A lato, Mario Fratti tra Bill Russo e Aldo Mancusi; sotto, con il Board of Directors dell’Italian Heritage & Culture Committee.
Giovedì scorso, presso la Columbus Citizens Foundation a Manhattan, ha avuto luogo la serata organizzata dall’Italian Heritage and Culture Committee in onore del commediografo di fama internazionale -nonchè fedele collaboratore del nostro giornale – Mario Fratti.
L’occasione, organizzata con la collaborazione anche del Calandra Institute della Cuny, era proprio gustosa: questa sera infatti tra le nominations agli Oscar 2010, vi sarà il film “NINE” di Rob Marshall, tratto dall’omonimo musical che il maestro Fratti scrisse nel 1974. Rappresentato in centinaia di teatri nel mondo riscosse largo consenso a Broadway con Antonio Banderas nel ruolo che prima di lui fu di Sergio Franchi e prima ancora di Raul Julia.
Liberamente ispirato all’”8½” di Fellini, il musical racconta della crisi artistica del regista Guido Contini, geniale e affascinante quarantenne con una feroce dipendenza dalle donne, che siano esse madri, mogli, muse o amanti.
Oggi7 ha voluto privatamente incontrare il commediografo di origini abruzzesi prima delle celebrazioni ufficiali e cortesemente veniamo accolti nella sua abitazione. Quando entriamo, ci si apre davanti una distesa di quadri, locandine, ritratti; potrebbero trascorrere ore volendo ascoltare la storia che vi è dietro ad ognuno. Poco dopo, davanti a un buon caffè, Mister Fratti invita a guardare la finestra dell’edificio adiacente ed esclama: «Quella era la finestra di Tennessee Williams».
Strane storie quelle che Mario Fratti sa tirare fuori da un tranquillo pomeriggio in cui a fare le domande sarei dovuta essere stata io. Invece mi ritrovo un po’ studente un po’ ammaliata a una lezione di teatro, all’ascolto di un affabulatore d’eccezione che rassicura: «Scrivere di teatro è semplice. L’unica cosa che ti serve è il finale!»
Dal teatro al cinema, due canali che oggi si compenetrano sempre più frequentemente. Maestro Fratti, cosa ne pensa della trasposizione che il regista Rob Marshall ha realizzato del musical “NINE”?
«Ho scritto tante commedie e quella che ha avuto più successo è stato l’adattamento dell’”8½” di Fellini. Com’è cominciato? Nel 1974 ho scritto “Sei donne appassionate” che è la vita di Fellini e l’ho adattato al teatro. Poi ho adattato la versione italiana a quella inglese e in seguito la versione teatrale alla commedia musicale che ha avuto grande fortuna perché l’ho cambiata. L’”8½” di Fellini è assolutamente inadatto per una commedia musicale! Avevo scoperto cosa piaceva a New York così sono partito dall’8½ ma poi ho mandato Mastroianni a Venezia a girare “Casanova” che mi ha dato l’occasione di aggiungere l’ironia, la satira, le donne e i balletti che è quello che vogliono a Broadway. Questa cosa completamente nuova pensano che sia l’”8½” invece è l’”8½” più “Casanova”. E ha funzionato!»
Come spiega il fatto che il musical abbia trovato il successo in lingua inglese piuttosto che in italiano?
«L’italiano è polisillabico e noioso. Una volta Moravia mi ha detto una cosa interessante: Vedi Mario, io devo scrivere duecento pagine per descrivere una macelleria, tu invece apri il palcoscenico e c’è la macelleria!»
Nel film di Marshall non è ben chiara l’origine del titolo “NINE”, siamo mezzo punto avanti a Fellini?
«Nove, io l’ho spiegato in un modo differente. Non significa che siamo più bravi di Fellini ma nella sua commedia vediamo Mastroianni insieme a un bambino di nove anni che è l’immagine del suo passato e che gli dice cantando: tu che sei quarantenne e ti credi al centro del mondo, tu hai un cervello da bambino di nove anni! Voi quarantenni avete in realtà nove anni! Enorme successo perché con umiltà ho detto che non siamo migliori di Fellini ma abbiamo usato il titolo “NINE” per spiegare il comportamento vulnerabile degli uomini che hanno bisogno delle donne. Ora, Rob Marshall vuole fare il film, prende un cast incredibile ma non viene mica da me o dal compositore a chiedere consiglio, assume due suoi amici per scrivere il film e ritorna all’”8½”. La critica italiana si è arrabbiata. Mentre hanno approvato il mio musical si sono arrabbiati con Marshall perché al film manca l’umiltà.
