La ragione per cui diffido degli animalisti pur essendo convinto che la difesa dell’ambiente sia la nostra assoluta priorità, è che sono dei globalisti. Poco importa che la globalizzazione che promuovono non sia economica bensì morale e che ciò che vogliono imporre su scala planetaria non siano consumi ma costumi. Socialmente il loro obiettivo è identico a quello delle grandi corporation: omogeneizzare il mondo, trasformarne la straordinaria varietà di culture in un multiculturalismo da supermercato, in cui si trova un po’ di tutto ma solo un po’, prodotti precedentemente selezionati e anestetizzati in modo da poter essere accettabili da chiunque. In sostanza, il globalismo del neocapitalismo, che impedisce alle singole comunità di svilupparsi autonomamente: moneta unica, catene commerciali identiche ovunque, loghi e celebrity universalmente riconoscibili, possibilmente un’unica lingua e nel frattempo un’unica rete mediatica.
Oggi gli animalisti sono calati a Siena, parecchi di loro dal nord Europa a dall’America settentrionale, a portare in apparenza il loro amore per i cavalli, in pratica la loro totale incomprensione per le tradizioni altrui, il loro disprezzo per le differenze che non siano quelle da loro accettate e santificate. Possibile che non si rendano conto che l’attenzione dei giornali e dei telegiornali per la loro protesta deriva unicamente dal fatto che alle multinazionali e ai loro regimi liberisti fa comodo indebolire una passione (il Palio) e una struttura sociale (le Contrade) da loro non controllate, in modo da poterle poi disneyficare? Come accaduto col calcio, una volta passione popolare e oggi spettacolo televisivo (non è un caso che l’attacco contro la FIFA sia partito dal governo USA e punti a rendere anche questo gioco un veicolo di conformismo e consumismo). Ci provassero, gli animalisti, ad andare invece a manifestare davanti a uno dei tanti campi di concentramento per bovini (centinaia di migliaia di animali tenuti per tutta la vita in spazi così ristretti da impedirne il movimento) che ormai forniscono il 99% della carne ai consumatori americani: non solo qualche sceriffo interverrebbe per impedirglielo ma i media ignorerebbero la loro azione.
Alla base dell’ideologia animalista c’è un equivoco fondamentale: la convinzione che l’etica sia universale. Invece essa è sempre e solo locale, ancorata a situazioni reali di esistenza, a concrete relazioni e pratiche di vita. La carta dei diritti universali andrebbe giocata con molta attenzione e solo in casi di estrema gravità – un genocidio, il rischio di estinzione di specie animali, il cambiamento climatico. Altrimenti non si tratta più di universalismo ma di integralismo, con l’aggravante che si tratta di un integralismo operante ovunque. Zygmunt Bauman ci ha messi in guardia contro i rischi del pensiero unico: per la prima volta nella storia, ha spiegato, ci troviamo di fronte alla possibilità di un sistema sociale, economico e culturale davvero “senza alternative”.
O gli animalisti non se ne rendono conto, e sono dunque degli ingenui, o lo capiscono, e allora sono complici del liberismo globalista. In ogni caso sono oggettivamente dei nemici di chi lotti contro la globalizzazione. È lo scontro che deciderà nei prossimi anni, il futuro della civiltà umana: da una parte chi crede che esistano una sola verità e una sola giustizia, un modello assoluto di bene; e vuole obbligare gli altri ad adeguarsi, distruggendo stati e comunità (qualcosa di simile all’idea di democrazia che hanno gli americani e che cercano di esportare, anche militarmente, nel resto del mondo). Dall’altra parte chi ancora crede che le condizioni necessarie della democrazia e della ricerca di eguaglianza e felicità siano la molteplicità e inconciliabilità delle esperienze e dei progetti sociali – come, in quello straordinario romanzo che sono le Città invisibili di Calvino, gli innumerevoli esempi di aggregazione civile narrati da Marco Polo a Kublai Khan, a resistere al desiderio imperiale di unità e informità, anche se perseguito nel nome della giustizia e dell’ordine.