La stanza singola di Franco126 profuma di vintage. Un paio di lampadari in stile “mariantonietta” che pendono dal soffitto, tre abat-jour sparse qua e là, un vecchio divano beige al centro. E poi un televisore ingombrante (non quelli super sottili di oggi), neon lampeggianti e sullo sfondo una vecchia carta da parati che incorniciano la stessa atmosfera d’albergo sgangherato, magari a una stella, spesso presente nei testi di Franco.

A soli tre mesi dal debutto solista, dopo la “sperazione artistica” da Carl Brave, un altro dei ragazzi della crew romana 126 da cui Franco ha preso il nome, nel suo repertorio c’è pochissimo spazio per il rap in favore delle canzoni cantate. Una nuova chiave narrativa che guarda al passato ma che conquista il presente.
Il riferimento al rétro è cosi forte tanto che i protagonisti delle sue canzoni sono il Tuttocittà, il Brioschi, le Nuvole di drago. Ma anche l’amore, quello sofferto, quello cantato dai più grandi cantautori italiani che Franco126 sceglie di suonare in un mood preciso: la malinconia.
E’ per questo che la playlist che precede il concerto, di solito frizzante e sbarazzina per caricare il pubblico, strizza l’occhio alle canzoni del passato. Ci sono i suoi cantautori preferiti, quelli da cui ha preso spunto come Renzato Zero, Claudia Mori con “Non succederà più” cantata a squarciagola dai ragazzi di oggi e l’immancabile Franco Califano, forse l’artista che più di altri l’ha segnato, tanto da invitare i presenti a cercarlo su YouTube.

Franco sale sul palco munito di occhiali da sole, felpa e baffi che nascondono un briciolo di timidezza. Saluta il pubblico e partono in successione “Fa lo stesso”, “San Siro” e “Brioschi”. Sembra più a suo agio dopo aver rotto il ghiaccio ma continua a precorrere metri su metri andando su e giù per la sua stanza singola, quasi come Maria De Filippi nella più classica delle puntate di “C’è posta per te”: la gente lo accompagna su ogni singola nota fino ad arrivare al momento amarcord sulle note di “Noccioline” (un pezzo di “Polaroid”, l’album d’esordio con Carl Brave) in compagnia di tre bire, rigorosamente con una sola erre come piace ostentare a Franco.

Sale sul palco l’ospite della serata milanese: è Venerus che lo accompagna senza Gemitaiz sulle note di “Senza di me”. Ma il momento nostalgia finisce presto e così si ritorna al presente, alle storie sbaglaite, alla malinconia di “Parole crociate” e “Oi oi”.
Ormai nella stanza di Franco 126 si sta così comodi che persino le mamme, i papà e i trenta/quarantenni cantano tutto e inscenano coreografie bislacche, un po’ come l’arredamento della stanza. E poco importa se ogni tanto c’è una stonatura di troppo: amano Franco proprio per quello, si vede e si sente.
Siamo giunti quasi alla fine e la prossima canzone è la title track del disco, quella “Stanza singola” che Franco avrebbe voluto cantare con la persona con cui l’ha registrata, Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti, che però non c’è. Poco importa perché ci pensa il suo esercito a sostituirlo. Le luci si abbassano e l’atmosfera diventa romantica: una miriade di cellulari e accendini colorano l’Alcatraz: “E quando metto il caffè sopra al fuoco / Faccio ancora la moka per due / E confondevo il mio respiro con il tuo / Io che aspettavo e non me l’aspettavo / Stammi vicino e tienimi lontano.”
Il live viene chiuso da “Frigobar”, il singolo che ha anticipato l’uscita di “Stanza singola” e che ci ha presentato il nuovo lato cantautorale di Franco126, l’inizio del suo percorso da solista. Franco dice che vorrebbe cantare altre canzoni ma che non ne ha. E va bene così, per il momento, di tempo ce n’è. Così ci accompagna verso la porta d’uscita della sua stanza tra gli applausi della gente e una certezza in più: la scuola romana dei cantautori ha un nuovo piccolo/grande esponente.