Tra le mani rugose una tazza di tè bollente, in testa un anacronistico cappellino rosso che nasconde male dei boccoli bianchi. “Le dispiace?” chiede prima di sedersi a dividere il mio tavolo. Una domanda di cortesia, che non necessita risposta: il bar a duecento metri dal Palabiennale alle 10.30 è denso degli spettatori della primissima proiezione del giorno che partono presto per la maratona di film programmata districandosi tra più di quaranta proiezioni suddivise per otto sale. Il film delle 8.30 è appena finito e i loro occhi stralunati dal contrasto del sonno con il buio della sala e del buio della sala con la luce di metà mattina, necessitano di un caffè. Ma la vecchina che ho di fronte stringe tra le mani il tè e non il programma della 71ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ha la calma tipica di chi non deve correre in un’altra sala. “Vivo a Lido da sempre”, dice spontaneamente. Perché va al Lido con l’articolo determinativo solo chi a Lido non ci vive. Per i residenti Lido è come Roma, Milano, Venezia: unico anche senza articolo. “Di Mostre del cinema ne ho viste tante, sempre da fuori però. Non amo i film, lascio che vadano a vederli i miei figli. Per capire che è ora del Festival mi basta vedere quante corse degli autobus ci sono in più e soprattutto quanto sono piene”.
L’idea me la dà lei, la vecchina del tè dal cappello rosso. Perché non leggere il Festival del cinema attraverso chi lo popola? Anche lei è compresa, suo malgrado, nella rosa dei personaggi che si trovano a vivere la dodici giorni veneta più eccentrica dell’anno. Li ho realmente incontrati, qualche volta mio malgrado, e ognuno di loro mi ha mostrato la propria prospettiva. Una carrellata di diapositive e piccoli ritratti che dura un giorno, che parte dal mattino e porta dritta nella movida e nella mondanità notturna. Lascio la Residente e in pullman origlio la Residente sanguinaria.
Una mia amica è andata a vederlo e si è sentita male in sala. Mio nipote è tornato a casa dopo la proiezione ieri sera e mi ha detto che è assurdo. Ne stanno parlando così tanto di questo film… si chiama Nabi… Nobi… che inizio ad incuriosirmi.” La Residente sanguinaria ad occhio e croce ha più di 80 anni. Arzilla, viaggia seduta nel posto riservato agli anziani in bus. Chiacchiera in stretto dialetto veneziano con i conoscenti in piedi vicino a lei e sembra tutto tranne che una ferrata cinefila. Il film che descrive si chiama Nobi – Fires on the plain, 87 minuti di pura atrocità, orrore, teste che schizzano cervelli e soldati filippini che per sopravvivere diventano cannibali. Uno splatter magistrale, dicono gli esperti, che ai comuni mortali fa passare l’appetito per i quindici giorni successivi alla visione, con scene che ti si incollano in testa ogni volta che per cena c’è un filetto di manzo. La residente sanguinaria è il vero termometro di cosa fa parlare, dei film che colpiscono, che passano di bocca in bocca a conferma che il detto “bene o male, purché se ne parli” vale anche per i registi giapponesi.
Ghignando all’idea delle smorfie di disgusto che potrebbe fare una nonnina del genere di fronte alle scene dei cannibali, si entra in sala, pronti per gustare qualche altra chicca che difficilmente verrà distribuita in Italia. Ed ecco che si incontra il peggior nemico dello spettatore medio: il Disturbatore di sala. La sua sembra essere un’arte messa a punto negli anni. Se estrai il cellulare nel cuore del film è pronto con un: “Scusa, puoi spegnere? Il tuo telefono fa così tanta luce che non si vede nulla”. Se ad essere appassionato del film in questione invece sei tu, di certo lui estrarrà il suo cellulare e si metterà a mandare messaggi con il suono dei tasti attivato e una luminosità dello schermo in grado di abbagliarti. Che tu sia alto o basso lui sicuramente avrà qualcosa da ridire, perché la tua testa è proprio nel centro della sua visuale e se tu non ti sposti di lato lui non ci vede niente. Il Disturbatore di sala ama inoltre appoggiare la punta della scarpa alla fila davanti picchiettando con vigore nell’apoteosi del suo tic nervoso durante tutta la visione del film, con il risultato che tutta la fila dove il disturbatore è seduto e tutta la fila davanti uscirà dalla sala con un leggero inspiegabile senso di nausea dovuto al trotterellare costante. Purtroppo il Disturbatore di sala ama alla follia la Mostra del cinema e cerca di essere presente il più possibile. Per la gioia di tutti.

