Giuseppe Mango è morto cantando Oro. C'è scritto ovunque, lo dicono tutti. Quasi come facesse la differenza, quasi come in quel brano ci fosse stato un presagio, una maledizione, quasi come non sarebbe successo uguale anche sulle note di Lei verrà. Così a stento ci ricordiamo in che parte d'Italia si sia tenuto il concerto, ma questo dettaglio della canzone invece si è già cementificato nelle nostre memorie.
Con la notizia della morte di Mango muore anche una delle sue canzoni più belle. Che ora non potremo più ascoltare senza associarla al momento della fine. Già colonna sonora della pubblicità del riso Scotti, ora si porterà addosso un soprabito di lutto, un alito nero, l'immagine di un artista che si accascia sul piano. Io questo dettaglio non così funzionale all'annuncio, non l'avrei scritto. Almeno non fino allo sfinimento, nei titoli, nei video, di continuo. E' accanimento. E' come raccontare i dettagli macabri di un incidente o gli aspetti minori di una vicenda: fanno colore, restano nell'immaginario. Ma che colore puoi fare su una morte, per di più già tanto infarcita dalla popolarità, dal momento pubblico? Se l'ineluttabile della vita ci porta via il cantante, almeno non rapiteci le sue canzoni, non sporcatele di immagini che non servono. Oro non aveva colpe e spero qualche musicista la ricanti presto in fretta, senza paura di profanare un brano che ora rischia di assomigliare ad un cimitero, ad un mausoleo, quando invece non è che il tempio di chi la musica l'ha fatta col cuore.
Giuseppe Mango è morto sul palco, non dimentichiamolo, e se continuare a ripetere il titolo di quella canzone fa un colore che non serve, mostrare il video ripreso da un fan dal pubblico che descrive con immagini e suoni il malore non è colore, è cronaca. Non sono d'accordo con chi dice che si è varcata la soglia del rispetto, piuttosto si è mostrato fino a dove può arrivare il rispetto, fino a farti andare avanti lo stesso, anche se senti che c'è qualcosa che non va. Ma “the show must go on” e Mango suona e canta. E mi fa una grande tenerezza pensare al senso di dovere che deve avere avuto in quei momenti, stringe i denti, lo deve al suo pubblico. Poi il disorientamento prende il sopravvento, ma ancora Mango non demorde, non si alza fuggendo di fronte alla platea. Resta in scena, fino all'ultimo minuto e pronuncia quello “Scusate” che resterà anch'esso nelle nostre memorie. Che cosa può togliere una parola all'immagine dell'artista che avevamo in testa, alle sue canzoni, alla sua carriera? Nulla. Quello “Scusate” non può che aggiungere. Da sempre nella musica tanto è concesso: arrivare ubriachi sul palco, far saltare le performance, suonare un'ora e non concedere alcun bis, prenderla alla leggera, facendo vincere il vip sull'artista. Mango era un artigiano della musica, un raffinato ricercatore vocale che ha percorso virtuosismi ante litteram dai timbri soul e world music quando questi due generi erano ancora soltanto di nicchia. Mango era rispettoso, nei confronti della sua arte, del suo lavoro, e nei confronti del pubblico.
Si è detto che pubblicare quel video è stata una mancanza di rispetto nei confronti dei familiari. Allora ci ho pensato: anche mio padre spesso canta e Mango gli piace pure. Se dovesse succedere a lui di morire in quel modo, su un palco, sotto i riflettori, sotto le onnipresenti videocamere degli smartphone e se dovesse succedere a me come figlia? Sarei stata orgogliosa di vedere la sua pulizia artistica e devozione fino all'ultimo, sarei stata orgogliosa che l'avessero vista tutti. Ma non avrei voluto vedere il video fino in fondo: i commenti inappropriati di chi filma, il corpo che resta fermo e immobile, quelli mi sarebbero parsi un contorno ridondante e voyeuristico e sì, per quelli avrei anche potuto arrabbiarmi. Fossi stata dalla parte di chi ha scelto di mandare in onda il video mi sarei allineata con l'umanità dell'uomo Mango senza martellare sul dramma, che non serve, che tanto la morte è già morte. Avrei bloccato il video dopo quello “Scusate”, avrei tenuto la parte del documento senza la morbosità.
Se tutta la vita è un palcoscenico, va detto che sul palcoscenico ognuno porta tutto il suo fardello di vita e lo fa ben consapevole, scegliendo di esporsi, mettendosi uno di fronte a tutti, lasciandosi guardare anche nell'anima, nelle espressioni. Allo spettatore non sfugge nulla, per questo si dice che sul palco si è nudi. Ma purtroppo se tutta la vita è un palcoscenico e sul palcoscenico ognuno porta tutto il suo fardello di vita, va detto che anche la morte fa parte della vita.
https://youtube.com/watch?v=AFGXfWDxlro