Una laurea in storia contemporanea e una grande passione per il cinema. Andrea Careri, giovane e promettente sceneggiatore romano, punta agli Stati Uniti. Dopo aver realizzato gli spot per le primarie del Partito socialista francese e per Greenpeace, esordisce con un corto sul canale francese CANAL +. In Italia, realizza una serie di cortometraggi e sceneggiature per la televisione e per il teatro. Appassionato di new media, ha scritto KOB, un action mob ambientato tra Brooklyn e il Dakota che ha già attratto l’interesse di alcuni produttori e che racconta come sopravvive ancora la comunità siculo-americana in tempi di gentrification.
Andrea, quale filo lega la tua storia che sarà girata tra il Dakota e Little Sicily a Brooklyn?
La storia si svolge in diversi stati degli USA perché il nostro protagonista, KOB, è un ragazzo che è fuggito da Brooklyn (da cui il suo nickname Kiddo of Brooklyn) e ha iniziato a lavorare come delivery man. Per questo gira l’America con il suo camion per fare consegne da una parte e l’altra degli States. Quando verrà richiamato dalla moglie del fratello a tornare al suo passato, attraverserà l’America in un viaggio pieno di ostacoli e di antagonisti che cercheranno di impedire che lui torni nel suo vecchio quartiere, dato che la sua presenza potrebbe rovinare gli affari della mafia.
Si parla di mafia e di un quartiere italo-americano. Non c'è il rischio di scivolare nel solito stereotipo?
Il film parla di una realtà che io e il mio co-sceneggiatore, Luigi Benvisto, conosciamo bene. Non si parla di mafia in modo stereotipato, ma la nostra storia, pur essendo un action movie, ha un sottotesto e delle sfumature da tragedia greca, nel senso che parla di sentimenti ancestrali e primordiali come quello della difesa della comunità, della famiglia, l’onore, il rispetto e la vendetta. Tutte cose che appartengono alla biografia e all’esperienza di vita di ognuno di noi. Per questo io non lo definirei un film sulla mafia, ma un film sulla vendetta, e sul fare pace con i fantasmi del proprio passato.
Cosa rimane oggi di Little Sicily a Brooklyn?
Per quanto mi riguarda è impressionante vedere come la comunità siciliana sia rimasta intatta nel quartiere, e per me è molto divertente notare che ci sono bar che assomigliano a quelli della Sicilia degli anni 60. Non potrò mai dimenticare quando sono entrato per la prima volta al Caffè Italia, famoso bar della zona, e ho trovato dei vecchi signori siciliani che giocavano a scopa guardando una vecchia replica di Walter Chiari.
Cosa ti ha colpito di più di questi immigrati e perchè hai scelto proprio gli immigrati siciliani?
Ho scelto gli immigrati siciliani perché costituiscono la maggior parte degli immigrati che popolano quella zona.
Non sei siciliano ma sei legato alla Sicilia in qualche modo.
Da piccolo andavo sempre a San Cataldo, vicino Caltanisetta, a visitare quelli che per me sono degli zii adottivi, Lillo e Cettina, che erano molto amici dei miei genitori. Le estati e le Pasque passate in Sicilia rimarranno per sempre nella mia memoria. Sono legato a quella terra di una bellezza sconfinata.
Hai iniziato a lavorare in Francia e ora punti all'America. Una tappa quasi obbligatoria per chi vuole fare cinema?
Quello americano è il mercato più meritocratico e ricco del mondo. Dipende da come si vede il cinema. Se lo si vede come un hobby elitario e classista o come un lavoro e una forma alta di cultura e intrattenimento. Di certo l’America offre più spazio e possibilità a chi ha talento. Credo sia l’opposto dell’Italia dove chi è ambizioso e determinato fa paura, dà fastidio, mentre lì conta solo l’ambizione e la voglia di fare. Detto questo, io personalmente ho intenzione di rimanere di base in Italia poiché è la mia terra e un paese esteticamente meraviglioso. Inoltre, in questo periodo di globalizzazione si può lavorare dovunque e con chiunque.
Cervello in fuga o in viaggio dall'Italia?
Beh, io non mi considero in fuga. Come ho detto prima la mia vita sarà in Italia, ma voglio e sono determinato a poter collaborare con produzioni americane e internazionali perché amo molto il loro modo di lavorare e il rispetto che hanno per il lavoro e le persone. Il rispetto che hanno per chi si dà da fare e merita. Insomma io lì mi sento a mio agio, non ho vergogna a parlare di business e compensi, come è giusto che sia. C’è una mentalità diversa ed è visto come un lavoro a tutti gli effetti. Non che in Italia non lo sia, ma è un paese diverso con una cultura differente, quindi è anche giusto che ci siano diversi modi di rapportarsi al denaro. L’Italia è un paese cattolico, l’America protestante, calvinista ed ebraico. Per quanto riguarda la così detta fuga dei cervelli, io amo Roma, la mia città, ma voglio fare business con tutto il mondo, sono aperto a collaborare con chiunque. Non importa dove sei, ma chi sei e la visione che hai. Del resto ci sono start up nate in Finlandia che hanno venduto in tutto il mondo, stessa cosa vale per gli inventori di Spotify. Non conta dove vivi, ma come e con chi lavori.