Ieri sera ho avuto la fortuna di assistere al concerto Morricone Stories, un tributo del sassofonista Stefano Di Battista al maestro Ennio Morricone.
A dirla tutta, da ottobre scorso ogni venerdì rinnovo il piacere della bella musica grazie alla Fondazione The Brass Group di Palermo e ai suoi concerti di questa stagione al Real Teatro di Santa Cecilia, un luogo che mi fa sentire a casa ascoltando lingue e musiche da New York a Parigi, dall’Africa a tutto il resto del mondo accogliente e bastardo proprio come la mia Sicilia.
Ieri è stata la volta del quartetto di Stefano Di Battista e del suo Morricone Stories. Insieme a lui e ai suoi sax, Andrea Rea al piano, Daniele Sorrentino al contrabbasso e Luigi Del Prete alla batteria, tutti e tre napoletani.
Di Battista è ormai un talento italiano dal prestigio internazionale, che vanta collaborazioni con giganti della scena statunitense ed europea, in particolare francese. Il suo tributo a Morricone è assai piacevole e sorprendente perché si concentra su brani di film meno noti del compositore premio Oscar, ma soprattutto perché è un percorso molto rispettoso, in chiave jazz, della poesia e del racconto musicale di Ennio Morricone. E infatti il progetto è stato condiviso con il maestro quando era ancora vivo, anche se poi la produzione è stata completata nell’aprile dello scorso anno.
Confesso che ogni tanto ho chiuso gli occhi, per tentare di gustare la musica per com’era nata, come colonna sonora, musica da vedere. Non conoscendo o non ricordando buona parte dei film, in maniera inconscia ho fatto il regista, pescando liberamente dalla mia memoria splendide immagini in bianco e nero e a colori fatte di strade, volti, treni, notti, onde, sguardi e silenzi meravigliosi.
Soprattutto silenzi, la musica di Morricone vorresti che fosse sempre musica di immagini, che scorrono e dicono tutto senza parlare. A sentire i fiati, le voci e le melodie del compositore romano, e in questo caso anche gli assoli e l’improvvisazione di Di Battista, ritrovo quella meravigliosa sensazione che mi fa unire il nostro Morricone con Miles Davis nella ricerca intima delle singole note, sospese fra durate anche lunghe e silenzio: “Less is more”. Certo è molto riduttivo “less” quando si tratta di composizioni di questi geni, eppure le loro voci sono frasi che si ricordano perché sono bellissime, e ti lasciano dentro qualcosa di essenziale, profondo e originale, che vorresti leggere e rileggere, per dargli il tuo senso, come quando leggi la migliore letteratura universale.
E a ben pensarci, in un’epoca come quella di oggi in cui si fa fatica a trovare il tempo e lo spazio per le parole, che non siano marketing e pubblicità, sarebbe una bella provocazione andare oltre Bob Dylan e assegnare per una volta il premio Nobel per la letteratura a Miles Davis o a Ennio Morricone….
Morricone Stories è un bel racconto musicale, ma la chicca è il racconto nel racconto, la nascita del brano Flora, l’unico della serata che non è musica da film. Stefano Di Battista, romano come Morricone, ci svela qualcosa che ha dell’incredibile.
Nel 2007 viene invitato a cena a casa di un amico musicista, che gli dice: “Ci sarà anche il maestro Morricone, gli ho già parlato di te. Mi raccomando, porta il sax!”.
“Certamente”, risponde incredulo Di Battista, accettando felicemente l’invito.
A cena il maestro non parla di musica con il nostro sassofonista, gli chiede di lui e della sua famiglia, scoprendo con piacere che la mamma di Stefano è una cuoca, che ha un ristorante e che fa una carbonara buonissima…
Di Battista freme, per quanto emozionato e un po’ intimidito vorrebbe “improvvisare” una discussione musicale, ma non può certamente essere lui a dare il tempo. Il maestro coglie l’attimo e la cena diventa un ciak per pochi intimi e fortunatissimi spettatori dal vivo. Morricone chiede a Di Battista: “L’hai portato il sax?” – “Si”, risponde timidamente Stefano.
“Bene” – continua il maestro – “adesso ti scrivo un brano e poi lo suoniamo insieme”.
Stefano Di Battista è incredulo oltre che scioccato, il cuore va a mille, gli occhi sbirciano furtivamente per cercare di leggere le note che man mano tessono la partitura improvvisata da Morricone. Oddio, sono alte, troppe alte, arrivano fino all’ultimo fa del sax…
“Ecco qua, adesso la suoniamo, scusami se sbaglierò qualche nota” – dice il maestro andando verso il piano. Nasce così, in una notte romana fra amici, cibo e buon vino, una musica che sa di regalo alla vita. E infatti la canzone si chiamerà Flora, come la figlia che arriverà in seguito a Stefano Di Battista e a sua moglie. Questa è la versione ufficiale di Flora sul canale YouTube.
Se non l’avessi sentita, non avrei certo mai potuto immaginare una storia così. Eppure in rete si trova il racconto stesso di Stefano Di Battista, così come più o meno l’ho ascoltato ieri sera io dal vivo. E su Facebook si trova anche il video originale di quella prima improvvisata esecuzione di Flora a Roma, con il suo autore Ennio Morricone.
Nel ringraziare il maestro, la sua musa che lo ispira e Stefano Di Battista per questo racconto e per il suo concerto, penso alla straordinaria forza della quotidianità, quando diventa espressione libera di sentimenti ed emozioni. Più ribelle, ardita, tempestosa, improvvisa e palpitante di qualsiasi film.
E se poi a scriverla è Morricone….