A Venezia si pranza a pane e cinema
Finisce il film e prosegue il percorso ad ostacoli. Lascio indietro il disturbatore che si può ancora udire mentre, tra gli applausi generali al regista presente in sala, lui in modo originale e singolare, gli indirizza urlando un “Ma vai a raccogliere bucce di banane in autostrada!” ed è già ora di pranzo. È qui che si incontra il paninaro del chiosco El Pecador che ribattezzo con il nome di uno dei suoi famosi panini: Al Panino. Alimentarsi durante la Mostra è un’impresa: il cibo c’è ma con una qualità inversamente proporzionale al prezzo. Il menù è variegato: si va dai tranci di pizza ai panini oppure dai panini ai tranci di pizza. Il popolo mangiante si divide in due macrocategorie: i furbi e chi predilige il gusto. I furbi si indirizzano sempre tutti verso lo stesso chiosco dove, vuoi per la calca, vuoi per la fretta, nessuno si prende la briga di controllare gli scontrini. Non è raro quindi – e si parla di una tradizione che prosegue da anni – portar via cinque panini al prezzo di un caffè, ordinando ciò che costa meno alla cassa e rubando ciò che costa di più al banco. La tattica ai più golosi però non interessa. Per loro esiste El Pecador, un banco di panini farciti di ogni ben di Dio, dove con il prezzo fisso di 5 euro, visti i nomi dei sandwich, si può andare avanti a pane e cinema: c’è Bread Pitt, Al Panino, George Crudey con vere fette di prosciutto crudo, ci sono Briez Taylor e quell’istinto al basilico di Basil Instinct. Piccolo dettaglio: se vuoi Al Panino durante il pasto non puoi andare in bagno. In un Festival dove tutto è telematico e i biglietti per il pubblico vengono visti da lettori ottici direttamente sullo smartphone, non si può fare pipì perché il bagno, a 20 metri, si trova “al di là della transenna, e per questioni di sicurezza – spiegano le maschere del Palabiennale – non possiamo farvi passare”. Quindi si fanno i chilometri, prima o dopo il pasto, non in contemporanea.

Sono tanti i ragazzi che si mettono in fila fina dalla mattina e si riparano dal sole con ombrelli da pioggia
Un paio di film li abbiamo già visti e la pancia non brontola più. Ci possiamo dunque avvicinare al Red Carpet dove i teen-ager fanno file dal mattino proteggendosi dal sole con gli ombrelli e le donne girano in vestito da sera fin dall’alba o forse ancora dalla notte prima. E qui accade l’inimmaginabile. Sul tappeto rosso dovrebbero sfilare le star, quindi le persone per definizione conosciute, famose. E invece quando passa il Famoso per davvero, nessuno lo riconosce. La prassi prevede l’arrivo in incognito all’hotel Excelsior, cuore della mondanità, la salita a bordo in auto dai finestrini oscurati, quest’anno messe a disposizione dalla Renault, e la discesa a filo tappeto. Qui il vip viene anticipato da una sorta di gentile portavoce che, a bassa voce, dice nome, cognome e qualifica del neo arrivato prima di lasciarlo in pasto ai paparazzi. Invece per il Famoso per davvero niente arrivo prestigioso, niente auto private, niente portavoce. Lui, Marky Ramone, leggenda americana del punk, cerca di fare tutto da solo, sfila sul tappeto e prova in tutti i modi di attirare l’attenzione per farsi almeno riconoscere. Ma i fotografi sbadigliano e se lo lasciano scappare. Una figuraccia per il batterista dei Ramones che a orecchie basse prosegue la sua corsa per altri lidi, verso l’Home Festival di Treviso che pochi giorni più tardi l’ha accolto in un immenso prato su un tappeto di fango ma con tanti applausi.
Guarda questo come fa il deficiente!” dice ghignando il Fotografo che non sa chi e cosa siano le star. Peccato che indichi proprio Ramone. Ma a lui, abituato a comodi jeans e maglietta, quell’abbigliamento in giacca e cravatta per fare da degno sfondo delle foto altrui proprio sta stretto. In tutti i sensi: il collo della camicia tira, il bottone dei pantaloni sta per esplodere modello proiettile e la giacca è poco adatta al gomito a novanta gradi necessario per scattare. Arrivano le modelle, magari solo brevi comparse in film di seconda mano, ed è tutto un flash. Tra uno scatto e l’altro non è difficile però ascoltare le pillole di saggezza che il Fotografo che non sa scambia con i colleghi vicini. “Ma quella, chi è?”. Risposta: “Facciamo che te lo dico domani mattina, dopo aver letto il suo nome sul giornale.”

Bellissime e sconosciute sul red carpet attirano i flash dei paparazzi
Vestito nero in tulle, un bel corpetto sostenuto sopra, la gonna più corta davanti, con lo strascico dietro: la Famosa per finta è bellissima e quasi sconosciuta. L’hai già vista da qualche parte, sei sicuro che non sia un volto nuovo, forse una pubblicità, massì non è quella che ha fatto quella fiction… Ma sì dai, quella! Continui a guardarla per cercare di metterla a fuoco mentre i fotografi di metterla a fuoco ci hanno rinunciato da un pezzo. In tutto questo lei se ne sta bellissima, immobile come una statua e sola di fronte alla piscina dell’Hotel Excelsior dove è in corso la cerimonia del Premio Kineo. Mentre vengono premiati Elena Sofia Ricci e le giovani promesse del capolavoro di Virzì Il capitale umano, nessuno le chiede un autografo, un selfie. Poi qualcuno viene colpito dalla compassione, si fa coraggio con l’amico e va a farle un po’ di compagnia. Perché “una foto con una gnocca così non mi ricapita più”.

