“La musica l’ho amata. E la amo ancora. Il mondo della musica meno, al di là del fatto che negli anni è tanto cambiato. Ma in fondo anch’io ho saputo cambiare con esso e così la vita mi ha regalato nuovi incontri e nuove idee, per continuare”.
Usando più o meno queste parole, ecco il senso intimo e senza sconti del libro che Michele Torpedine ha fatto pubblicare come sua autobiografia oramai un bel po’ di tempo fa. Il titolo? Ricomincio dai Tre (Pendragon).
Lo intervistiamo in occasione dell’uscita de «Il Volo sings Morricone», il titolo del nuovo album de Il Volo sul mercato dal 5 novembre ed interamente dedicato al maestro Ennio Morricone. Un progetto destinato al successo, come tutte le operazioni che portano la firma del genio imprenditoriale Torpedine, che stavolta ha ideato per i suoi pupilli un disco composto da 14 brani famosi che ripercorrono le melodie leggendarie del grande Ennio, tra cui le sue famose colonne sonore legate alla storia del cinema e patrimonio collettivo. Questo album sarà anche al centro del tour mondiale che coinvolgerà il Trio (al secolo Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble) e che partirà dal marzo 2022 con oltre 100 concerti in tutto il mondo.
La autobiografia di Michele Torpedine che abbiamo appena ricordato, emozionale ed emozionante, parte dagli esordi di questo noto manager, uno dei più importanti del nostro Paese, nato poverissimo in un piccolo paese della Puglia, e da lì partito alla conquista del mondo.
Facciamo riferimento alle parole che Torpedine stesso ha affidato alle stampe perché è verità sempre valida e non si rischiano ambiguità di sorta o inesattezze lette altrove: è lui che in questo caso parla di se stesso e degli accadimenti della sua vita. Una vita intensa, alla soglia dei 70 anni, e tutta passata in compagnia della Musica. Prima come sognatore, poi come batterista, e poi come professionista che ha realizzato The American Dream: un successo insperato avveratosi per lui, ma anche – conquistato per la prima volta dopo tanta fatica o rivitalizzato dopo tentativi precedentemente infruttuosi – per molti di coloro che si sono incrociati con la sua figura di grande manager. Una carriera come quella di Torpedine non si può pensare di riassumerla in un’ora di chiacchierata (tanto è il tempo che abbiamo avuto a disposizione per parlare, ritagliato generosamente dai suoi tanti impegni): troppi i nomi che a vario titolo ha incontrato nella sua vita; mi riferisco a personaggi del calibro di Orietta Berti, Gino Paoli, Ornella Vanoni, Zucchero; ma anche a Pino Daniele, Gianna Nannini, Luciano Pavarotti, Andrea Bocelli, Cristiano De Andrè, Biagio Antonacci. E poi, Il Volo, oramai famoso in tutto il mondo, che è di fatto la sua ultima scommessa, e quella probabilmente più stimolante. Mi sono fatta l’idea, in questo nostro incontro a Bologna nel suo studio, che Torpedine intimamente assomigli a questa ultima sfida molto più di tante altre raccolte e vinte precedentemente. E’ del resto una storia che ancora deve raccontare tanto al mondo della Musica, e Torpedine ama il lavoro e tutto il talento che incontra, e che riesce a plasmare con libertà :“Con i talenti veri, di qualunque campo si tratti, io vado sempre a braccetto”.

Sanremo 2015 consacra, con la vittoria, questi tre giovani ragazzi che formano Il Volo e che oggi sono il tuo ennesimo biglietto da visita di grande manager. Ripercorriamo questo sogno musicale.
“Una sera ero a casa e stavo guardando il programma tv “Ti lascio una canzone”. Ero al telefono con Tony Renis. Vidi questo trio di ragazzini con delle voci incredibili. Ci venne l’idea di lanciarli in grande scala. In America ebbero un successo immediato, poi li ho messi io sotto contratto e li ho fatti diventare famosi in Italia e nel resto del mondo”.
Sei stato nell’occasione il perfetto talent scout.
“Sì, e sottolineiamolo questo concetto: il programma faceva quasi 6 milioni di ascolto. Era visto da tutti. Perché non ci ha pensato nessun altro a notarli? Perché solo io e Tony ci siamo immediatamente resi conto che quei tre ragazzini potevano diventare un fenomeno mondiale?”.

