L’anno era il 1959 e il ricordo è quello di una passeggiata sul fiume. Beh, forse non era proprio un fiume, probabilmente era solo un ruscello, dalle acque fresche e veloci che guizzavano verso il basso, lasciando dietro di sé un’ampia schiuma biancastra. Il luogo? Boh. Diciamo da qualche parte vicino a Castel Madama, il paese dove andavo spesso da piccolo a trascorrere qualche giorno in casa della zia Maria, durante le vacanze pasquali. Su un lato del ruscello c’erano dei grossi massi bianchi, sopra ai quali ci arrampicavamo io, la zia e la mia amica Gianna, una scatenata peste dai capelli rossi che abitava nel paese e che aveva esattamente la mia età, otto anni.
La zia portava il cestino per il picnic, ripieno di ogni ben di Dio, compresa la famosa torta Speranza al formaggio che preparava lei con le sue mani il giorno prima di Pasqua. Gianna, invece, portava il mangiadischi, quella buffa scatoletta di plastica funzionante a pile e con un’ampia fessura nella quale si infilavano i 45 giri, dischetti in vinile di circa diciotto centimetri di diametro.
“E i dischi dove stanno?”, domandai io, curioso, mentre sistemavo la canna da pesca che avevo portato con me, sperando ingenuamente di pescare enormi trote e appetitosi salmoni.
“Il disco sta già dentro”, rispose Gianna, con fare antipatico da saputella.
E già. Perché il disco a disposizione quel giorno era uno solo.
“Uno solo?”, esclamai, stupito.
“Non ti preoccupare – rispose lei – Questo basta e avanza”.
Poi accese il mangiadischi e la musica partì, diffondendo nell’ambiente finora tranquillo e silenzioso, quella strana voce che non avevo mai sentito prima.
La canzone si chiamava Nessuno, che quella scatenata cantante dallo strano nome Mina ripeteva un’infinità di volte nel corso dei pochi minuti di durata del disco. C’era una gran ritmo e veniva voglia di ballare, tanto che io e Gianna iniziammo a muoverci ritmicamente sopra a quei sassi, volteggiando da una parte all’altra, mentre la povera zia cercava inutilmente di farci smettere, per paura che cadessimo in acqua. Ascoltammo quella canzone per tutto il pomeriggio, senza mai girare il disco per ascoltare il lato B. Così, ancora oggi, non so neanche che pezzo c’era dall’altra parte.
Mina era così entrata nella mia vita e, negli anni seguenti, mi accompagnò praticamente in tutte le fasi della mia crescita, ogni anno con una nuova canzone. C’erano quelle scatenate come Tintarella di luna, Briciole di Baci, Una zebra a poise poi quelle bellissime e melodiche come Il cielo in una stanzadi Gino Paoli e la splendida e forse troppo poco conosciuta È vero,che cantò insieme a Umberto Bindi. Dalla canzone alla TV il passo fu breve. Nel 1961, infatti, approdò al celebre programma Studio Uno, insieme ai vari Don Lurio, Sandra Mondaini, le Gemelle Kessler e il Quartetto Cetra. Lo stesso programma fu poi ripetuto nel ’65, con la stessa Mina come conduttrice. La sua popolarità crebbe a dismisura e partecipò a numerose tournée ed apparizioni televisive anche all’estero.
Anche io, nel frattempo, ero un po’ cresciuto ed entrato nella difficile età dell’adolescenza, quella delle prime feste e dei balli della cosiddetta mattonella. Anche qui le canzoni di Mina mi seguivano letteralmente passo passo. Quante ragazzine, infatti, ho cercato di conquistare con la splendida Città vuota, quante buche ho preso danzando al ritmo di E se domanie quante volte ho pregato qualcuna di uscire con me sussurrando le strofe di Ora o mai più?
Forse il primo bacio è arrivato con Se tu non fossi qui, se ricordo bene, anche se la ragazza in questione, dopo quel primo, non ne concesse più altri. Eccomi quindi a infilare ripetuti gettoni nel telefono di un bar per cercare di chiamarla, ricordando un po’ il testo di Se telefonando.
Nelle serate tra amici venivano proposti i suoi brani più divertenti come ad esempio La Banda oppure Brava, qualche ragazza, con velleità canore, cercava inutilmente di copiare l’originale, cantando anche lei. Ma era impossibile copiare Mina. Nessuno riusciva a salire in alto con le sue tonalità e districarsi su e giù tra le parole e le note, come faceva lei.
Ricordo tutti i suoi celebri duetti. Quello con Lucio Battisti, ad esempio, nel programma televisivo Teatro 10. Con Giorgio Gaber, in Senza Rete. Ricordo la sua collaborazione con Mogol e lo stesso Battisti e i brani scritti da loro che lei portò al successo come Insieme, Io e te da soli,Amor mio.
Quando mi innamorai davvero, per la prima volta, mettevo in sottofondo, nella mia stanzetta, il suo Vorrei che fosse amore, anche se tenevo la cosa segreta, solo per me, visto che eravamo già nell’epoca dei gruppi rock e Mina rappresentava in quel periodo qualcosa di un po’ superato.
Ma era un errore. Mina non era affatto superata, come non sono mai i grandi interpreti. Infatti, pur decidendo nel ’78 di ritirarsi dalle scene, trasferendosi a vivere definitivamente in Svizzera, ha sempre continuato a mandarci splendide canzoni e a continuare con i suoi duetti ormai storici.
Da Riccardo Cocciante (Questione di feeling) a Fausto Leali (Via di qua), da Massimo Lopez (Volami nel cuore)a Andrea Mingardi (Vai, vai e vai), dagli Afterhours (Adesso è facile) ai suoi figli Massimiliano e Benedetta (If I fell), a Tiziano Ferro (Un anno de amor), a Javier Zanetti (Parole, parole), a Giorgia (Poche parole) a Ornella Vanoni (Amiche mai). E poi lo splendido disco Mina-Celentanoinsieme al suo grande amico e collega Adriano e l’album L’allievainteramente dedicato al suo mito Frank Sinatra.
Beh, che cosa dire di più? Forse c’è da dire che la mia vecchia amica Gianna dai capelli rossi, compagna di passeggiate in riva al ruscello, non aveva così ragione a dire che bastava una sola canzone, perché io le canzoni di Mina me le sentirei tutte, dalla prima all’ultima. Però, in fondo, aveva anche un po’ ragione, perché quell’unica canzone di quel giorno lontano portava un titolo sincero e vero: Nessuno.E nessuno, infatti, potrà eseguire quei pezzi come lei, mai nessuno nella vita: certezza assoluta.