La celebre commedia, in scena al Teatro Eliseo fino al 10 marzo, è ispirata ad un personaggio realmente esistito a Roma, Gaetano Santangelo detto appunto Gaetanaccio, burattinaio ambulante che sulle spalle trasportava il suo castello di marionette per le vie, le piazze e all’interno dei palazzi della nobiltà romana, dove spesso era chiamato per rallegrare feste e banchetti.
Siamo nella Roma papalina, la soggiogazione del povero, l’indigenza e la paura sono sentimenti che vengono compensati dal carattere indolente, giocoso e spavaldo di un popolo che con gli abusi del potere ha sempre convissuto.
Nel ruolo (che al tempo fu di Gigi Proietti) dell’irriverente e gradasso Gaetanaccio, troviamo oggi Giorgio Tirabassi, innamorato di Nina, interpretata da Carlotta Proietti, anch’essa attrice in cerca di fortuna, condivide con lei la sorte, ritrovandosi davanti al bivio del compromesso.
Anche in questa opera, Magni dipinge una Roma nella quale convivono amore, cinismo, ironia e poesia.
A parlarci dello spettacolo, in scena al Teatro Eliseo dal 19 febbraio e che vede la regia di Giancarlo Fares, è lo stesso protagonista Giorgio Tirabassi che si racconta in questa intervista.
Come è nata l’idea di rimettere in scena La commedia di Gaetanaccio dopo quarant’anni?
“Beh, il tutto è coinciso anche con una serie di celebrazioni: una di queste riguarda il Teatro Eliseo che quest’anno festeggia il centenario oltre, ovviamente, al ‘quarantennale’ – chiamiamolo così- del Gaetanaccio. Inoltre, mettere in scena questa commedia è un modo per ricordare una figura importante come quella di Gigi Magni. Credo, infatti, che vada celebrato e vada rammentato al pubblico -o per lo meno al pubblico romano- chi era e chi è tutt’oggi Magni, perché un autore resta immortale. Il testo, infatti, dopo quarant’anni è ancora, assolutamente, attuale ed è riconoscibile il linguaggio di Gigi Magni, un linguaggio cinico, aggressivo ma anche poetico e dolce. Abbiamo, dunque, una testimonianza di come la nostra lingua possa essere piena di sfaccettature”.
Cosa vediamo nella commedia della Roma di oggi?
“Chiaramente è tutta una simbologia: parliamo di una Roma Papalina, si parla di povertà, di fame e di tirannia, tutte cose che esistono ancora ma con altre vesti. Il povero o il tiranno sono sempre esistiti e tutt’ora ritroviamo queste figure ovunque: all’interno di un ufficio, ad esempio, chi ha un po’ di potere usa la tirannide. Nella commedia si parla, poi, di amore, di miseria, dell’essere umano in genere e per questo è sempre molto attuale. Certo siamo in un’altra epoca, c’erano le pene corporali per gli attori che recitavano in periodo di quaresima, dei divieti e delle restrizioni diverse”.
Come ti sei preparato per questo ruolo?
“Con molta attenzione e preparazione. Ho iniziato a lavorare durante le feste di Natale perché le prove hanno avuto inizio i primi di gennaio e ho, quindi, deciso di presentarmi con una parte di copione a memoria. Il testo è molto ampio e ho pensato di prepararmi in anticipo perché volevo lavorare non avendo l’impaccio del copione in mano. Poi ho continuato a lavorare, anche delle canzoni, in teatro con i giusti tempi che occorrono per mettere in scena una tipologia di spettacolo come questo”.
Parlando delle canzoni: nella commedia canti gli stornelli romaneschi, la passione per la musica l’hai da sempre. Chi sono i tuoi punti di riferimento?
“Ascolto molto il jazz e il blues ma anche musica brasiliana come la Bossa Nova, tutto, comunque, è molto legato allo strumento perché io sono appassionato di chitarra e, quindi, mi piace tutto quello che comprende l’utilizzo della chitarra nei vari generi musicali.
Il jazz resta, comunque, la mia grande passione, mi piace molto Django Reinhardt, ma ascolto un po’ di tutto anche Sergio Bruni o Claudio Villa”.
La Commedia di Gaetanaccio, dunque, non trasmette solo emozioni ma anche valori, quali?
“Innanzitutto quello che dovrebbe essere un diritto di tutti cioè essere al pari degli altri. Parliamo di una società dove, a parte i preti, i prelati e i nobili, erano tutti analfabeti e morivano di stenti e di malattie quindi si tratta di un qualcosa distante da noi e non paragonabile. Certo è che la commedia è piena di grandi valori, primo tra tutti la coerenza: Gaetanaccio viene messo alla prova (gli viene offerto un pranzo per convincerlo ad andare a suonare dal Papa) e da qui scaturisce un grande conflitto. E’ uno spettacolo molto denso che va visto e analizzato personalmente, perché ognuno può vederci delle cose diverse”.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Deve uscire una serie per Rai Uno dal titolo ‘L’Aquila grandi speranze’ e poi dovrebbe essere presentato il mio film che si chiama ‘Il grande salto’ e che dovrei promuovere nei festival come, ad esempio, al Bif&st (Bari International Film Festival)”.