Sarà capitato a molti di mettere un po’ d’ordine, un pomeriggio domenicale piovoso e freddo, tra vecchie cianfrusaglie e carabattole conservate chissà perché; nella mia soffitta, in un angolo, una grande scatola impolverata, dentro alcune centinaia di dischi di vinile, quelli che una volta si chiamavano 45 giri: una canzone di successo sul “lato” A, il “lato” B più libero, spesso un esperimento…
Tra quei cento dischi, un vecchio Scott McKenzie che canta “San Francisco”, i Beatles e Otis Redding, Wilson Pickett, qualche Frank Sinatra con la figlia Nancy (“Frankie boy & Nancy girl, “Somethin’ stupid”, più per le gambe esibite, ma in realtà fatte sognare, che per la voce); e uno inciso da Lelio Luttazzi: “El can de Trieste”. La copertina mostra un giovanissimo Luttazzi, a fianco un cagnotto che ti guarda furbetto, e un fiasco di vino a lato. Grazie a Google ne recupero il testo, bislacco e intelligente sembra una canzone di Enzo Jannacci:
“Xe tanti ani ormai / che son lontan de ti / vecia Trieste mia. / Son restá solo e / gavevo voia de, / voia de compagnia. / Alora un trevisan / me ga mandà un bel can / nato in un’ostaria. / Però quel fiol de un can, / quel fiol de un can de un can / el iera sempre triste. / No’l me fazeva mai le feste / gnanca a mi che son el suo paron. / Alora go mandà una cartolina, / una cartolina de protesta. /
Alora el mulo trevisan me ga risposto, / el me ga spiegà perchè. / Solo davanti a un fiasco de vin / quel fiol de un can fa le feste, / perchè ‘l xe un can de Trieste, / perchè ‘l xe un can de Trieste...”.
La canzone va poi avanti per alcuni minuti: la ballata di questo cane che fa le feste solo davanti a un fiasco di vino perché è di Trieste, ha imparato a bere come un facchino del porto…; cane ubriacone che dopo aver bevuto lecca il suo padrone come un matto, solo perché anche lui ha bevuto e puzza di vino, “Perchè quel fiol de un can, / quel fiol de un can, de un can, / el xe cusì beato…”.
Anche Luttazzi era triestino: il 27 aprile del 1923 il giorno di nascita, l’8 luglio del 2010 il giorno della morte; in quegli 87 anni un po’ di tutto, con grande, innata eleganza: attore, cantante, direttore d’orchestra, musicista, regista, scrittore, showman, conduttore televisivo e radiofonico…
Fino al giugno del 1970; è all’apice del successo, e la vita viene sconvolta: lo arrestano assieme all’amico Walter Chiari, l’accusa è detenzione e spaccio di stupefacenti. Tutto in seguito all’intercettazione di una telefonata in cui Luttazzi si limita a girare a uno sconosciuto (che si rivela essere uno spacciatore) un messaggio di Chiari.
Chiari fa effettivamente uso di droga; Luttazzi neppure l’odore. Però senza troppi complimenti e riguardi lo arrestano ugualmente, ventisette giorni di carcere. Impiegano un mese per prendere atto che Luttazzi è innocente, colpevole di nulla, estraneo a tutto: un clamoroso errore giudiziario. Tante scuse (si fa per dire: né “tante”, né “scuse” in verità) e arrivederci. Libero, alla fine, ma nel frattempo qualcosa “dentro” si rompe, e nulla è più come prima. Luttazzi si ritira: quello che ha patito è irrisarcibile, quello che si è incrinato è incrinato per sempre. Solo dopo molto tempo trova forza e voglia per apparire in qualche trasmissione televisiva.
Vecchia storia, sempre attuale. L’Italia da sempre è un paese dal facile crucifige: spesso colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio, si rivelano poi innocenti, estranei ai fatti loro contestati. Caro “can de Trieste”, da quel lontano 1970 ben poco è cambiato; e spesso in peggio.