Oggi tutto il mondo ama Il Volo.
“Come non amarli? Sono piacevoli per famiglie, giovani, anziani…per tutti. Sono belli fisicamente, poi sanno ballare, giocare e si muovono perfettamente sul palco. Con loro lo spettacolo è coinvolgente. Questi tre ragazzi attualmente rappresentano il meglio del made in Italy; quello buono, di stampo “pulito””.
Eppure certa critica li accusa di essere una mera operazione commerciale studiata a tavolino. Cosa rispondi?
“Inizialmente, quando erano ragazzetti, si poteva in effetti pensare ad una operazione “usa e getta”. Quello che è successo nel loro caso è stato invece che, crescendo, sono diventati veramente bravi. Oggi sono artisti veri e di calibro internazionale. Un gruppo del genere non lo trovi da nessuna altra parte nel mondo”.
Dove arriveranno Piero, Ignazio e Gianluca, secondo te?
“Se pensi che hanno solo 25 anni e contratti in tutto il mondo, io dico sempre loro che il bello deve ancora arrivare”.
Michele, parliamo un po’ del tuo passato; con la famiglia ti sei trasferito a Bologna dalla Puglia che avevi solo 5 mesi. Una famiglia poverissima. Una madre che se ne è andata troppo presto per malattia, dopo tanti stenti. Un padre autoritario e severo, con cui hai avuto un rapporto difficile. Una vita, in sintesi, che sembrava orientata alla sopravvivenza. Sicuro che sei davvero cosciente di ciò che hai compiuto nella vita?
“Rifarei tutto nello stesso modo, visto che tutto è venuto cosi’ bene: perché cambiare? Direi di sì, che sono cosciente di quello che ho fatto. Ciò che ho scritto nel mio libro è la pura verità. Purtroppo, non ho avuto nessuna querela, altrimenti avrebbe aumentato curiosità e vendite… l’unica ad aver protestato è stata Nicoletta Mantovani, che mi ha chiamato dicendomi che quello che avevo scritto non era vero. Poi, chiacchierando, le ho dimostrato il contrario. Ho fatto vendere più musica italiana io di chiunque altro nel mondo, e certamente a qualcuno può non aver fatto piacere leggere le verità sul nostro ambiente che ho descritto nell’autobiografia”.
Si può parlare nel tuo caso di sogno americano perché, da un inizio così svantaggiato, alla fine sei arrivato in vetta.
“Se pensi che la mia famiglia era così povera che spesso si mangiava un solo pasto al giorno e si viveva in 5 persone in un monolocale di 40 m2… Poi, con l’esperienza, il lavoro e la voglia di arrivare sono finito ospite alla Casa Bianca per ben due volte”.

La tua esistenza sembra un miracolo, in effetti, ma senza talento le opportunità non si incontrano. Tu avevi talento come manager puro ma semplicemente non lo sapevi: quando è stato il momento esatto in cui , guardandoti allo specchio, ti sei detto: Ce l’ho fatta!
“Mai. Io sono famoso nel mondo della musica, ma al di fuori ben pochi mi conoscono. Ho creato oltre a Il Volo nomi come Andrea Bocelli, Zucchero, Giorgia, Biagio Antonacci, Pino Daniele; ho creato il Pavarotti International; eppure, quando mi presentano a qualcuno al di fuori del mondo della musica, sembra quasi che dall’altra parte ci rimangano male, perché – quando spiegano chi sono – ci si aspetta probabilmente un uomo d’affari, elegante e raffinato. Invece mi presento sempre con semplicità, come nella nostra chiacchierata di oggi. Come vedi, indosso una tuta, ma forse questo è uno dei miei punti di forza: essere rimasto modesto, con i piedi per terra. Io mi sentivo e ancora mi sento musicista, ma ho finito per fare il produttore perché mi sono convinto che questo era il percorso che dovevo fare per arrivare in cima. Quello che non sono riuscito a fare io come musicista, l’ho sviluppato e realizzato negli altri al massimo livello”.
Sei più tornato al tuo paese natale? O i dolori della vita te ne hanno tenuto lontano?
“Sono tornato al mio paese solo nel 2019, dopo tantissimi anni; mi hanno pure conferito la cittadinanza onoraria. E’ stato un bel momento. La mia infanzia l’ho trascorsa qui a Bologna, e in particolare in questo quartiere dove sono tornato a vivere adesso e dove arrivai bambino con la mia famiglia. Qui ho i ricordi più belli, anche se la vita era piena di difficoltà e stenti”.

