Un’esperienza formativa, di quelle che ti cambiano per sempre, quella descritta da John Turturro nel parlare del lavoro con Francesco Rosi. L’incontro tra l’attore americano e il regista italiano avvenne grazie a Martin Scorsese che aveva parlato a Turturro del lavoro di Rosi e lo invitò a una proiezione di Salvatore Giuliano. Fu così che scoccò l’amore. Turturro si appassionò all’opera di Rosi e finì per lavorarci insieme sull’ultimo film diretto dal regista, La Tregua (1997), tratto dall’omonimo romanzo di Primo Levi che racconta l’esperienza autobiografica del rientro in Italia dopo la liberazione di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche. Il film, che ebbe anche in fase di lavorazione una storia sfortunata (un componente della troupe morì durante le riprese in Ucraina, un altro morì poco prima di ultimare il montaggio), non ebbe un grosso successo di critica di pubblico, ma diede vita a un’amicizia che si sarebbe interrotta solo con la morte di Rosi.
L’attore John Turturro durante l’incontro Citizen Rosi
Lo scrittore Roberto Saviano in collegamento via Skype con l’Istituto Italiano di Cultura di New york
A raccontare queste e altre storie è stato John Turturro durante l’incontro del 17 aprile, Citizen Rosi, dedicato alla memoria del regista italiano, all’Istituto Italiano di Cultura. Dopo l’esperienza con Rosi, Turturro ha proseguito la sua avventura nel cinema italiano fino al recente Mia Madre, di Nanni Moretti che in questi giorni ha presentato a Cannes al fianco del regista. Ma Rosi non si limitò ad aprire il mondo del cinema italiano all’attore italo-americano: l’esperienza sul set fu dura, ma tra i due si creò una connessione in termini di sensibilità: “Mi ha cambiato la vita. Lui non aveva avuto figli e io ho perso mio padre. L’ho amato e lo amo molto” ha detto Turturro spiegando che, non essendo riuscito ad andare al funerale a gennaio, essere presente all’incontro all’Istituto italiano di Cultura era per lui un modo per salutarlo. L’attore americano ha descritto Rosi come un grande professionista e un uomo duro e testardo (un elemento della sua napoletanità, ha detto Turturro che a Napoli ha dedicato un film come regista, Passione), ma dal cuore grande.
All’incontro era in programma la partecipazione di Roberto Saviano che tuttavia non ha potuto essere presente (per ragioni di sicurezza, si vociferava in sala) ma ha fatto un’apparizione via Skype (guarda il video) durante la quale ha descritto alcune delle caratteristiche umane e professionali del regista scomparso all’inizio di quest’anno. “Il protagonista dei film di Rosi è il potere di cui le sue opere descrivono nei dettagli le dinamiche, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, riportate con rigore, quel rigore che è parte della sua estetica” ha detto Saviano spiegando che Rosi era un regista impegnato che non accettava l’idea che l’arte non abbia più niente da dire e possa quindi disinteressarsi della società e dei suoi mali. “Se oggi qualcuno mi chiedesse che cosa è il potere gli risponderei: guarda i film di Rosi, un genio della mia città” ha concluso lo scrittore napoletano.
Nel corso dell’incontro si è parlato anche di come l’opera di Rosi sia stata recepita all’estero e spesso non capìta. Quando negli USA arrivò Lucky Luciano, ha raccontato Gaetana Marrone-Puglia (Princeton University) che ha moderato l’incontro, fu proiettato nei cinema del distretto di Broadway che generalmente accolgono film commerciali e per il grande pubblico. Con una presentazione del genere era forse inevitabile che non fosse capito: “Quel pubblico non era pronto per quel film e la gente si lamentò che non c’erano abbastanza sangue e azione”. Il linguaggio di Rosi non era certo facile da capire per un pubblico abituato a Hollywood e a una caratterizzazione dei personaggi a tutto tondo.
Eppure Rosi era un ottimo artigiano del cinema, come ha raccontato il critico cinematografico e direttore del Festival del cinema di Roma, Antonio Monda, spiegando che uno che conosceva tutti i trucchi del mestiere come li conosceva lui alla fine non poteva non essere apprezzato anche dagli americani. Monda ha offerto un punto di vista ravvicinato sul lavoro di Rosi con cui aveva una profonda amicizia. “Una volta – ha raccontato Monda – gli chiesi come avesse fatto a ottenere una scena così forte nella sequenza in cui la madre di Salvatore Giuliano piange sul corpo del figlio ucciso. Mi disse che a quella donna la mafia aveva ucciso il figlio: lui cercava sempre un momento di verità artistica”. Monda ha poi proseguito contestando la visione che vuole Rosi regista ideologico: “Nei suoi film Rosi ha sempre sollevato domande più che dare risposte”.
Morto all’età di 92 anni il 10 gennaio di quest’anno, Rosi ha lasciato un’eredità indelebile al cinema italiano e internazionale, dimostrando che si possono raccontare i più grandi drammi e gli aspetti più scuri di una società con rigore e purezza, senza bisogno di cercare l’effetto drammatico ma spogliando la realtà fino a mostrarne la violenta e dolorosa crudezza.
Qui di seguito i video dell’intervento di John Turturro all’Istituto Italiano di Cultura >>