Eccoci dunque al cospetto della potenza evocativa di Vivaldi, cari amici. Godiamoci Sovvente il sole, aria di Perseo dall’Andromeda liberata interpretata dal contralto francese Nathalie Stutzman.
Ci siamo recentemente imbattuti in avvincenti composizioni di Bach e di Handel: risaliamo quindi a un modello studiato a fondo da entrambi. Soprattutto da Bach, direi, di cui restano almeno una decina di lavori in cui sono innestati materiali del maestro veneto.
Antonio Lucio Vivaldi nasce nel 1678 a Venezia, città di eccellente tradizione musicale della quale il Prete Rosso rappresenta la più fulgida incarnazione. Il soprannome, oltre che dal colore della capigliatura, gli viene dall’ordinazione sacerdotale che gli aprì subito le porte, in qualità di maestro di cappella, dell’istituzione benefica dell’Ospedale della Pietà. Un orfanotrofio femminile in cui alle allieve più dotate veniva data la possibilità di sviluppare pienamente il potenziale musicale. Anche a Napoli, altra capitale europea della musica nel Settecento, erano attivi quattro conservatori con la medesima vocazione, ma tutti e quattro riservati ai ragazzi. Il padre di Antonio era un violinista della Cappella Ducale di San Marco, di cui Vivaldi non divenne mai maestro per la semplice ragione che il posto rimase occupato da Antonino Biffi. Il quale ultimo non lasciò grande memoria di sé, anche visto l’assoluto valore artistico dei predecessori: la Scuola Veneziana aveva infatti consegnato alla storia giganti quali Gabrieli, Monteverdi e Legrenzi. Vivaldi fece all’estero diverse sortite, portando tal volta al seguito la cantante Anna Giraud, ma fu sempre di base a Venezia. Si spense a Vienna nel 1747, a quanto sembra in povertà, e in circostanze mai sufficientemente documentate. Fu ricordato come violinista e compositore, e questo è a tutti noto, come probabilmente è famosa la copiosa produzione di concerti: circa quattrocentottanta e se ne scoprono ancora di nuovi.

Meno conosciuta è la produzione vivaldiana di musica per il melodramma, e qui torniamo al tema dell’educazione musicale scolastica, che rende alcuni brani troppo noti lasciando il resto nell’oblio. L’immaginario popolare, mal sostenuto dall’unica ora di educazione musicale prevista in Italia alle scuole medie, varia di quel tanto persino i nomi delle composizioni. Gli stupendi concerti che aprono Il cimento dell’armonia e dell’invenzione, titolo composito che rispecchia l’eclettismo dell’età dell’Arcadia, diventano infatti nel linguaggio comune: Le quattro stagioni.
Ora Quattro stagioni è il nome di una pizza che si cuoceva a Napoli prima che il gusto dominante prevedesse la serie di ingredienti che, dalla rucola all’avocado, tendono pericolosamente all’infinito. Nella capitale tirrenica dell’Opera seria, sino ai tardi anni ’70 del secolo scorso, venivano infatti sfornate esclusivamente le seguenti pizze: Marinara, così chiamata non perché contenesse frutti di mare ma perché fatta con ingredienti conservabili in navigazione quali aglio, olio, origano e pomodoro, Margherita, cui in onore della regina di Savoia si provvide all’aggiunta della mozzarella con una foglia di basilico, Capricciosa, quando l’estro arriva a immaginare prosciutto cotto, funghi, olive e carciofini, e infine Quattro stagioni, che dispone il tutto in quadranti ben delineati. Fine della fiera. Un ordine quadripartito, dunque, come del resto è in Italia il treno di gomme per autoveicoli che reca appunto lo stesso nome: Quattro stagioni.
E se tanta improbabile insipienza, amici della rubrica, si collega ai bigodini che ondulavano graziosamente i capelli di una mia prof alle medie, la quale di questi brani ci parlava dalla cattedra senza proporne l’ascolto – li conoscevamo senz’altro, vero? – non ha in realtà alcuna attinenza con lo spirito rivolto al nuovo tipico del secolo dei lumi e tantomeno con il potere di Vivaldi di evocare con la potenza del linguaggio musicale l’intero spettro degli umani sentimenti. Se è dunque vero – verissimo – che abbiamo avuto docenti bravi anche alle medie, resta la sciagura che un’ora di musica alla settimana sia poco – troppo poco – in un paese di musica come l’Italia.

