Il discorso su come l’arte influenzi l’arte è discorso antico e vede fazioni varie prendere le parti di quella o quell’altra arte, riconoscendo una scala di importanza che è ben lontana da essere provata.
Un esempio di quanto un’arte possa dare all’altra è stato dato alla Montclair State University in occasione dello spettacolo Rocco presentato al Kasser Theater, importante teatro che offre un programma dedicato al meglio della produzione contemporanea teatrale mondiale. Rocco, creato da Emio Greco e Pieter C. Scholten è stato ispirato dal capolavoro cinematografico di Luchino Visconti Rocco e i suoi fratelli. Chi scrive ritiene che il film di Visconti sia uno dei grandi capolavori della cinematografia mondiale di tutti i tempi, dunque è chiaro che ero particolarmente incuriosita da quello che Rocco aveva preso e riportato in una coreografia.
Conoscendo il film quasi alla perfezione, mi chiedevo se avessero puntato alla figura di Rocco o ai suoi fratelli, se le atmosfere di una Milano nebbiosa e difficile sarebbe stata colta oppure se la figura della madre, di grandezza tragica, sarebbe stata al centro della coreografia. Con mia grande sorpresa, Greco è partito da tutt’altro punto di vista. Il coreografo ha, infatti, parlato di corpi, di coreografie della boxe, di piccoli passi fatti di fretta per evitare l’avversario, di due energie che si incontrano, si scrutano, si combattono. Ha sottolineato l’uso della luce nel ring creato per la sua coreografia, una luce che prima sfiora e poi diventa più piena, ma mai accecante.
Il progetto è partito dal film, visto che Scholten stava, con la sua compagnia, creando uno spettacolo che portava in scena proprio la storia del film di Visconti. Avendo chiamato Greco a collaborare ai movimenti, il coreografo italiano, ormai molto più parigino per lavoro, ha iniziato a pensare ad una coreografia staccata dalla versione teatrale. Così è nato Rocco.

Il dibattito moderato da Teresa Fiore all’Inserra Chair.
Per qualcuno, come me, che conosce perfettamente il film, la chiacchierata a cui ho assistito dopo la performance ha dato molto, facendomi pensare ulteriormente proprio alla costruzione del film e al significato che forse persino lo stesso Visconti aveva voluto dare nel fare Rocco un campione della boxe e non di un altro sport. I corpi che combattono, entrando e uscendo dalla luce, essendo prima corpi calmi e poi in lotta uno con l’altro, rendono perfettamente il rapporto dei fratelli fra di loro e all’interno di una città che li trasforma, li sconquassa in certi casi, li distrugge o li fa rinascere. Teresa Fiore, dell’Inserra Chair in Italian and Italian American Studies del Department of Spanish and Italian, ha moderato il dibattito cercando di indagare quanto il film e la coreografia avessero in comune o comunque quale fosse il filo che li legava. Alternando spezzoni del film, fra cui il celeberrimo pezzo sul Duomo di Milano, a momenti della coreografia, la Fiore è riuscita a portare il pubblico attraverso le due versioni di Rocco, mostrandole come una cosa sola. Il plauso va a lei, a coloro che hanno contribuito a creare la serata (l’Office of Arts and Cultural Programming e l’ICKmasterdam) e ovviamente agli artisti, non tanto perché hanno proposto qualcosa di piacevole, ma soprattutto perché attraverso un evento simile hanno dimostrato che l’incontro fra le arti crea altra arte e ci spinge davvero ad allargare i nostri punti di vista e a sentire con modalità nuove che rischiano – e che bello! – di trasformarci in meglio.