Cosa ti è rimasto dei tuoi anni come musicista e dei sogni che, con tuo fratello Nino, passavano attraverso una batteria?
“Vedevo mio fratello suonare la batteria, tra l’altro neppure una di quelle “vere”, perché non ce la potevamo permettere. Però avevamo dentro un ritmo speciale, e a tavola lui batteva un motivetto e io gli andavo dietro. Avevamo tanta voglia di fare musica, e quella c’è ancora oggi”.
Nel tuo libro parli di una svolta avvenuta nel 1984. Ripercorriamo insieme quella magica serata in una osteria di Bologna.
“Ero il batterista di Gino Paoli e quella sera mi fermai a parlare con lui. In quel periodo Gino era in crisi economica, nel senso che – per farti capire meglio – i cantanti più famosi del tempo prendevano 25 milioni di lire a serata e lui massimo 2 milioni e ottocentomila. Gino per me è stato l’inizio di tutto, anche se la persona che più dovrei ringraziare per lo sviluppo della mia carriera sarebbe in verità Orietta Berti. Ritornando a quella sera, dissi a Gino: Ornella Vanoni fa i miliardi cantando le tue canzoni e tu invece vai avanti a stento. Mettetevi insieme! Andammo a casa di Ornella e la convincemmo a fare un duo canoro che poi è diventato storia della musica italiana”.

Se dovessi fare un bilancio, hai più dato o più ricevuto?
“Forse ho più dato, ma devo specificare: l’ho fatto per scelta personale. Zucchero si accorse che ero un artista mancato e che quello che io non avevo potuto fare personalmente lo potevo realizzare attraverso gli altri. Ogni cosa raggiunta era sempre una mia scelta, fatta per me. Fare musica con Ray Charles o Miles Davis: l’ho fatto per me, non per loro”.
Johann Wolfgang Goethe sosteneva che l’ingratitudine fosse una forma di debolezza, e di non aver mai incontrato uomini eccellenti che fossero ingrati. Tanti artisti devono a te i loro traguardi, ma non l’hanno voluto riconoscere. Lo dici tu che il successo cambia le persone, ed è l’amplificatore di ciò che uno è. Se sei una persona perbene, rimani tale; ma se sei un idiota, cambia solo che da povero diventi ricco, ma sempre idiota rimani. Se dovessi dirmi cinque nomi di persone che ti hanno deluso nella vita, siano esse note o meno, chi nomineresti?
“La domanda è un po’ bastarda (n.d.r.: Torpedine sorride mentre pronuncia la frase). Fare dei nomi è sempre problematico. Metto probabilmente Zucchero al primo posto; per gli altri ci vorrebbe un libro a parte: avvocati, produttori cinematografici… citarne solo cinque sono troppo pochi. Ti faccio a caso comunque un paio di esempi, tra i tanti: un famosissimo produttore di importanti film – non dico il nome – un tempo era un semplice impiegato, ed io l’ ho aiutato in maniera decisiva a diventare chi è oggi. Eppure se gli capita di incontrarmi, neppure mi saluta! Caterina Caselli: le ho portato Bocelli nel momento in cui era quasi finita come produttrice, e le ho ridato fama e importanza. Un’altra che non riconosce quello che ho fatto è pure lei”.
Zucchero e Bocelli sono stati i due artisti forse più famosi di cui sei stato produttore, e Gino Paoli il personaggio che umanamente ti ha dato di più. Con il senno di poi, potendo tornare indietro, rifaresti tutto quello che hai fatto o agiresti diversamente?
“Oggi come oggi rifarei più o meno tutto uguale”.
Dichiari di aver avuto tante delusioni ma nessun fallimento. Secondo te, allora, i fallimenti che cosa sono?
“Nella musica i fallimenti sono quando sbagli le produzioni, quando scopri che certi rapporti non sono, a livello personale, quello che ti aspettavi – tipo come mi è successo con Eros Ramazzotti. Altri rapporti invece ti gratificano tanto, come nel caso de Il Volo, con cui siamo in partenza per un lungo tour mondiale con più di 20 date solo negli USA e in Canada”.
Sei contrario ai talent show. Perché questa ostinata opposizione?
“Non ce l’ho con i talent show, in realtà. Io ce l’ho con le relative giurie e commissioni, che spessissimo non hanno le capacità – né l’abilità – di capire o scoprire i veri talenti. Esistono tanti produttori che a malapena scoprono un solo talento nella loro carriera e finiscono lì, perché trattasi più di un colpo di fortuna che di abilità manageriale. Non basta conoscere un po’ di musica per essere un produttore di successo: ci sono tanti altri elementi che entrano in gioco”.