Sovvente il sole è parte di una serenata-pasticcio rinvenuta nel 2002 nella biblioteca del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Si tratta di una raccolta di manoscritti in copia, attribuiti a diversi autori, intitolata Andromeda liberata. Serenata è da intendersi nel senso di intrattenimento serale; pasticcio, in quanto musica di autori vari. Solo l’aria che ascoltiamo, Sovvente il sole, è attribuita al Prete Rosso; degli altri compositori parleremo altrove. Un formato sui generis, la serenata-pasticcio, prodotto tipico del tempo, corrispondente alle ambizioni “illuminate e stravaganti” – per citare una definizione di Francis Haskell – degli intellettuali dell’epoca, spesso affiliati all’Accademia dell’Arcadia. La serenata, datata 1726, fu concepita per la visita a Venezia del cardinale Ottoboni, controversa figura che svolse un ruolo di primo piano nella promozione della cultura e degli artisti italiani nel secolo XVIII.
Il tempo nobiliare delle corti andava impegnato, e tanto bastò a commissionare materiale che dava ai musicisti la possibilità di affinare l’arte del comporre. Il clima culturale che si respira in Arcadia si ricollega alla concezione di uomo moderno inteso come individuo versato in tutte le discipline, il cui modello ideale risale al mondo antico – rappresentato dalla sintesi che ne offre il teatro greco – con il suo policromo sfondo mitologico. Un mondo di immagini, tramandate nella psiche attraverso i millenni, le cui radici affondano nei geni di cui è fatta la specie umana, e con le quali si continua a fare i conti.
L’archetipo dell’Eroe prende in questo dramma le sembianze di Perseo, impegnato nella lotta contro il mostro marino inviato da Poseidone a divorare Andromeda. La giovane giace legata a uno scoglio per mano dei genitori, costretti con il sacrificio della figlia a placare il dio del mare, adirato con la madre Calliope, rea di arroganza e vanità.

Il mito, giunto sino a noi via Apollodoro, Sofocle e Ovidio, finisce a tarallucci e vino, con i genitori di Andromeda ben felici di consegnare la fanciulla all’eroe innamorato. Ma nella versione del libretto le cose si complicano: quando Perseo si rivolge all’amata, ella gli confessa il proprio amore per Daliso. Immaginate la depressione dell’eroe. E figuratevi l’apprensione di Calliope. La madre implora infatti la figlia di risolversi, timorosa di un castigo divino ancor più grave. Andromeda risponde che risolverà, si, risolverà. E tuttavia chiede alla madre di vivere per qualche tempo l’amore. Andromeda si rivolge dunque all’amato Daliso, il quale, contrariamente ad ogni aspettativa, rifugge il sentimento: le passeggere gioie, a fronte dei dolori che amore comporta, lo consigliano di tenersene alla larga. A questo punto la ragazza ritorna da Perseo, ancora afflitto e prostrato dalla cocente delusione, dicendogli ch’egli vince con lei due volte: per averle tolto le catene, e per la costanza dimostrata in amore.
In questo preciso frangente, in cui si deve esprimere il sollievo di Perseo messo alle corde dall’amore non corrisposto – stato d’animo che nessun verso potrebbe di per sé descrivere – Vivaldi dispiega in suono l’inesprimibile, musicando con l’aria per contralto e violino il sovvenir del sole, a seguito di tanto cupa tempesta. Siamo davanti allo specifico musicale, amici della rubrica: il potere di rendere trasparenti le emozioni. E non è l’unica bacchetta magica che possiede il suono organizzato. Scavalcare il linguaggio cogliendo con precisione il vissuto ha un valore che trascende persino l’arte, disegnando l’estetica dell’utile: la comunicazione pre-verbale madre-neonato, la suggestione psichiatrica del tarantismo, il processo interpersonale in musicoterapia.
Sovvente il sole
Risplende in cielo
Più bello e vago,
Se oscura nube
Già l’offuscò.
E il mar tranquillo
Quasi senz’onda
Talor si scorge,
Se ria procella
Già lo turbò
Sovvente – e non sovente – è il testo poetico di Vincenzo Cassani: il raddoppio della consonante sposta completamente il piano del significato, elevando sensibilmente la tensione lirica del verso. Sentite con quale pertinenza emotiva Vivaldi mette in dialogo le parti, cui danno vita Nathalie Stutzmann nel doppio ruolo di contralto e direttore, e l’intenso Thibault Noally al violino barocco. Accompagnati dall’impagabile ensemble Orfeo 55, soppresso per lacune finanziarie nell’impotenza delle istituzioni francesi.