Sta per iniziare il Festival di Sanremo, in programma dall’1 al 5 febbraio, e da New York le orecchie degli italoamericani appassionati di musica iniziano a drizzarsi. Un nome su tutti è quello di Tony Di Piazza, siciliano di nascita e statunitense di adozione, che come ogni anno è pronto a seguire la kermesse per poi mettere in scena il Festival della Musica Italiana, previsto in città il 9 ottobre 2022.
Tony, anche quest’anno Sanremo è alle porte. Qui a New York quanto è seguito il Festival?
“Tutti gli italiani di prima generazione, quelli arrivati negli anni ’60 e ’70, lo seguono”.
Gli appassionati si ritrovano da qualche parte per vedere le serate di Sanremo?
“Ormai con la televisione si ha tutto e quindi non ci sono posti di ritrovo in cui guardare il Festival di Sanremo: ognuno lo vede da casa sua. Discorso diverso per lo sport. Negli anni ’70, ad esempio, seguivamo i mondiali di calcio al Madison Square Garden. Per le partite di calcio è normale andare in club sportivi o al bar, ma con il Festival non succede”.

Negli anni, gli italiani che vivono a New York hanno potuto assistere al Festival della Musica patrocinato dall’Associazione Culturale Italiana. Quest’anno c’è qualcosa in programma?
“Purtroppo negli ultimi due anni, causa Covid, non si è potuto organizzare il Festival qui a New York. L’anno scorso lo abbiamo spostato a Milano, dove si è anche svolta la XIII edizione del NYCanta, conclusa con la vittoria di Gregorio Rega e che andrà presto in onda su RAI Italia, RAI Play e Rai 2. Per quanto riguarda il Festival, invece, quest’anno si ritorna a New York e sarà il 9 ottobre. Parteciperanno diversi nomi noti, ma non è ancora il momento di annunciarli. Posso però dire che sarà un’edizione stellare”.
L’anno scorso a Sanremo hanno vinto i Maneskin, che proprio negli Stati Uniti hanno avuto un successo pazzesco. Cosa ne pensa di loro?
“È una cosa stranissima, ma questo è anche il bello della musica che a volte attraversa i confini e la lingue. I Maneskin sono riusciti a fare qualcosa di straordinario. Se pensiamo ai grandi come Domenico Modugno e Tony Renis, loro hanno avuto successo principalmente con una canzone, invece questi Maneskin sono riusciti a entrare nel cuore e nell’anima degli americani. Io lo trovo strano, però è così, ci fa piacere e ci rende orgogliosi. A me personalmente non piacciono, non è il mio stile di musica. Noi qui in America siamo un po’ indietro rispetto ai gusti italiani, siamo più per la musica tradizionale degli anni ’70-’80-’90. Certo la musica evolve e i giovani sono bravi, anche se non è lo stile con cui siamo cresciuti, però se piace a milioni di persone non può essere tanto male. Qui all’estero la musica delle nuove generazioni viene trasmessa poco, e anche per questo stiamo cercando di svecchiare il Festival, inserendo artisti più contemporanei”.

Quest’anno Amadeus sembra puntare molto sul confronto generazionale, portando in gara nomi storici come Gianni Morandi, Massimo Ranieri e Donatella Rettore, ma anche ragazzi in grande ascesa come Blanco. Come si è evoluta la musica dal suo punto di vista?
“Sicuramente la musica si è evoluta. Come non saprei spiegarlo, però il mondo cambia. I giovani stanno cominciando a riapprezzare la musica tradizionale e il miglior esempio è Orietta Berti e il suo successo avuto la scorsa estate con Fedez e Achille Lauro. I grandi degli anni ’80 sono sempre stati in voga, non tramontano mai. I giovani fanno grandi successi, però magari se rifacciamo questa intervista fra tre anni, forse nessuno si ricorderà dei Maneskin. La musica moderna è fatta così: un’ascesa veloce, ma una caduta altrettanto rapida”.
Quindi crede che qui negli Stati Uniti i volti nuovi del panorama musicale faranno fatica ad emergere?
“Qui in America forse sì, avranno più problemi. Come vedi i grandi spettacoli che vengono fatti oggi sono sempre portati avanti da artisti come Gianni Morandi o Albano. I Maneskin sono un’eccezione in questo momento, così come Il Volo, che però appartiene a un genere completamente diverso, quello classico, che gli stranieri amano”.
Se dovesse esprimere un desiderio, chi vorrebbe portare a cantare qui a New York?
“Se devo dire un nome è Adriano Celentano. Ci stiamo lavorando, ma lui non ama viaggiare. Ti assicuro però che, se venisse a New York, riempirebbe quattro stadi”.