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February 5, 2017
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Venezia e la musica: una storia d’amore centenaria

In occasione della rassegna "La Serenissima" a New York, un viaggio nei luoghi della musica veneziani

Alessandra MorobyAlessandra Moro
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La Fenice Theater in Venice

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“Se dovessi cercare una parola che sostituisce ‘musica’, potrei pensare soltanto a Venezia” scrisse Nietzsche che nella città lagunare soggiornò per la prima volta nel 1880, in un grande, elegante appartamento a palazzo Berlendis (ora, per la cronaca, in vendita a 2,5 milioni di euro). Oggi la Carnegie Hall ha scelto di rendere omaggio alla millenaria storia della Serenissima appunto con una rassegna musicale dal 3 al 21 febbraio.

In età rinascimentale ed oltre, in nessun’altra città si contavano così tanti teatri d’opera; le scenografie e le prodigiose macchine teatrali veneziane erano ammirate ed imitate ovunque, indirizzo di stile e tecnica. E anche l’artigianato era assai rinomato: gli strumenti qui costruiti erano ricercati da musicisti e da collezionisti; dal 1501, allorché Ottaviano Petrucci realizzò un libro di 96 “canzoni di musica armonica”, Harmonice Musices Odhecaton, il più antico esempio di musica polifonica stampata, Venezia divenne la capitale dell’editoria musicale.

Per non smarrirci tra le immaginarie calli della musica, abbiamo preso come guide alcuni “addetti ai lavori”, che vivono di e fra le note e sanno raccontare al meglio Venezia, secondo questa declinazione.

Dove nasce la musica

Partenza dal conservatorio Benedetto Marcello, accolti dal direttore, Franco Rossi, docente di Storia della musica, che ci svela le novità del museo della musica interno al conservatorio stesso e recentemente ampliato e riaperto al pubblico: “Il nuovo allestimento si è reso necessario per valorizzare gli strumenti esposti ed è stato realizzato da Enrico Bertolotti, un nostro ex allievo. La scelta di affiancarci a queste figure che crescono  nella nostra istituzione è caratteristica comune ovviamente per le attività musicali e conta oggi su una formazione interdisciplinare, anche ad impronta organizzativa e culturale”.

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Franco Rossi, direttore del Conservatorio

Il museo espone circa una settantina di strumenti e vari cimeli delle glorie musicali veneziane: “Tra gli strumenti di maggior pregio – continua Rossi – si annoverano cinque contrabbassi di ottima fattura e realizzati in vari periodi tra la fine del Seicento e i primi anni dell’Ottocento; inoltre, per lo stato di conservazione considerato ottimale, alcuni di questi strumenti vengono saltuariamente usati nei nostri concerti. Accanto a questi, sono rilevanti un fortepiano veneziano (e in quanto tale abbastanza raro, laddove sono comuni quelli viennesi, inglesi e francesi) e una preziosa spinetta poligonale del Cinquecento. Accanto agli strumenti sono conservati anche numerosi cimeli: autografi di varia provenienza (Vivaldi, Liszt, Verdi, tra gli altri) l’originale in cera del busto di Giuseppe Verdi realizzato da Gemito (le due copie in bronzo sono al conservatorio di Milano e alla casa di riposo per musicisti), la bacchetta con la quale Wagner diresse l’orchestra del conservatorio (allora Liceo musicale) e altri importanti dipinti e cimeli”.

Ma fuori dalle mura del museo che Venezia racconta la sua storia di città profondamente legata alla musica. Da storico e veneziano, Rossi ci segnala alcuni tra i siti più significativi: “Premesso che l’intera Venezia è una città musicale, alcuni luoghi risultano di particolare fascino; certamente la chiesa di San Marco, la cui cappella venne diretta dai massimi musicisti di ogni epoca, da Willaert a Monteverdi, da Cavalli a Legrenzi, da Galuppi a Perosi. Ma anche numerose altre chiese: Santi Giovanni e Paolo e i Frari: la prima ospitò i funerali di Igor Stravisnkij, la seconda ospita la sepoltura di Claudio Monteverdi”.

