- AVVERTIAMO I LETTORI CHE LA DATA DI NEW YORK E’ STATA CANCELLATA. IL TOUR DI CHIARA CIVELLO PROSEGUE REGOLARMENTE A WASHINGTON E BOSTON
Quando le contaminazioni prendono forma e si tramutano in sonorità, quando la soave voce si fonde ad un sound che si allontana dalle mere classificazioni di genere ed è intriso di mondo: è questo quello che accade nella produzione di Chiara Civello, cantautrice eclettica, italiana di nascita ma cittadina del mondo. Un mondo che va da Roma, sua città natia, passando per i sapori e i suoni della Puglia, terra alla quale è molto legata, per giungere Oltreoceano dove le sonorità della New York moderna e innovativa si sposano con quelle ataviche e avvolgenti del Brasile.
Ultimamente, poi, Chiara approda in Francia e anche da questa terra carpisce le emozioni e le traduce in musica, lei che con la sua voce e la sua latinità ha sedotto Marc Collin, l’inventore del gruppo Nouvelle Vague, che ha visto in lei la figura portante della nouvelle vague italiana, inserendola in Kwaidan, la sua etichetta di pop alternativo e producendo il disco Eclipse.
Ed è proprio questo ultimo lavoro che, dopo il tour italiano, approda in America, a New York, la seconda casa dell’artista. Il 14 aprile, infatti, al Poisson Rouge di NY, Chiara Civello si esibirà, supportata in alcuni pezzi dal chitarrista Jim Campilongo, portando sul palco i brani del suo ultimo lavoro Eclipse. Il tour proseguirà il 16 aprile all’IIC di Washington e il 17 aprile al Regattabar di Boston.
Per l’occasione abbiamo intervistato la cantautrice.
Inizierei subito con una domanda che riguarda la tournée Americana. Dopo aver portato Eclipse in tour in Italia torni a NY. Ormai sei di casa lì?
Assolutamente si, è totalmente casa. Ho vissuto a NY regolarmente sino al 2010 poi, ho vissuto tra il Brasile e gli Stati Uniti, dopo, sono tornata in Italia e ultimamente sono stata in Francia.
New York per me è un posto familiare, è una città che mi ha dato tanto e nella quale ho passato tanto tempo e dove ho casa. E’ una città alla quale sono molto grata e che mi ha ospitata nel periodo in cui nascevo musicalmente.
Sono partita da Boston, perché avevo fatto il Berklee College of Music, poi, come tutti i musicisti che ambiscono ad avere una vita nell’ambito musicale, avevo bisogno di estendere un po’ i confini visto che Boston offre delle opportunità più a livello accademico e didattico. Chi, invece, voleva perseguire l’ambito musicale e artistico doveva approdare a NY e io, dunque, ho seguito questo iter e lì ho cominciato la mia vita musicale concreta. Oltre a suonare nei locali, conobbi un produttore discografico molto importante che ha fatto ottenere il primo contratto con la Verve e che mi ha instradata verso la scrittura piuttosto che la sola interpretazione di brani non miei. Quindi mi ha indicato un cammino che poi è diventato il mio personale.
Chiara Civello, infatti è oggi una cantante, autrice e polistrumentista che vanta collaborazioni internazionali e che persegue la sua passione per la musica sin da piccola. A soli 13 anni frequenta il Saint Louis di Roma, dove ha modo di conoscere la sua prima insegnante Edda Dell’Orso, braccio destro di Ennio Morricone; dopo, verrà seguita da Cinzia Spata, che la esorta a partecipare alle audizioni dell’ Umbria Jazz ottenendo una borsa di studio che la porterà, appunto, al Berklee College of Music di Boston per poi, approdare, così come ci racconta, in varie parti del mondo.
Come riesci, dunque, ad unire tutti questi mondi: dalla Puglia a New York, ad esempio?
“Per quanto riguarda la Puglia: lavoro spesso a Bari perché c’è uno studio dove lavora un fonico che io amo moltissimo e che mi conosce molto bene e mi dà, quindi, la possibilità di esprimermi al meglio. Vado in giro per il mondo, raccolgo suoni e, poi, vado a Bari per registrarli; porto lì anche molti artisti con i quali collaboro per registrare al meglio i pezzi e dove mi sento, anche lì, a casa. Forse perché sono metà pugliese e forse perché sono riuscita a trovare uno studio in cui, grazie a Tommy Cavalieri, che lavora tanto con Nicola Conte che mi ha fatto conoscere lo studio, riesco ad esprimermi al meglio.
Vivo, quindi, ogni luogo per le sue caratteristiche, colgo da ogni posto qualcosa che riporto nella mia musica”.

Credi che la tua musica venga percepita diversamente nei vari luoghi che vivi e in cui ti esibisci? Quando scrivi le tue canzoni hai in mente un pubblico di riferimento?
“Credo che ogni pubblico abbia il suo DNA, legato alle proprie radici culturali e, di conseguenza, anche la reazione e la percezione della musica è differente.
