Dalla passione per la musica, alla realizzazione di un sogno. Michele Romeo, siciliano di Mazara del Vallo, chitarrista, compositore, arrangiatore, music producer. Ha perso la vista a soli tredici anni, ma questo non gli ha impedito di rinunciare alla sua passione per la musica, che lo ha portato a studiare al prestigioso Berklee College of Music di Boston, dove nel 2017 ha conseguito la laurea triennale. Oggi vive negli Stati Uniti, la terra della meritocrazia dove tutto è possibile, anche per un non vedente. Aveva solo dieci anni quando ha iniziato a suonare la chitarra, passione trasmessagli dallo zio, e proprio dalle sue origini oggi, non ancora trentenne, sta lavorando al suo ultimo album “Fragments”. Noi lo abbiamo raggiunto nel suo studio a Brooklyn.
A dieci anni inizi a suonare la chitarra e a prendere sul serio la musica, mentre all’età di diciotto perdi uno dei cinque sensi, la vista, ma non la voglia di continuare a esplorare la vita attraverso le note e i suoni. La musica è riuscita a non rendere la vita meno preziosa?
“La musica è uno strumento che dà conforto e sollievo a tutti, nel mio caso suonarla è stata un’esperienza che mi ha aiutato tantissimo, soprattutto nella fase iniziale, quando ho iniziato a perdere la vista. È stata una grandissima compagna, che non mi ha fatto sentire solo. Nei periodi che ho trascorso in ospedale, avevo sempre la chitarra con me, lei mi dava la forza e la carica. Ascoltare musica e suonarla è sempre stato un nutrimento”.

La musica è una forma d’arte totalmente accessibile ai non vedenti, eppure impararla, leggerla e scriverla e di conseguenza suonare uno strumento musicale è, per le persone con disabilità visiva, una vera e propria impresa. Quanto è stato faticoso trovarsi in un labirinto e ritrovare la propria strada?
“Imparare uno strumento non è stato molto difficile, perché la musica va ascoltata e le difficoltà oggettive della non lettura sono vinte da uno sviluppo maggiore degli altri sensi. Per me è stato tutto un riadattamento, perché inizialmente leggevo la musica, e ho sviluppato un forte senso dell’udito che mi ha aiutato tantissimo. È stato faticoso il mio labirinto: a 13 anni sono diventato ipovedente e non ero affatto preparato, ma c’è una cosa che mi ha aiutato a non perdermi ed è l’amore che ho ricevuto. Ognuno di noi, in qualsiasi situazione si trovi nella vita, ha solo bisogno di sentirsi amato, sempre”.
Il tuo talento musicale e la passione per la musica ti portano a Boston dove, ti laurei in quella che è considerata un istituzione musicale, il Berklee College of Music. In America un musicista non vedente può veramente realizzare i suoi sogni ?
“L’esperienza americana mi ha permesso di poter ampliare tantissimo le prospettive. Ho potuto confrontarmi con molte persone di ogni parte del mondo e la mia mente si è aperta a vasti orizzonti. Il mio istituto ha un laboratorio dedicato solo ai non vedenti, e mi hanno insegnato cose per me impensabili. È stato un percorso di studi che mi ha permesso di essere tra i pochissimi non vedenti a utilizzare programmi di scrittura musicale e questo mi ha dato la possibilità di instaurare relazioni lavorative con persone vedenti, per me non esistono più ostacoli”.

Le nuove tecnologie informatiche, applicate agli studi musicali dei non vedenti, hanno aperto davvero prospettive impensabili fino a qualche decennio fa. Con la tua formazione sei l’unico non vedente in Italia a lavorare professionalmente con programmi di scrittura musicale (Sibelius) e di registrazione( ProTools), oltre che suonare, produrre musica, curare arrangiamenti. Pensi che in futuro lo studio della musica diventerà accessibile per tutti?
“Purtroppo oggi in Italia i non vedenti non hanno ancora queste possibilità. Io non ho avuto nessuno aiuto e soprattutto nessuna istituzione a cui mi sono rivolto è riuscita mai a darmi indicazioni. Quando racconto la mia storia e la mia formazione ai non vedenti italiani stentano a crederci. Il mio augurio è che la musica possa rendere autonomi, indipendenti e soprattutto tutti uguali”.

La meritocrazia e la cultura musicale sono certamente importanti, ma quanto conta avere anche una genialità propositiva e una vivacità costruttiva per non rimanere dentro un sistema arretrato e statico?
“Nella musica è importante avere un tocco di genialità e lasciarsi andare alla sperimentazione. Nelle regole musicali ci deve sempre essere il fanciullo ribelle dentro di noi, che non ha paura di giocare con i suoni. La musica ha il potere di far uscire chi siamo”.

Dinamico, creativo, pieno di energia e talento musicale, gestisci in totale autonomia la tua vita a Brooklyn. Ti sa essere amica e ha saputo venire incontro alle tue difficoltà?
“Ho preso il Covid-19 e ancora mi sto riprendendo. È una città che mi piace, ho poche conoscenze, ma buone. Sto lavorando molto e mi fa sentire bene accolto, in futuro spero di integrarmi sempre di più. In America si concretizza la sensazione di poter realizzare qualcosa, mi sento supportato”.
Nel corso della storia, molti musicisti non vedenti hanno affascinato la gente con il loro dono della musica. Nell’America moderna, due di queste persone si distinguono: Ray Charles e Stevie Wonder. Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
“Per me Stevie Wonder è leggenda, al Berklee College c’era una classe dedicata solo a lui, chiamata “La musica di Stevie Wonder”, sono per me dei personaggi che mi insegnano a non mollare mai. Il mio punto di riferimento quando stavo perdendo la vista è stato Jeff Healey, chitarrista canadese, non vedente, grandissima fonte di ispirazione. Oggi ascolto di tutto e producendo musica mi piace esplorare e sperimentare sempre cose nuove. Le sfumature della musica moderna le inserisco sempre nelle mie produzioni”.

In una New York che prova a tornare in vita, sei impregnato nel tuo prossimo album, “Fragments”, dalle sonorità jazz fusion. Cosa accade quando due generi musicali si uniscono ?
“Nel jazz ci sono delle armonie con accordi più colorati e insoliti, il rock classico invece è di pochi accordi, l’unione è fatta per l’ascolto e non si può spiegare a parole. Le armonie del jazz mi hanno sempre incuriosito e dato il coraggio di creare cose nuove, sperimentandomi.”
Su cosa gli occhi dell’altro dovrebbero posare l’attenzione tra le continue distrazioni della vita, affinché capisca che saper osservare è un dono e che non sia poi così scontato?
“Quando abbiamo le cose si ha l’abitudine di darle per scontate. La sfida più grande per ognuno di noi è prendere contatto con se stessi. È faticoso stare nel presente, è meglio rifugiarsi nei sogni, ma non bisogna lasciarlo fuggire perché solo lui ci rende vivi. I desideri? Accoglierli, ma senza affanno”.