E come non citare i tanti teatri, a cominciare dal celebre Fenice (esempio ammirevole di ricostruzione dopo il devastante incendio del ’96) e dal Malibran, ma non solo. “Sono moltissimi i luoghi rilevanti per la musica (sono centinaia documentati!), anche privati; e naturalmente il nostro palazzo Pisani, nel quale venne ospitato Napoleone, presso il quale fu maestro di musica Galuppi e dove ininterrottamente, lungo tutto il Novecento, sono stati ospitati i maggiori musicisti. C’è, ad esempio, una lettera di Vera Stravisnkij nella quale ricorda la presenza sua e del marito nella nostra sala concerti per assistere ad un concerto di Andres Segovia“.

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Gli interni del Conservatorio

Tra i più grandi e mirabili palazzi veneziani, quello della famiglia Pisani risale al Seicento e, nei secoli, ha ospitato sovrani e illustri personaggi. Il pòrtego, salone del primo piano nobile, esponeva un tempo i ritratti dei Pisani più eminenti; dall’altro lato stava la Galleria, dove era raccolta una straordinaria collezione: da un inventario del 1809 risultano 159 dipinti, tra cui Tiziano, Tintoretto, Veronese, Palma il Vecchio. La rapida decadenza della famiglia portò, tuttavia, alla vendita sia della dimora, nel 1816, sia dei quadri, per far fronte ai debiti. Tra il 1897 e il 1921 il Comune di Venezia divenne, progressivamente, l’unico proprietario del palazzo, prima sede del Liceo Società Musicale Benedetto Marcello, poi, dal 1940, Conservatorio. Nel palazzo restano numerosi tesori, dalla cappella del primo piano nobile a dipinti, stucchi, porte intarsiate.

Al Conservatorio Miranda Aureli insegna tastiere storiche e clavicembalo, uno strumento che, spiega, “deve moltissimo a Venezia : dalle prime opere stampate per strumento a tastiera nel 1517 allo sviluppo delle forme tastieristiche per eccellenza, evolute dagli organisti di S. Marco nel corso del ‘500-‘600, dall’impiego che necessita come strumento di accompagnamento nelle grandi opere dei compositori più illustri, a cominciare da Vivaldi, fino a quel repertorio più squisitamente clavicembalistico codificato nelle opere di Galuppi e Marcello, per citare solo due fra i tanti esponenti della scuola clavicembalistica veneziana del ‘700“. 

Una composizione di suoni

Il rapporto tra la città e la musica sembra davvero connaturato a questo luogo tanto unico fatto d’acqua e pietra. Marco Bellussi, regista lirico, sottolinea “la fortuna d’essere nato e cresciuto in una magnifica città d’arte, un luogo in cui ogni scorcio assume immediata dignità pittorica, in cui ogni suono è già musica. Penso allo sciacquio dei canali, ai remi che sfrigolano sulle forcole e si tuffano nell’acqua, al canto dei gondolieri e ai versi dei gabbiani in volo. Potrei dire che vivere a Venezia è di per sè un’esperienza artistica e musicale“.

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“Ultima scena ed evocazione di Rakewell”, per la regia di Marco Bellussi

