
James Eades
Una rubrica che si chiama In Scena fa pensare principalmente al vecchio palcoscenico di legno dove attori dalla voce potente si muovono portando una serie infinita di personaggi in vita. Oggi, però, con le tecnologie che ci sono, mi sembra di poter dire che il palcoscenico di In Scena si è allargato tanto da raggiungere persino il web. Curiosando, infatti, fra le famose, innumerevoli serie web, ho trovato un prodotto fatto molto bene, dal titolo The Back of the Busk. La serie parla degli artisti che si esibiscono nelle strade di New York, nelle metropolitane, nei giardini e nei parchi. Il palcoscenico è dunque la città, gli spettatori, gente comune di passaggio, turisti e residenti che decidono o meno di fermare un attimo il tempo godendo di quello che questo artisti davvero unici hanno da offrire. Pillole di quella New York famosa in tutto il mondo, quella dell’arte ovunque, quella che apre le braccia e racconta i suoi mille colori attraverso coloro che questi colori li generano. La serie sta avendo grande successo e io ho fatto qualche domanda a James Eades, colui che ha montato tutta la serie, per saperne di più.
Come nasce "The Back of the Busk" e che significa il titolo?
https://youtube.com/watch?v=KYDcKR38HBM%3Flist%3DPL8R02VWYIHa1KQd7ouiSPKXonvj8EDm5G
"The Back of the Busk" è una serie web che racconta le storie degli artisti di strada di New York. Ci proponiamo di rivelare uno scorcio della vita di coloro che portano la musica e la performance nelle strade di New York. “The back of the busk” e’ un gioco di parole che usa la parola “busk” – che significa esibirsi per strada – in una frase che normalmente sarebbe “back of the bus,” cioè “in fondo all’autobus.” Vuole far riferimento al fatto che gli artisti di strada sono spesso considerati come cittadini di secondo grado, per poi dimostrare attraverso le loro storie tutto cio’ che li rende speciali.
Qual è la chiave del successo di questa serie?
Penso che sia una serie che mostra a molti newyorkesi persone che sono parte della nostra vita quotidiana e che spesso passano inosservate. Viviamo una vita così frenetica che talvolta gli artisti di strada diventano parte del “rumore di sottofondo di New York. Attraverso il nostro show, gli spettatori si rendono conto di essere passati davanti ad artisti di grande talento e creatività senza accorgersene. Molti di noi vanno in giro con gli auricolari e con la testa chinata, ignorando il mondo che ci circonda. Spero che questa serie faccia in modo che la gente apra occhi e orecchie. Personalmente, so che dopo aver lavorato su “The Back of the Busk,” ho fatto uno sforzo cosciente di non usare così tanto gli auricolari andando in giro per New York, e ho davvero cominciato a notare l'enorme varietà di persone che abitano in questa città.
In quanti paesi è vista la serie?
Oltre all’America, la serie viene vista in Medio Oriente, Russia, Europa, anche in alcune dalle isole del Pacifico! E’ davvero incredibile quanto le storie degli artisti di strada siano riconoscibili da tutti. Spesso riceviamo email da persone da tutto il mondo che ci raccontano di come hanno amato un certo episodio, e come gli abbia fatto venire voglia di venire a visitare New York. E’ davvero toccante e incredibile pensare che qualcuno che si esibisce in un angolo di strada a Manhattan può adesso essere visto e apprezzato da qualcuno nelle Filippine.
Perché c’è bisogno di raccontare le storie di questi personaggi?
Perché quando pensiamo agli artisti di strada, in fondo pensiamo che potrebbero trovarsi un lavoro vero. Certo, molte persone diventano artisti di strada perché attraversano momenti difficili e tutto ciò che gli è rimasto è il loro talento, ma un gran numero degli artisti nella serie erano musicisti professionisti e artisti che si erano esibiti in posti famosi, e che hanno però scelto la strada per portare la loro creatività letteralmente all’uomo della strada.
Quale è stato il tuo punto di vista nel proporre ogni storia?
Volevo solo lasciare che gli artisti parlassero da soli. Non avevo punti di vista, ne’ una storia predeterminata che volevo imporre. Quando monti un documentario o un film, devi decidere cosa è necessario escludere. Certo, le tua decisioni sono sempre oggettive, voglio dire sono sempre io a scegliere. Ho cercato di mantenere le loro storie più pure possibile, spero di esserci riuscito. Molti artisti ci hanno detto che avevano amato come avevamo raccontato la loro storia… credo dunque che abbiamo colto nel segno!
Hai un episodio preferito?
E' difficile dirlo, davvero, li ho amati tutti. Ognuno ha una sua unicità. Se proprio dovessi scegliere, direi che il mio preferito è l'episodio con Natalia Paruz, ’The Lady Saw'. Suona la sega musicale che è qualcosa che non sapevo nemmeno esistesse prima. E' davvero un suono indimenticabile e bello, anche se l'intero episodio è forse leggermente inquietante. Natalia è una persona meravigliosa ed è stata davvero una gioia lavorare con lei.
C’erano delle tematiche di fondo simili nelle storie dei diversi artisti?
No, questo è ciò che ha reso la serie così interessante, non ci sono due artisti simili tra di loro. Avevamo una tale varietà di persone provenienti da diversi background culturali, di età, e di razza che proprio la diversità è ciò che ha reso la serie così interessante.
Cosa riserva il futuro per “The Back of the Busk”?
Stiamo parlando con alcune reti televisive circa la possibilità di creare uno show televisivo. Vogliamo raggiungere un pubblico ancora più ampio delle centinaia di migliaia di persone che ci hanno già seguito online.
Quando possiamo aspettarci la seconda stagione?
Siamo attualmente in fase di pre-produzione per la seconda stagione, quindi teneteci d’occhio nel 2015!
Aspettando il 2015, se volete vedere la serie, visitate il sito qui
Da produttori Mithun Bhat, Michael Jefferson, e Hardy Winburn
con Cinematographers Mithun Bhat, Nick Capezzera, Tony Farkasch, e Daniele Napolitano.
A cura di James Eades & Nick Capezzera.