Penso che il film di Marshall sia bellissimo, lo consiglio sempre, ma lo è se si dimentica l’”8½” di Fellini e se si dimentica il mio musical».
Secondo lei vincerà qualche oscar?
«Non sono molto ottimista perché hanno fatto l’errore di imitare Fellini».
Personalmente lei a chi darebbe l’oscar?
«A Penelope Cruz. È la migliore lei. Ha calore umano».
C’è tempo anche per una digressione a sfondo politico e il Cavalier Fratti non si esime dal commentare un altro “Cavaliere”: «Lo sai come lo chiamano qua Berlusconi? Al Capone! Hai visto il film “Videocracy”? Spiega benissimo il potere della televisione. Se tu possedessi dieci milioni di dollari con l’uso della televisione riusciresti a farti eleggere congress woman, c’è poco da fare! Ma la sua attuale popolarità può anche essere spiegata con la tendenza ad amare l’imbroglione. Ti ricordi i cowboys che ammazzavano gli indiani? Noi eravamo sempre con i cowboys! La mafia “get away with it”, Lui la fa franca. Lui (Berlusconi, ndr) la fa franca e quindi piace. Poi adesso ha l’appoggio dei capitalisti del nord e dei fascisti del sud e ha una coalizione fortissima. Io comunque continuo a votare a sinistra, mi piace Bersani e bisogna essere ottimisti».
È il momento di prepararsi per la cerimonia alla Columbus Citizen Foundation, Mario Fratti per l’occasione sceglie una cravatta rossa con i leoni d’oro del Festival del Cinema di Venezia. Prendiamo insieme un taxi e in perfetto orario siamo a destinazione. L’edificio si anima presto di personalità appartenenti alla comunità italo-americana ma non solo, tra gli ospiti anche il Console Generale d’Italia Francesco Maria Talò. La serata, ufficiata da Joseph Sciame, presidente dell’Italian Heritage and Culture Commitee of NY, è anche occasione per consegnare il Da Vinci Award a Louis Tallarini, presidente della Columbus Citizen Foundation.
Il Cavalier Sciame introduce quindi l’ospite d’onore a cui simbolicamente consegna una statuetta a forma di stella sul cui piedistallo la dedica legge: “Salute!”
«Sono un uomo fortunato a essere circondato da tanti sorrisi femminili», sono le prime parole di Fratti nel ricevere il premio, «e voglio ringraziare tra il pubblico i miei studenti che sono ora dei fantastici insegnanti e fanno sì che la mia vita non sia andata sprecata. Attraverso “NINE” ho voluto insegnare loro il termine pazienza. Ho cominciato innamorato di Fellini e vi ho lavorato per ben sette anni. Quando l’ho proposto ai produttori mi hanno detto che ero pazzo ma io sono un uomo coraggioso così ho cambiato tutto. È la passione che rende gli italiani nobili. Sappiamo essere divertenti, isterici, ma sappiamo anche essere dei perdenti e accettarlo con ironia. Una delle grandi doti dell’essere italiani è il saper ridere di noi stessi».
Mario Fratti è tutto questo e molto di più. Come il Guido Contini di “NINE” è da sempre innamorato delle donne e in 83 anni di vita vissuta gli noti ancora negli occhi il guizzo del bambino che guarda sognante al suo futuro. «Quando mi viene chiesto qual è il mio lavoro migliore, rispondo: well, quello che ho scritto la settimana scorsa! E il più bello è quello che scriverò a 99 anni!»
Poi conclude ringraziando la figlia Valentina e ricordando l’ex governatore dello Stato di New York, Mario Cuomo che in occasione di una protesta per un’ingiustizia verso gli italiani, gli disse: «Vedi Mario, noi non abbiamo bisogno di essere rumorosi, la cosa migliore per ottenere rispetto è di essere i numeri uno!»