Bellussi, veneziano, in attività dal 1995, ha curato numerose regie sia in Italia che all’estero (Spagna, Germania, Belgio, Stati Uniti). Nella sua città ha collaborato con le principali istituzioni musicali quali Fenice, Biennale Musica e festival Galuppi; ha allestito, inoltre, nei teatri Goldoni e Toniolo. Accanto alle regie liriche spicca una importante pièce musico-letteraria, dedicata al genocidio armeno e interpretata da Ottavia Piccolo e Emiliano De Lello. “Da oltre vent’anni – racconta Bellussi – mi esprimo attraverso teatro e musica. Mi piace ricordare tre appuntamenti significativi, che mi hanno reso fiero d’aver lavorato nella mia città  e per la mia città: nel 1996 ho curato la regia de La serva padrona di Pergolesi in una produzione de La Fenice. Il teatro era da poco bruciato e la nostra opera contribuì a raccogliere fondi per la rinascita. Nel 2011, per la Biennale Musica, ho diretto Ultima scena ed evocazione di Rakewell, nuovo componimento di Stefano Bellon: destrutturando il finale del Don Giovanni mozartiano e contaminandolo con La carriera di un libertino di Stravinsky, abbiamo rappresentato il  lento assopirsi dei valori umani, il tutto in un luogo di per sè emblematico: l’isola di S. Michele, ovvero il cimitero di Venezia. Infine, nel 2013, Marc’Antonio e Cleopatra di Hasse, a palazzo Labia”. 

Chiediamo anche a Marco Bellussi di portarci nella sua Venezia musicale, tra gli scenari di questa storia d’amore tra la musica e la città: “Venezia, come ogni città d’arte, possiede dei luoghi istituzionalmente dedicati alla cultura musicale, luoghi in cui l’offerta al pubblico è garantita sia nella continuità, che nella qualità delle programmazioni. Tra questi consiglierei una visita al Gran Teatro La Fenice, che propone una pregevole stagione lirica e sinfonica. Venezia può inoltre vantare una delle cappelle musicali più antiche al mondo, la Cappella Marciana, che da oltre 700 anni accompagna la liturgia nella basilica di San Marco. Ogni domenica mattina alle 10.30 il Maestro Gemmani fa risuonare le cupole dorate della basilica con gli articolati intrecci polifonici di Monteverdi, Gabrieli, Willaert… Se poi si volesse vivere un’esperienza del tutto particolare e di intima raffinatezza, suggerirei di mettersi alla ricerca del palazzetto Pisani Ferri (adiacente al conservatorio) ove il Maestro Gobbo Trioli, con la sua associazione Spirito Nuovo, dà vita ad un salotto musicale unico e irripetibile“.

E nella musica e nella cultura in genere Venezia non ha solo la storia: potrebbe esserci anche il futuro di una città la cui stessa bellezza rischia di essere anche la sua condanna. “Venezia è una città con molti punti di forza ed altrettante fragilità – spiega ancora Bellussi – Tra queste, va considerato l’incombente pericolo di snaturarsi, di perdere l’originaria essenza vitale e produttiva, per diventare sterile museo di se stessa. Per ovviare a questa rischiosa tendenza e possibilmente contrastarla, vedrei con favore la creazione di spazi ed opportunità per i giovani studenti e neo diplomati del Conservatorio e dell’Accademia delle belle arti. Sarebbe un modo intelligente per creare occupazione giovanile e, al contempo, sviluppare un’inedita offerta per il turismo; un’offerta basata sulle capacità ed i talenti locali“.

Musiche di ieri e di oggi

Amica di Marco Bellussi, Irene La Rosa, architetto, ha condiviso esperienze artistiche come responsabile degli allestimenti scenici di opere liriche per il Festival Galuppi, dedicato al compositore buranese ed è stata membro del Coro dell’Università di Venezia, tenendo numerosi concerti in Italia e all’estero, e incidendo due cd sinfonico-corali assieme alla Camerata Vocalis della Università di Tübingen e all’Orchestra della Radio Tedesca Sudoccidentale (Südwestfdunk) di Baden-Baden. Con traboccante adorazione per le atmosfere lagunari, La Rosa racconta: “Ho avuto la fortuna di vivere e studiare in una delle città magiche più belle al mondo. I miei ricordi risalgono al decennio 1991-2001, quando vivevo lì e frequentavo l’Istituto universitario di architettura, lo IUAV; Venezia ovunque era un’esperienza sonora, dalle contrattazioni mattutine ai banchi del mercato del pesce a Rialto, al sinistro suono della sirena che annunciava  l’arrivo dell’acqua alta”.

