La Calisto è un dramma per musica in un prologo e tre atti del compositore Francesco Cavalli (allievo di Monteverdi, di professione cantore di chiesa) su libretto di Giovanni Faustini. Era un perfetto esempio degli stilemi dell’opera eroicomica che presentava insieme personaggi mitologici e popolari in intrecci dai risvolti audaci. In realtà il libretto di Faustini era ispirato alle Metamorfosi di Ovidio e racconta come Giove, sceso con Mercurio su una terra sconvolta dal passaggio del carro di Fetonte, concupisca la ninfa Calisto, seguace di Diana, e per conquistarla assuma l’aspetto della Dea, che è invece attratta da Endimione. La gelosa Giunone si vendica crudelmente trasformando Calisto in orsa, ma Giove intenerito la chiama in cielo in forma di costellazione: l’Orsa maggiore.

La Calisto ebbe la sua prima rappresentazione il 28 novembre 1651 al Teatro Sant’Apollinare di Venezia, esattamente 370 anni fa. Poi poche repliche e per secoli l’oblio o quasi. Secoli, salvo essere messa in scena solo nei decenni recenti (e la riscoperta ha una data, il 1993). Ma l’opera vantava un primato: non era mai stata rappresentata al Teatro alla Scala di Milano. Cosa che invece ora accade, finalmente, anche grazie al fatto che l’opera barocca sembra essere tornata con una certa regolarità sul palcoscenico milanese già con alcuni capolavori di Händel: come Il trionfo del Tempo e del Disinganno, Tamerlano, Giulio Cesare, tutti allestimenti coronati sempre da successo di pubblico e critica

Opera dunque attesissima nel tempio milanese della lirica, per la rarità della proposta, per il livello della direzione musicale e degli interpreti e, non ultimo, per la sontuosità da tempo annunciata dello spettacolo, affidato per la direzione allo scozzese David McVicar che con Les Troyens di Berlioz firmò alla Scala nel 2014 una delle regìe più lodate degli ultimi anni. La direzione è dello specialista Christophe Rousset, che guida un complesso formato da Les Talens Lyriques con innesti dell’Orchestra della Scala su strumenti storici e affronta una partitura situata in un momento storico decisivo, fra il recitar cantando di Monteverdi e gli albori del belcanto, nata in un luogo specialissimo come la Venezia della metà del Seicento. Le cui acque appaiono, nella scena ideata da Charles Edwards, dietro le grandi finestre di quella che è una biblioteca e anche lo studio di un astronomo, con espliciti riferimenti a Galileo e alla sua battaglia per il pensiero laico.
E qui è d’bbligo parlare delle scenografie, belle, incredibili, maestose, con macchine teatrali ingegnose, tra cui un fantasmagorico trono di Giove, e un tono fresco e magico alla “Sogno di una notte di mezza estate”. Nel cast spiccano la Calisto di Chen Reiss, il Giove di Luca Tittoto, l’Endimione di Christophe Dumaux, la Giunone di Véronique Gens e il Mercurio di Markus Werba. I costumi sono di Doey Lüthi, le luci di Adam Silverman, la coreografia di Jo Meredith, i video di Rob Vale.

La sua fortuna moderna è una sorta di nemesi delle circostanze avverse che segnarono drammaticamente il suo debutto. Uno dei suoi interpreti principali, il castrato Bonifazio Ceretti, che avrebbe dovuto interpretare Endimione, si ammalò alle soglie della prima, costringendo il compositore ad adattare per un soprano il ruolo dell’eroe mitologico amato dalla Luna, e poi sia il cantante che il librettista, Giovanni Faustini, morirono nella prima metà del mese seguente a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Ma grazie ai libri paga della stagione 1651-1652 del Teatro Sant’Apollinare, oggi si conoscono molti dettagli relativi all’allestimento originario, a cominciare dai nomi dei cantanti, e i loro compensi, l’esiguo numero di strumentisti, il nome del pittore delle scene, e altri dettagli sulla prima rappresentazione di questa splendida opera di Cavalli. Un capolavoro ritrovato per tutti dunque La Calisto, anche per il Teatro Alla Scala (solo fino al 13 novembre), dove fino ad oggi quest’opera mancava.