Quanti nemici hai, Michele?
“Come dice Oscar Wilde: La gente ti perdona tutto, tranne il successo. L’invidia è tremenda. Non basterebbe una enciclopedia per racchiuderla. Io ho sia parlato con personaggi come Clinton e Bush, o con attori come Tom Hanks, sia avuto problemi con la Finanza, come tutti quelli che fanno girare tanti soldi. Al tempo i giornali, specie qui a Bologna, mi sbatterono in prima pagina: Il manager di Bocelli è un evasore! Ero finito sulla bocca di tutti per una cosa che non era neppure esatta. Poi, quando ho incontrato i Presidenti USA, sono stato invitato alla Casa Bianca, ma il massimo che ho visto dalla stampa sono stati trafiletti in pagine secondarie. Bologna non è una grande città come Roma o Milano, e questo amplifica gelosie e invidie”.
Se invece potessi essere tu quello che butta qualcuno giù dalla torre, chi butteresti?
“Ci vorrebbe una torre bella grande per farli entrare tutti, sai? Dovrei organizzare giornate e turni, mica sarebbe impresa facile (n.d.r.: nel volto di Michele affiora un ampio sorriso)”.
Cosa è rimasto del ragazzino nato in Puglia?
“La gioventù. E ricordo che raggiungere anche un piccolo obiettivo sembrava un successo enorme. Oggi non ho più problemi a realizzare certi sogni. Comprare una batteria vera, con le cambiali, me lo rammento ancora come un momento straordinario della mia vita. Le visite alla Casa Bianca le ricordo con piacere, ma con una valenza diversa rispetto ad altre conquiste degli inizi”.
Dopo 40 anni di lavoro, te lo domandi ancora cosa vuoi fare da grande?
“Sì. Sempre. Bisogna sempre darsi da fare, non cullarsi mai sugli allori. Mai fermarsi”.

Sappiamo che adori gli Americani quando dicono: No problem! Come definiresti la mentalità e la filosofia americane?
“Da un lato ne ho una grande ammirazione: per la musica, il jazz, lo sport, le scoperte scientifiche. Poi mi meraviglio, a volte, perché ammirano cose che non hanno tanto valore, o cantanti che non hanno spessore. Capita che arrivino cantanti italiani mediocri, e che li mandino ai casino “italiani” ad Atlantic City, e facciano pure un gran successo. Con Bocelli e Il Volo siamo andati almeno 30 volte solo a Las Vegas, cioè nei grandi casino, quelli di livello mondiale”.
Hai mai pensato di trasferirti in America?
“Sono molto legato all’Italia, ai miei amici, alle cose che ho costruito qui. Farei fatica a trasferirmi, anche se l’America é un paese che mi piace moltissimo”.
Ti piace New York? Cosa ha di bello? O cosa miglioreresti.
“E’ già tanto bella così com’é , va bene così. E’ una città che ha tutto e ti dà tanto, come anche Londra: non manca niente”.