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Veduta di Venezia

La Rosa ci spiega poi che oggi il sistema di segnali acustici di allertamento per l’acqua alta è diventato più complesso e ancora più musicale: 110 cm., un suono prolungato sulla stessa “nota” , 120 cm., due suoni in scala crescente, 130 cm., tre suoni in scala crescente, 140 cm. (e oltre) quattro suoni in scala crescente. E poi riprende il flusso dei ricordi sonori: “I botta e risposta dei gondolieri per annunciarsi agli angoli dei canali interni trafficati con le loro tipiche espressioni veneziane: ‘pope’, ‘ohi!’. E il borbottio  delle imbarcazioni a motore lungo il Canal Grande (tope, mototope, taxi, lance e  vaporetti)“. Nelle lunghe notti del Carnevalaltro, La Rosa rievoca l’immagine,  tra calli “sconte” e fondamenta “ ubriache”, di “una miriade di giovani  che seguiva, come topi dietro al pifferaio magico, un baracchino-stereo mobile per urlare a squarciagola  ‘oi ‘demo veder i Pin Floi’ dei Pitura Freska e tutto un repertorio reggae di estrazione locale che è una peculiarità delle proposte contemporanee dell’ambiente veneziano, come testimonia la fama del Vapore, locale a Marghera, a cui lego una mitica serata in cui, durante una 24 ore di musica a sostegno della causa curda, arrivarono senza preavviso e suonarono per tutta la notte i Simply Red”.

Luoghi d’elezione di Irene La Rosa? “I campi veneziani, in cui, da allieva di Alejandro Aquino, con i compagni e lo stereo andavo a ballare tango argentino, di notte; il teatro Malibran, il teatro alle Tese, che si trova dentro l’Arsenale e deriva il nome dalle tese cinquecentesche, i capannoni dove si tendevano le vele, affacciati sulle Gaggiandre. E ancora il teatro dell’Avogaria, memore di una collaborazione professionale con Stefano Poli, architetto e figlio del fondatore del teatro, Giovanni, grande amico di Giorgio Strehler: il nostro tavolo di progettazione era all’Harry’s bar, di cui era cliente affezionato“.

Mappe musicali

Anche con Paolo Cognolato, pianista e fondatore, nel 1987, dell’ensemble di musica da camera Interpreti veneziani, esploriamo quella che lui stesso definisce “una delle città più importanti nella storia di quest’arte”. Cognolato sottolinea la ricchezza dello scenario musicale veneziano: “Tutti siamo a conoscenza dell’attività musicale del Settecento veneziano, il periodo barocco, con i nomi illustri di Vivaldi, Albinoni, Galuppi, Marcello, ma molti erano poi  i musicisti, i cantanti, i compositori che, con la loro produzione, riempivano i 17 teatri cittadini”. Non solo: i luoghi della musica erano anche altri, come la chiesa della Pietà, che sorgeva nell’attuale sede dell’hotel Metropole ed era ospizio delle “putte”, giovani ragazze (perlopiù povere e orfane) che venivano avviate alla musica, col divieto, tuttavia, per tutta la vita, di cantare nei teatri, eccezion fatta che per le “figlie dell’educazione”, ragazze con i genitori, lì mandate appositamente per studiare. “Vivaldi – racconta Cognolato – lavorava all’interno della chiesa, ma, contemporaneamente, era compositore-impresario di opere al teatro San Angelo, spazio anch’esso ora sostituito da un hotel. Questo è il periodo migliore della Venezia musicale, sebbene non sia da sottovalutare la produzione precedente, seicentesca, con le opere vocali di Claudio Monteverdi, il repertorio organistico dei Gabrieli (Giovanni, sepolto alla chiesa dei Frari, e Andrea, suo zio, alla chiesa di Santo Stefano)“.

