Nato nel 2009 come cortometraggio che poi vincerà il David di Donatello, L'arbitro di Paolo Zucca è poi diventato un lungometraggio che ha avuto il grande onore quest'anno non solo di essere presentato alle Giornate degli autori di Venezia, dove tra l’altro ha riscosso un grande successo, ma anche quello di aprire eccezionalmente l'intera Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
La trama del film ha come protagonista l’arbitro Cruciani, detto “il principe”, uno dei fischietti più importanti del calcio europeo, il quale potrebbe anche arbitrare l'ambita finale di un campionato di calcio che gli spalancherebbe le porte per ritirare il premio come miglior arbitro del Mondo. Intanto in Sardegna nella terza divisione, una squadra locale comincia a ribaltare la propria sorte e da ultima del campionato, lentamente risale la china grazie al ritorno dall'Argentina del figlio di un compaesano emigrato. L'obiettivo è raggiungere e magari superare la squadra del vicino paese nemico, in una zona che vive solo di pastorizia e rivalità calcistica.
E’ un film girato in bianco e nero, dove prevale una narrazione cinematografica con toni comici e leggeri, senza però tralasciare riferimenti e momenti più cupi che riportano alla mente gli sbalzi di atmosfera tipici del cinema dei fratelli Coen, mentre la fisicità degli attori e il paesaggio umano ci ricordano i film di Ciprì e Maresco.
L'arbitro è in tutto e per tutto un atto d'amore nei confronti del calcio e un omaggio allegorico alla controversa figura del giudice di gara, un uomo solo e indifeso chiamato a gestire piccoli grandi poteri, ad essere super partes e a prendere decisioni che possono influire sulla carriera dei calciatori senza mettere in conto che anche la sua, è a tutti gli effetti una carriera.
E se proprio vogliamo vedere il film sotto diversi punti di vista, potremmo dire che questa è un’opera che spazia dal western, alla commedia, senza tralasciare il musical. L'arbitro è una ballata in bianco e nero che tra il romantico, l'epico e il grottesco, ci racconta la fragilità umana di fronte al potere, alla sconfitta e alla vittoria, un intrattenimento di grande pregio visivo che con un tocco di leggerezza e di estro narrativo ci restituisce, estremizzandole, la sacralità e le liturgie di uno sport che a qualsiasi livello riesce a coinvolgere le masse, a costruire e a distruggere, a divertire e a far paura, a unire e a dividere. Il tutto ambientato in un’entroterra sardo, popolato da uomini e donne che non si arrendono mai, soprattutto di fronte alle ingiustizie.
Ottima la scelta del cast, che amalgama alla perfezione attori non professionisti compaesani del regista, appesantiti e adorabilmente autentici, con attori di grande esperienza (Geppi Cucciani, Stefano Accorsi, Marco Messeri, Benito Urgu, Francesco Pannofino nei panni esilaranti dell'arbitro Mureno) che rendono particolarmente briosa la parte comica della storia in special modo nell'ultima mezz'ora, dal momento in cui le vicende dell'arbitro Cruciani e quelle dell'Atletico Pabarile si intrecciano, dando vita ad un farsesco e spumeggiante carosello. Ottima l’interpretazione di Stefano Accorsi che nei panni dell'arbitro Cruciani, riesce con la sua mimica facciale, il suo fisico statuario e la sua bizzarra gestualità a metà tra il serio e faceto, a restituire in maniera divertente e divertita la figura chiave del film, un uomo combattuto tra il rispetto delle regole e il suo egocentrismo che un po' per ingenuità e un po' per dolo finisce nel girone dei dannati.
Un film da vedere, che non annoia mai per tutta la sua durata. Ovviamente 90’ più recupero.