James Bursnt, americano di New York, stava per compiere sessantadue anni, essendo nato il 27 giugno del 1951. Aveva deciso da tempo di trascorrere il giorno del suo compleanno a Roma, insieme alla sua dolce mogliettina Patty, sposata ben 33 anni prima.
“Perché proprio a Roma?”, gli domandò il receptionist dell’Hotel Modigliani.
“Perché mi trovavo qui lo stesso giorno di tanti anni fa, nel 1965. Mio padre lavorava all’ambasciata americana e io ho vissuto qui per tre anni”, rispose James, mescolando qualche parola italiana al suo veloce slang newyorchese.
“Lei era davvero qui quel giorno?”, gli domandò allora il proprietario dell’hotel.
“Si, e mio padre mi accompagnò al Teatro Adriano a vedere i Beatles, nel loro primo concerto romano”, disse James.
“Be’, a quel concerto dei Beatles, c’ero anch’io”, affermò tutto fiero il proprietario.
Nacque così un’ immediata amicizia tra i due che si misero a chiacchierare fitti fitti per tutta la mattinata.
L’italiano raccontò di essere all’epoca iscritto al Beatles Fan Club e che tutti gli anni, prima di Natale, arrivava da Londra un regalo speciale che consisteva in un piccolo disco di cartone con gli auguri cantati al pianoforte dai quattro musicisti di Liverpool, in esclusiva per gli iscritti al Club.
“Quei dischi oggi varrebbero una fortuna. Se mia madre non me li avesse buttati tutti nel secchio un giorno che aveva deciso di fare le grandi pulizie”.
“La stessa cosa ha fatto la mia di madre”, confessò tristemente anche mr. Burnst. “Mi ha buttato tutti i 45 giri. Per fortuna che sono riuscito a salvare i Long Playing. Ma il Teatro Adriano, il luogo dove è avvenuto quello storico concerto, c’è ancora?”
Detto fatto. L’italiano fece subito montare a bordo della propria auto James e sua moglie e li condusse in piazza Cavour, davanti al Teatro Adriano, e iniziò a raccontare il suo 27 giugno 1965.
“Io e mia cugina Rossella avevamo comprato i biglietti quattro mesi prima, a prezzo scontato, sul settimanale Big. Li pagammo duemila lire, se ricordo bene. Quel giorno costringemmo mia madre a portarci qui due ore prima, nella speranza di vedere i quattro arrivare da qualche porta di servizio, per entrare in teatro. Infatti li vedemmo. Ma fu un attimo. Arrivarono con un taxi, anzi con due taxi e sgusciarono via velocemente all’interno, inseguiti da un mare di ragazzine scatenate”.
“Si, lo so. Una di queste ragazzine era mia sorella”, proseguì James. “Lei è più grande di me di tre anni e mi trascinava dietro tirandomi per un braccio. Io mi vergognavo un po’, da maschio, ad inseguire quattro ragazzi come me. Io ero lì per la loro musica”.
“Anche io”, proseguì il romano. “Infatti un paio d’anni dopo iniziai a suonare la chitarra e con tre amici mettemmo su un gruppo, ci chiamavamo The Mellows. Facevamo abbastanza schifo, a dire la verità, però ci divertivamo da matti. Passavamo interi pomeriggi a provare le canzoni che avremmo suonato il sabato successivo, in qualche festa di compleanno”.
“Stessa cosa per me”, aggiunse James. “Il nostro gruppo, invece, si chiamava Falling Stars e facevamo così pena che i vicini avevano creato un comitato contro i nostri accordi improbabili e le terribili stonature, oltre che per il frastuono delle chitarre elettriche. Ci esibivamo nella cantina sotto casa. Ricordo ancora il giro degli accordi di And I love her…Iniziava in La minore, se non sbaglio…”
“Ricordi male, infatti. And I love her era in Re minore…”, disse l’italiano tutto sicuro del fatto suo.
“La minore…”, confermò l’americano.
“Re minore….”
A questo punto della schermaglia la signora Patty, infastidita da tutti quei tristi e polverosi ricordi nonché dalle improvvisate schermaglie musicali iniziò a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo.
“Alt! Stop! Peace! Adesso basta con i Beatles. Con tutta questa nostalgia mi avete fatto venire fame. Dove si può trovare una bella pastasciutta pomodoro e basilico da queste parti?”
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