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L’ensamble Interpreti veneziani

Un tour epigrafico – una delle tante possibilità di vagabondaggio culturale – rivela tracce del passaggio di artisti come il napoletano Domenico Cimarosa, che abitò e morì nel 1801 a palazzo Duodo, o Wolfgang Amadeus Mozart, che, quindicenne, soggiornò “festevolmente” durante il Carnevale 1771, come rammenta la lapide su palazzo Molin del Cuoridoro, in sestiere San Marco. Il curioso nome rimanda ai “cuoridori”, ovvero i fabbricanti di corami dorati (un cuoio lavorato e stampato a motivi decorativi, un tempo utilizzato per rivestimenti di arredo e oggetti), che qui tenevano bottega.

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L’epigrafe che ricorda Wagner a Venezia

Affezionato frequentatore di Venezia fu Richard Wagner, che vi arrivò per la prima volta nell’agosto del 1858, mentre stava componendo Tristano e Isotta, e vi tornò altre cinque volte, l’ultima dal 16 settembre 1882 al 13 febbraio 1883, giorno della sua morte, a palazzo Vendramin. Poche settimane prima, il 24 dicembre, aveva festeggiato il quarantacinquesimo compleanno dell’amata moglie Cosima (figlia di Liszt) dedicandole la Sinfonia in do maggiore, dirigendola personalmente alla Fenice, con l’orchestra del Liceo musicale, davanti ad un ristretto pubblico di invitati; alla fine dell’esecuzione, donò alla scuola la bacchetta (quella citata sopra da Franco Rossi), il leggio e il suo basco nero.

Riprendiamo il cammino con Colognato e arriviamo all’Ottocento musicale e, di nuovo, al Teatro Fenice che ospitò alcune opere prime di Verdi, come Traviata e Attila, dramma lirico, quest’ultimo, che esalta il mito, radicato fin dal X secolo, della fondazione di Venezia ad opera di popolazioni terricole in fuga dalle orde barbariche. I più recenti studi archeologici hanno dimostrato, invece, come i flussi migratori si siano cronologicamente stratificati, non concentrati in un unico momento, e l’acqua abbia funto più da via di collegamento verso altre frontiere, che da ostacolo naturale per i nemici.

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Il Museo della musica
Si arriva al Novecento con Igor Stravinskij, morto nel 1971 a New York, che scelse di essere tumulato accanto alla tomba del suo collaboratore Djagilev nell’isola di San Michele, dove era nata l’opera centrale dell’ultimo periodo della sua attività, The Rake’s Progress (La carriera di un libertino).
Alla storia d’amore tra Venezia e la musica è dedicato anche un museo, il Museo della musica, appunto, che consta di tre collezioni: la principale, per numero di strumenti esposti, è conservata nella chiesa di San Maurizio (dove riposa, dal 1819, Gian Antonio Selva, architetto della Fenice); quella di strumenti antichi seicenteschi si ammira nella chiesa di San Giacomo di Rialto; e l’ultima, di importanti strumenti musicali delle scuole di liuteria del Novecento italiano, è raccolta nella chiesa di San Vidal, pure sede concertistica degli Interpreti veneziani, che nelle loro esecuzioni rinnovano i fasti della musica barocca di Antonio Vivaldi e i virtuosismi propri di un particolare repertorio presente alla fine dell’Ottocento e inizio Novecento, che contempla Rossini, Paganini, De Falla, Sarasate.
E mentre la musica continua a riempire le calli veneziane, un pezzo di questa storia arriva a New York, grazie al programma della Carnegie Hall.

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Alessandra Moro

Alessandra Moro

Di radici friulane, è nata a Verona sotto il segno dei Pesci; ha un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Giornalista dell’ODG Veneto, lavora nel mondo della comunicazione come autrice e consulente, con esperienza nella stampa cartacea, radio, tv e web. La scrittura come passione, prima che come mestiere.

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