“Tre passi e dentro la finestra, il cielo si fa muto, resto lì a guardare”. Inizia in un sussurro, quasi in punta di piedi, il brano che Pietro Cantarelli ha scritto per la cantante e attrice Tosca, in gara al 70° Festival di Sanremo. Quando l’artista entra sul palco dell’Ariston e intona la prima strofa, il tempo sembra fermarsi per 3 minuti e 20 secondi, mentre il pubblico, in profondo ossequio, ascolta una narrazione di vita musicata in cui emerge tutta l’essenza di colei che la interpreta. Bastano pochi secondi per afferrarne la raffinatezza. Un’intimità respirata che vive nella canzone e che concretizza un sentimento d’amore nel suo più doloroso finale, in “quell’attimo fatale” in cui, almeno una volta nella vita, molti tra noi si sono arresi.
C’è in quella canzone l’anima di Tosca, l’alchimista dell’arte, l’esteta che gioca e sperimenta lingue, influenze, suoni e cromatismi musicali provenienti da ogni angolo del mondo e il cui spirito fa proprio, trasformandolo in note, e note in armonia. E c’è la sua storia musicale in ogni battuta e persino in ogni pausa.
La magia sanremese si compie e la sua ‘Ho amato tutto’ ottiene un posto speciale nel cuore della gente. La garbata interpretazione del pezzo e quell’arrangiamento archi e pianoforte che si colloca al di là delle attuali logiche di marketing, ridisegnano con grazia e professionalità i contorni di una musica e di un festival che avevamo perduto. Lei, poetica ed emozionale, concettualmente e artisticamente all’avanguardia ma meravigliosamente retrò, come quelle tradizionali mollette della nonna tra i capelli per sentirsi ovunque a casa, anche sul palco dell’Ariston. Perfettamente a suo agio, eterea eppur terrena, quella stessa donna terrena che Saverio Marconi volle nel musical ‘Sette spose per sette fratelli’, di nuovo su quel palco che la rese improvvisamente popolare nel 1996, quando si aggiudicò il primo posto nella kermesse canora con la ormai celebre ‘Vorrei incontrarti tra cent’anni’, in coppia con il cantautore Ron.
Un passato interessante, prima e dopo di allora, costruito giorno dopo giorno con lavoro e dedizione, da quella sera in cui Renzo Arbore la ascoltò causalmente in un pianobar di Roma, la sua città, negli anni di storici programmi televisivi come ‘Indietro Tutta’ e ‘D.O.C.’ Un incontro decisivo a cui seguirono collaborazioni con nomi di prestigio, a cominciare dallo storico produttore e compositore Claudio Mattone, e poi Riccardo Cocciante, Renato Zero, Ivano Fossati, Mariella Nava, Ennio Morricone, Renzo Zenobi, Chico Buarque, Lucio Dalla. Proprio quel Lucio a cui Tosca dona, in meno di quattro minuti, tutto il suo incommensurabile talento interpretando la cover di ‘Piazza Grande’, arrangiata superbamente da Joe Barbieri. Una manciata di minuti in cui la sua voce si intreccia magnificamente con quella della cantante spagnola Silvia Perez Cruz e il ritmo della violoncellista Giovanna Famulari. Una danza dell’anima da cui traspirano maestria e intelligenza al femminile. Con le ‘Tre Grazie’, il chitarrista Massimo De Lorenzi, a rievocare un sogno di libertà che tanto somiglia al cammino artistico di Tosca, mai omologata o conformata ad alcuna moda, un inno alla gioia che Dalla avrà applaudito tra le stelle e che le regala il Premio Nilla Pizzi.
Tosca che presta la voce ad Anastasia nell’omonimo cartone animato, colei che pubblica canzoni in giapponese e yiddish, che dedica uno spettacolo a Gabriella Ferri, “la mia musa, quella per cui io faccio questo mestiere”, che unisce contaminazioni culturali e sonorità internazionali che hanno attraversato la sua vita musicale nel raffinato album ‘Morabeza’ e ne realizza un appassionante documentario dal titolo ‘Il suono della voce’.
Se le canzoni sono una sequenza di musica e parole, e i suoni una combinazione e sovrapposizione infinita di ritmi, armonie e melodie, Tosca sta decisamente oltre. Oltre anche quella classifica sanremese che la vuole tra i primi posti ma non al primo posto. In fondo, lei hai stravinto moralmente su tutti. E lo conferma il Premio Giancarlo Bigazzi assegnato dall’Orchestra al miglior componimento musicale, proprio la sua canzone. E quando si spegneranno le luci e si chiuderà il sipario, per Tiziana (Titti) Donati, questo il suo vero nome, sarà quello il riconoscimento più gratificante.
Non sono mai riuscita a chiamarla Titti. Neppure quando mi telefonò in un pomeriggio piovoso di fine ottobre per parlami del suo ‘Adeste Fideles’ in iracheno (la sua creatività sempre oltre). Troppo confidenziale quel nome, per me che in una sorta di riverenza ho sempre preferito chiamarla Tosca, come la celeberrima opera di Puccini o, nel massimo della trasgressione, Tiziana. Eppure abbiamo in comune Arbore e Mattone, il periodo di ‘Quelli della notte’, quella formazione che lei definisce ‘artigianale’, lontana da fronzoli e finzioni. Ma lo scopro solo oggi, facendo il mestiere di giornalista. E curiosando scopro anche che è nata sotto il cielo della Vergine, come me, e in un attimo tutto diventa più chiaro, anche quella sua venusta riservatezza.