L’arrivo in Renault a bordo tappeto rosso ├¿ il modo scelto da molti per far capire che si ├¿ famosi
Se al Premio Kineo si entra solo su invito ma tu sei amico dell’Infiltrato, non hai nulla da temere. La sua religione è: “Se passi i controlli con un buonasera e il fare di chi è lì perché è atteso, nessuno avrà il coraggio di chiederti chi sei”. A differenza del Fotografo che non sa, il buttafuori ha il dovere di conoscere gli invitati, cosa pressoché impossibile visti i troppi Famosi per finta in circolazione. L’occorrente per non venire rimbalzati e superare i controlli dell’invito nominale obbligatorio nelle varie feste serali più glamour, come quelle organizzate da Grazia o Vanity Fair, è: avere un atteggiamento degno di una star, leggermente snob, con un sorriso appena accennato ai buttafuori come se non fossero un tuo problema, avere un vestito degno di una star, ottimi i papillon per gli uomini e i vestiti con strascico e decollete mozzafiato al gusto silicone per le donne. Se poi si riesce a farsi amico anche il povero autista che guida la Renault dai finestrini oscurati il gioco è fatto: nessuno avrà mai il coraggio di chiedere l’invito a chi scende dall’auto precettata per portare avanti e indietro i famosi veri o presunti. Il problema dell’Infiltrato è che prende la Mostra del cinema come una sfida con sé stesso: eventi di lancio dei film, vaporetti notturni fino ai party più esclusivi in Palazzina Grassi a Venezia, free drink e alcol come piovesse e sono già le sei di mattina. Seguire l’Infiltrato nelle sue public relations è un impiego a tempo pieno ma il divertimento, le risate e soprattutto il senso di onnipotenza per essere riusciti a spacciarsi per quelli che non si è, sono assicurati.
Il Vero invitato ai party esclusivi schifa gli Infiltrati, non capisce perché così tanta gente debba per forza stargli addosso, ballando in questo modo forsennato quasi non ci si possa divertire anche solo ubriacandosi. Il Vero invitato schifa il ballo in pista, se ne sta nel privè, beve avidamente, sorride vacuo a complimenti che, dopo le 3 di notte tenendo per mano una biondina che potrebbe essere sua nipote, non comprende più. Poco importa che sia un importante regista o direttore della fotografia: essere invitati è una necessità, esserci una cortesia.
L’Invitato invasato ha il suo regolare invito nominale, fa parte del mondo dei cinema, veste in modo appropriato ma, un po’ come tutti qui per la verità, vede troppi film. Quindi menare pugni con annesse minacce di morte per motivi sconosciuti ai più non gli sembra tutto questo scandalo. Lo fa anche con la rincorsa, butta a terra il nemico, mentre noi poveri malcapitati intorno subiamo colpi come fossimo nel bel mezzo del pogo. Arrivano i buttafuori e dividono gli Invitati invasati. Loro si rialzano con occhi iniettati di sangue (chissà se solo di sangue) e lo sguardo dell’orgoglio violato. Nota positiva: gli Invitati invasati rendono l’atmosfera veramente gangster e degna di una Mostra del cinema. Nota negativa: le atmosfere gangster sembrano poco ridicole solo se viste sul maxischermo.

Per la prima volta, un leone d’oro alla carriera ad un montatore
Abbiamo fatto mattina. Sono già le 4 e ci restano 4 ore scarse da dormire prima della prima proiezione e prima che il carrozzone riparta da capo con i suoi variopinti casi umani. Ma prima di chiudere gli occhi, per purificarmi dagli sguardi iniettati di psicofarmaci che ho visto nelle star, ripenso alle parole della Leonessa d’oro. “Vorrei raccontare alle giovani generazioni quanto è bello fare questo mestiere, per me curare il montaggio dei film è come lavorare l’argilla, plasmando le immagini affinché riescano a valorizzare il lavoro degli attori”. Chi parla è la vincitrice di tre premi oscar Thelma Schoonmaker, colei che per mezzo secolo ha affiancato Martin Scorsese al montaggio per 22 indimenticabili film. Americana e settantaquattrenne, a Venezia si è aggiudicata il Leone d’oro alla carriera per la prima volta consegnato ad un montatore. In Sala Grande l’emozione è palpabile e sottolineata dalla sua umiltà. “Il mio lavoro è la cosa più emozionante del mondo. Ricevere questo premio per me è la ciliegina sulla torta”. Che donna, che passione.
Distesa a letto, su un materassino di un appartamento a quattro chilometri dal cuore della Mostra, che condivido per poter pagare un affitto umano, mi metto a cercare alcune sue note biografiche, ripercorro la sua filmografia. L’adrenalina tiene svegli e fuori è già l’alba. Tra poco è tempo di tornare in sala e io in tutto questo, come direbbero i tanti registi cinesi dei film che in questi giorni ho amato più di tutti, da Dearest a Binguan, Lido un sacco.