In questi tre paesi, Italia, Brasile e Stati Uniti vedo delle reazioni diverse: i brasiliani, ad esempio, sono più effervescenti, viscerali, hanno un’ammirazione calda dimostrata dal volersi alzare dalle sedie e esprimere, anche con il corpo, la passione per la musica. Il pubblico italiano è sentimentale, caldo ma più composto; gli americani, invece, hanno più senso dell’umorismo cosa che, ad esempio, non accade con gli orientali che sono molto timidi e rispettosi.
E’ davvero bello confrontarsi con i diversi modi di accoglienza ma, in realtà, non è un caso che io frequenti questi tre paesi, perché la musica che faccio è la sintesi di tre mondi musicali. La cosa che più accomuna il Nord America al Sud è quest’elemento, diciamo, Africano che viene dal Jazz, dall’Afro-cubano, Afro-brasiliano, che è anche il risultato di quello che è diventato il Jazz nel Nord America che è, poi, la Samba, la Bossa Nova nel Sud America. Tutto quello che è venuto fuori da una storia antropologicamente legata alla diaspora Africana; quello che, quindi, mi interessa è proprio una musica sincretica, una musica che sia il risultato di miscugli e di incontri.
In Italia, ad esempio, chi aveva fatto questo tipo di discorso erano Pino Daniele, Lucio Dalla, persone interessate a degli innesti culturali. Contaminazioni di luoghi diversi, come quello che accade nella musica napoletana o pugliese, dove però le influenze africane sono più legate a quella orientale, più arabeggiante rispetto al mondo dell’Africa sub-sahariana.
Il jazz, quindi, fa parte della mia ricerca ed è la mia passione perché è nato dopo tanto dolore, tanta sofferenza ma che alla fine esprime solo tanta libertà.
La musica che amo è una musica che non è troppo catalogabile, è il risultato di una peregrinazione, di una curiosità atavica, di una sete e di una voglia di conoscere l’umanità”.

Nell’ambito della musica italiana hai citato Pino Daniele e Lucio Dalla ma, invece, che rapporto hai con la musica americana? Hai dei riferimenti?
“La musica americana di oggi, sia nel Pop che nel Jazz, se io cito Robert Glasper, Esperanza Spalding o Anat Cohen, la mia amica clarinettista, o ancora se penso al lavoro che ha fatto Solange, vedo che nella musica americana ci si spinge sempre un po’ oltre, si cerca sempre di sperimentare. Ci si apre a varie sonorità, si punta a fondersi con altri stili e altri contenuti; non si bada molto ad un algoritmo del gusto e del pubblico ma ci si spinge oltre. Una musica che vuole abbattere i confini, si viene a creare una resistenza artistica che vuole aprirsi. Questi artisti sono mossi da intenzioni simili alle mie, celebrano l’ereditarietà africana, celebrano le differenze e si aprano alla democrazia artistica”.
La Civello, inoltre, vanta una serie di collaborazioni di prestigio da Burt Bacharach a Esperanza Spalding o Al Jarreau, da Chico Buarque a Gilberto Gil sino all’ultima che la vedrà protagonista con il chitarrista Campilongo.
Sarai sul palco a NY con Jim Campilongo, una delle varie collaborazioni che hai intrapreso nella tua carriera. Come nascono queste collaborazioni, come le vivi ?
“Jim è un chitarrista molto speciale e molto eclettico con il quale abbiamo registrato già qualcosa. Lui sarà sul palco per suonare qualche brano con me anche se il concerto è incentrato sull’album Eclipse.
Adoro l’interazione con altri artisti, il punto di incontro ti fa uscire dalla zona di comfort individuale per scoprire una nuova dimensione di sè nei confronti dell’altro”.
Negli anni è cambiato il tuo approccio con la musica? Come, se lo è?
“Io cerco sempre di mantenere un orecchio innocente, da ascoltatrice credo di aver manutenuto una coscienza da fan, bisogna sempre farsi inondare dal suono; per quanto riguarda, invece, la mia produzione, devo ammettere che, qualche volta, mi stanco di dover produrre un disco ogni tot per poi fare una tournee di anni, vorrei non essere ostaggio di regole imposte. A riguardo, dunque, non escludo che l’anno prossimo possa far uscire tre dischi oppure che non ne esca nessun e che faccia tre spettacoli che poi possano essere mandati in onda da qualche parte.
Parafrasando il saggio Proust: per mantenersi vivi, per mantenere uno stato di allerta e di coscienza, bisogna disattivare tutte le abitudini, tutti i comfort. Questo per evitare il rischio che uno si adagi e si perda la magia che ti spinge a realizzare la prima canzone”.
Chiara Civello, dunque, regala nei suoi brani e in particolare nell’ultimo lavoro Eclipse, una sorta di tropicalismo italiano, nella sua musica si evince il suo essere ‘meticcia’ e il bisogno che la spinge a ‘divorare’ le musiche del mondo e a fonderle con le sue radici italiane. Una specie di antropofagia –così come dicevano i modernisti brasiliani- al contrario: assimilare nel mondo e realizzare una musica italiana-europea contaminata.