Bridge of Spies continua in maniera esemplare il percorso estetico e contenutistico che Steven Spielberg ha da sempre intrapreso nella sua straordinaria carriera. Il regista ha tentato di raccontare la Storia cambiando costantemente punto di vista, prospettiva, e di conseguenza forma estetica di racconto. Dall'eleganza formale degli anni '80 di The Color Purple (Il colore viola) o Empire of the Sun (L'impero del sole) è passato all'estetismo del bianco e nero di Schindler's List e poi alla poderosa ruvidezza di Saving Private Ryan (Salvate il soldato Ryan) e Munich, tanto per citare i suoi titoli più riusciti. Con il suo ultimo, magnifico Lincoln aveva proposto nuova visione, più "pacata" e concentrata alla composizione cromatica dell'inquadratura, espressa in particolar modo lavorando sull'assenza o meno di illuminazione. Una sua "classicità" oseremmo dire, che Spielberg pare essere arrivato a esplicitare in immagini e non soltanto nella modalità del racconto.
Poi arriva Bridge of Spies a testimoniare che il suo autore ha raggiunto la sua meta estetica. Saranno i suoi prossimi lungometraggi a confermarcelo o meno, ma intanto questa sua spy-story che pare uscita direttamente dalla mente di John Le Carré è un vero e proprio gioiello di cinema.
Come ognuno dei suoi film che si prefigge di raccontare una pagina di storia americana, Spielberg nasconde dietro l'apparente retorica di superficie una critica profonda al sistema che racconta. A. ben guardare gli eroi di Bridge of Spies sono due: l'avvocato Tom Hanks che viene isolato dai suoi stessi compatrioti perché vuole compiere al meglio del suo senso etico quel dovere che gli è stato chiesto di compiere, e la spia russa Mark Rylance, che nonostante il pericolo incombente sceglie come l'altro di rimanere fedele al suo scopo. Una fratellanza ideale che in un film ambientato nel pieno centro di una pagina ancora per molti versi oscura come la Guerra Fredda, rappresenta una presa si posizione a dir poco scomoda.
Come spesso accade nel suo cinema, soprattutto quando ha come protagonista Tom Hanks, sono gli uomini di tutti i giorni a diventare i veri e propri eroi, mentre quelli deputati a esserlo mostrano invece le falle di un sistema che li vorrebbe sul piedistallo. E così è un semplice avvocato specializzato in assicurazioni a rappresentare il volto sincero e incrollabile di un Paese in cui tutti invece hanno un doppio fine, un volto nascosto, molto spesso proprio dietro la maschera del perbenismo. Sia Spielberg che i Fratelli Coen, autori della sceneggiatura, non risparmiano al pubblico un visione amara del "sogno americano", svanito dietro una cortina di paranoia e terrore insensato proprio nel momento storico in cui invece avrebbe dovuto rimanere cristallino, incontaminato.
Tom Hanks si dimostra, come sempre, il migliore attore americano in circolazione quando si tratta di dare spessore emotivo e psicologico all'uomo comune, che poi rimane il pilastro fondante di una società fondata sull'individuo più che sulla collettività, è sempre bene ricordarlo. Più vicino all'icona di Spencer Tracy che a quella di Gary Cooper, Hanks è incredibile nel continuare a rinnovare film dopo film sempre il "tipo fisso" che recita da anni. Ci vogliono un talento e un carisma innati per riuscire in questo. Accanto a lui un prezioso Mark Rylance e un gruppo di comprimari tutti sintonizzati alla perfezione su un timbro recitativo sobrio. Impagabili.
Bridge of Spies è un film stratificato, fluido nello sviluppo, solido e soprattutto clamorosamente coerente nella confezione. Una piccola grande lezione di cinema che ha raggiunto un suo equilibrio, una sua maturità. Esemplare.
Il film usce negli Stati Uniti venerdì 16 ottobre, mentre per vederlo in Italia si dovrà aspettare giovedì 17 dicembre.
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