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February 11, 2019
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Grammy 2019, chi ha vinto davvero nell’edizione dei grandi assenti

La 61esima edizione dei Grammy verrà ricordata per il forfait di Kendrick Lamar, Childish Gambino e per l’assenza di Jay Z e Beyoncé, ma anche...

Piero MerolabyPiero Merola
Time: 5 mins read

La sessantunesima edizione dei Grammy verrà ricordata per il forfait di Kendrick Lamar, Childish Gambino e per l’assenza di Jay Z e Beyoncé, il cui album collaborativo della rappacificazione Everything Is Love è stato premiato come miglior LP “contemporary urban”. Solo Drake alla fine ha deciso come contentino di presenziare senza esibirsi per ritirare il premio per la miglior canzone rap, God’s Plan, ma ha colto l’occasione per regalare un criptico ma tutt’altro che delicato “rant” antirazzista nel suo stile . Gli altri hanno preferito restare a casa per lanciare un segnale forte contro il persistente e anacronistico predominio dei generi bianchi nelle categorie più importanti degli Oscar della musica, una tradizione peraltro non smentita nemmeno da quest’ultima edizione.

Travis Scott Setting It Off At The Grammys #GRAMMYs #Astroworld pic.twitter.com/CB5f7q9rUc

— Jared Coalmon (@jared_coalmon93) February 11, 2019

Non è solo una questione razziale, ma appunto di genere se si considera come siano passati più di decenni dai trionfi nella categoria più ambita (miglior album) di artisti hip hop, nella fattispecie gli Outkast con Speakerboxxx/The Love Below e The Miseducation of Lauryn Hill. Negli anni a seguire autentici dominatori delle classifiche di vendite e streaming come gli stessi The Fugees, Eminem, Missy Elliott, Kanye West, Lil Wayne, fino ad arrivare a Kendrick Lamar e Drake per fare qualche nome sono stati nominati, senza mai vincere il premio.

L’hip hop non ha più bisogno della legittimazione simbolica del Grammy dove dalla fine degli anni Ottanta sono state introdotte categorie ad hoc tra i premi, così come non ha bisogno della vetrina planetaria del Super Bowl. Dallo scorso anno, grazie agli streaming e alla nuova composizione demografica degli ascoltatori,  l’hip hop insieme alla musica urban di origine ispanica prevale nelle classifiche, con un vero e proprio strapotere sulle piattaforme di streaming. È semmai la musica country, che continua a rappresentare l’America tradizionale a dover aggrapparsi a vetrine come i Grammy. Così la country girl 2.0 Kacey Musgraves, sorprendentemente spinta e apprezzate anche dai blog considerati indie o alternativi, ha conquistato la statuetta per il miglior album, Golden Hour, insieme a quelle, piuttosto scontate, di miglior album country, migliore performance country solista e migliore canzone country.

La trentenne texana non è l’unica donna ad aver trionfato, in un’edizione particolarmente femminile e salvata mediaticamente da Michelle Obama, dopo un altro “bidone” illustre, per dissapori con il produttore Ken Ehrlich, e per giunta di una delle popstar più amate dai giovanissimi.

WATCH: @HERMusicx Perform Hard Place on the #Grammys

Make sure you follow us for the latest @opinion8dmecom pic.twitter.com/LZ6WwjmZTG

— Opinionated Me (@opinion8dmecom) February 11, 2019

lady gaga – shallow .#GRAMMYs⁠ ⁠

pic.twitter.com/7jUIjCrMRb

— ┼ (@R0BAI) February 11, 2019

Ariana Grande, oltre a non aver ritirato personalmente la statuetta per “best vocal pop album”, non ha rinunciato a polemiche postume su Twitter, poi cancellate, per la mancata vittoria del suo ex partner, il compianto Mac Miller. Il premio di miglior album rap è andato infatti alla star del momento, Cardi B, che porta a casa un altro traguardo storico dopo la serie di record degli ultimi dodici mesi. L’artista del Bronx è la prima donna a conquistare questo riconoscimento, in un genere a lungo dominato da soli uomini, come peraltro i due grandi assenti, Kendrick Lamar e Childish Gambino che si sono divisi gli onori due tormentoni del 2018: All The Stars scritta dal primo per la soundtrack di Black Panther insieme alla nostra vecchia scommessa SZA  e a This Is America, il cui video che vi abbiamo analizzato per bene in un approfondimento ha inevitabilmente vinto nella categoria. Tra le mezze sorprese sono senz’altro da segnalare le vittorie di altre due nostre antichissime scommesse: Leon Bridges per miglior performance Traditional R&B con Bet Ain’t Worth The Hand e la vittoria a Anderson Paak alla categoria migliore performance rap, grazie a Bubblin’, a ex aequo con l’altro superbrano da Black Panther, King’s Dead, in cui Kendrick Lamar aveva coinvolto James Blake, Future e Travis Scott. Quest’ultimo, così come già all’ultimo Superbowl, alla fine ha ceduto e ha scelto di esibirsi, regalando per altro una delle performance live dalle immagini più forti, con una gabbia messa al centro del palco e un mosh pit da vero animale da palco.

Per il resto ad aver lasciato il segno sono state le donne nei loro discorsi di “empowerment”e in performance memorabili. Si riguardi il duetto di St. Vincent con la popstar britannica premiata come miglior nuova artista, l’ammaliante Dua Lipa, l’inossidabile Lady Gaga in Swallow, la pirotecnica Cardi B con le sue contaminazioni latine, la consueta forza della natura Janelle Monàe, e la talentuosa H.E.R., che ha portato a casa i premi per miglior album R&B e migliore performance R&B (battendo i coniugi Carter). Doverosa la menzione d’onore alla presentatrice e madrina della serata Alicia Keys che ha dato un saggio di virtuosismo suonando due pianoforti in simultanea.

In qualche modo lo spettacolo doveva continuare. 

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Piero Merola

Piero Merola

Laureato in Relazioni Internazionali, lavoro come consulente di comunicazione, pubbliche relazioni e nuovi media. All'interesse per la storia e la politica americana, ho sempre unito quello per la musica. Dopo uno stage in Ambasciata Italiana a Washington, ho seguito per America 24 le presidenziali del 2012, e oggi scrivo per Rivista - Il Mulino. Editor del magazine online Kalporz, dal 2006 scrivo recensioni, interviste e report da ogni dove. Collaboro come ufficio stampa e copywriter con etichette, agenzie di booking, eventi e festival. In passato ho lavorato per festival estivi come Beaches Brew e Ortigia Sound System, oggi per la comunicazione del Diagonal Loft Club e di Deposito Zero Studios dove sono responsabile della direzione artistica del video format Live Zero. In questa rubrica vi presento nomi emergenti della scena americana, alcuni dei quali, intanto, sono diventati grandi.

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