatica a sopravvivere, questo spettacolo non parla soltanto di un ennesimo teatro che rischia di chiudere, ma delle porte dell'immaginazione che rischiano di chiudersi, lasciando fuori una realtà che, con la capacità di immaginare, perde poesia, eleganza, intelletto, profondità, amore, in una parola: umanità. La donna resta dentro, è sempre stata lì e sempre ci resterà. Forse è l'anima del teatro, forse ne è la decadente nemesi.
Tra nostalgia e amarezza, si riflette, ci si commuove, ma soprattutto si ride. Di gusto. Ché, si sa, a noi italiani viene da ridere anche quando ci sarebbe solo da piangere.