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Nella foto, Antonio Gramsci Junior, nipote dell’intellettuale italiano
La gente lo guarda e sorride perplessa. In tanti cercano di scorgere assonanze. Lui è alto, slanciato. Nulla che ricordi la fragile fisionomia di Gramsci, il gibbo, “la testa di un rivoluzionario” come scriveva Gobetti nel celeberrimo ritratto del 1924: “Il cervello ha soverchiato il corpo. Il capo dominante sulle membra malate sembra costruito secondo i rapporti logici di una grande utopia redentrice, e serba dello sforzo una rude serietà impenetrabile; solo gli occhi mobili e ingenui, ma contenuti e nascosti dall’amarezza, interrompono talvolta con la bontà del pessimista il fermo rigore della sua razionalità. La voce è tagliente come la critica dissolvitrice, l’ironia s’avvelena sul sarcasmo, il dogma vissuto con la tirannia della logica toglie la consolazione dell’umorismo”.
Ma ha gli occhi chiari, profondi. Quelli sì, sono del nonno. Il forte accento russo e l’italiano fluente ben sintetizzano la sua doppia cittadinanza. Antonio è nato a Mosca nel 1965, figlio di Giuliano, secondogenito di Antonio Gramsci e Julka Schucht. Eccellente flautista, Gramsci Jr. è un musicista come il padre. Come la nonna, diplomata in violino all’accademia di Santa Cecilia di Roma. Alla passione per la musica, Antonio “il giovane” affianca quella per la scienza. Laureato in biologia, insegna presso la scuola italiana "Italo Calvino" di Mosca. Un’eredità importante sulle spalle. “Nel mio Paese ci sono branche del pensiero gramsciano ancora fortemente attuali. Penso alla riflessione sul ruolo degli intellettuali nella società”. Tra i progetti editoriali di Antonio Gramsci ve n’è uno molto affascinante: la ricostruzione della storia d’amore tra Antonio e Giulia, basata sulla pubblicazione speculare delle lettere. “Ho recentemente ritrovato delle lettere inedite di mia nonna che arricchiscono notevolmente l’epistolario Gramsci – Schucht”.
Da questa lettura comparata sarà possibile fare luce su questo profondo e dolente amore. Un altro obiettivo è quello di approfondire la questione dei rapporti tra Gramsci e i figli. Sposatasi in Russia, la coppia aveva avuto due bambini: Delio (Delka), nato nel 1924, e Giuliano (Julik), nato nel 1926. Quest’ultimo non vedrà mai il padre.
“Il carteggio, anche in questo caso, è ancora incompleto. Ho difatti trovato altre lettere di Giuliano bambino, indirizzate al papà lontano. Mi piacerebbe collezionare anche questo epistolario”.
Sui progetti pero’ grava la difficoltà dell’accesso agli archivi dei servizi segreti russi. “Non si tratta di un’operazione agevole. Spero che con il presidente Medvedev le cose cambino”.
Intanto sono assai pochi i ricordi familiari. “Quando ero bambino, mia nonna era già molto anziana e malata. Non parlava mai del marito. Si occupava della famiglia, dei nipoti”. Il ricordo di Antonio era chiuso dentro di lei, troppo doloroso per essere raccontato.
Quelle indirizzate alla moglie sono le lettere più sublimi ed allo stesso tempo più complesse dell’intera silloge. I due si erano conosciuti nel 1922 ed avevano condiviso una breve e intensa storia d’amore. Questa donna aveva fatto rifiorire Gramsci. Egli, difatti, si era negli anni persuaso dell’impossibilità che una donna avesse potuto amarlo sia per la deformità fisica, sia per il carattere piuttosto spigoloso. Un giorno, però, incrociò lo sguardo di un’incantevole ragazza dai “tratti bizantini”. Se ne innamorò perdutamente. L’affascinante violinista ricambiò il suo amore e ad esso restò avvinta, nel bene e nel male, per tutta la vita. Le pagine degli scritti dedicati a Giulia sono un documento di rara delicatezza sentimentale. “…penso a te molto, molto. Spesso mi struggo di non poterti abbracciare, di non sentirti vicina, buona, buona, tanto cara, di non poterti abbracciare e accarezzare lungamente. Non posso stare senza di te. La mia vita che aveva ripreso a rinverdire con te, per te, qualche volta mi pare che nuovamente si dissecchi e sia amara tanto. Ma passerà, ci incontreremo ancora e io ti mostrerò la lingua per farti arrabbiare, ma poi ti abbraccerò e ti terrò tanto stretta perché ti voglio tanto bene e tu mi vuoi tanto bene e io non posso stare senza di te, perché mi pare di non essere intiero, ma che una parte di me stesso passeggi lontano e mi tormenti indicibilmente con la sua assenza.”
Giulia condivideva con Antonio anche la passione politica. Il padre Apollon era amico di Lenin ed ella stessa lavorava presso la direzione centrale del Pcus. Ma era una donna fragile, tormentata da frequenti disturbi di carattere psichico. Tutto questo aggravò le difficoltà di un rapporto che la lontananza aveva già reso labile e sfumato. La corrispondenza non fu mai regolare e ciò costituì un supplizio lancinante per Gramsci. È proprio nelle lettere rivolte a Giulia che è possibile percepire la sua angoscia. In esse domina, con emozionante efficacia narrativa, il ricorso costante all’aposiopesi. L’afasia psichica, la struggente poesia dell’inespresso. Presto, dunque, nuovi tasselli: le lettere di Giulia renderanno più completo il mosaico di questo amore. Sconfitto dalle catene delle prigioni fasciste.