La lingua italiana resta molto bella ma ultimamente si legge parecchio sulle problematiche che l’italiano affronta nelle scuole in Italia con le giovani generazioni e all’estero con le famiglie italo americane. Per capire meglio i problemi della lingua italiana abbiamo intervistato Claudio Marazzini, professore ordinario di storia della lingua italiana e linguistica italiana nella Facoltà di Lettere dell’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” (Vercelli). Marazzini Linguista e saggista, e membro della “Società Italiana di Glottologia”, Marazzini dal 2014 è il Presidente dell’Accademia della Crusca.
Marazzini, dal 1990, scrive la rubrica di lingua “Parlare e scrivere” sul settimanale Famiglia Cristiana. Dal 2010 è socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino per la classe di scienze morali, storiche e filologiche. Dal 2012 fa parte del Consiglio direttivo dell’Accademia e dirige la rivista “Lingua e stile“, pubblicata dal Mulino di Bologna. Il Professore Marazzini è esperto di storia della lingua italiana, dalle teorie linguistiche sviluppate in Italia e in Europa, alla questione della lingua, alla storia della lessicografia. Autore di numerosi saggi, articoli e volumi su temi relativi alla storia linguistica regionale, ai rapporti lingua-dialetto, al linguaggio letterario, alla cultura popolare orale, alla storia della linguistica, alla lingua della scienza, di edizioni critiche, ai temi di storia della lingua italiana, del linguaggio letterario, della storia della grammatica e della lessicografia, della storia dell’insegnamento, alla politica della lingua. In questa intervista il presidente dell’Accademia della Crusca ci parla anche del suo ultimo libro L’italiano è meraviglioso. Come è perché dobbiamo salvare la nostra lingua. (Mondadori, 2018).
Professore Marazzini, come presidente dell’Accademia della Crusca combatte ogni giorno per difendere la lingua italiana. Quali sono le maggiori problematiche che affronta oggi l’italiano?
“Nel mio libro L’italiano è meraviglioso, uscito nel 2018 presso Rizzoli, ho descritto molte di queste problematiche. In sostanza, si tratta di una disaffezione da parte di alcuni settori delle classi dirigenti, industriali e politiche, che si traduce in scelte dannose per i destini dell’italiano. Citerò un episodio, raccontato nel mio libro alle pp. 227-30. Si tratta di quanto è accaduto al World Economic Forum internazionale di Davos nel gennaio 2018, quando capi di stato e di governo come Macron e la cancelliera Merkel hanno usato la loro lingua nazionale (più o meno esclusivamente o intensamente, ma comunque l’hanno usata), mentre il Presidente del consiglio italiano Paolo Gentiloni ha cassato in toto la nostra lingua, che pure in Svizzera (sede del Forum) è lingua ufficiale e nazionale, con tutti i diritti: nel suo intervento non ha detto una parola che non fosse in inglese. Se i politici italiani mostrano di non aver fiducia nell’italiano, rivelando di ritenere che non sia un idioma proponibile all’estero, perché altri dovrebbero essere portati a considerare questa lingua come importante? Posso rinviare a un “Tema del mese” (del medesimo ottobre 2018, rintracciabile nel sito della Crusca, sotto il titolo Segnali di ottimismo linguistico), in cui si dà atto all’attuale Presidente del consiglio Giuseppe Conte di aver fatto risuonare l’italiano alla Casa Bianca, il 30 luglio, durante la visita al Presidente degli Stati Uniti: a mio giudizio, si è trattato di un segnale positivo”.
Nel suo ultimo libro “L’Italiano è meraviglioso” afferma che dobbiamo salvare la lingua italiana. In che modo possiamo prenderci cura di questo nostro patrimonio linguistico e culturale?
“A livello mondiale, l’italiano si presenta prima di tutto come una lingua di grande tradizione culturale, legata all’arte, alla musica, al turismo, alla letteratura, lo sappiamo bene. Ovviamente, questa è una posizione prestigiosa, ma “di nicchia”, per usare una metafora del linguaggio commerciale, per di più inficiata dal rischio che i modelli culturali dominanti, tutti provenienti dal mondo anglosassone, spingano a una sottovalutazione dei valori culturali della tradizione italiana, una sottovalutazione che cresce proprio tra gli italiani, in particolare quelli più giovani. È come se una mutazione antropologica impedisse via via di vedere il bello delle nostre città medievali, perché la verticalità vi si esprime in modo diverso rispetto ai grattaceli di vetro e ferro delle nuove urbanizzazioni. Meno male che ci sono tanti americani che vengono in visita in Italia, e sembrano pensarla diversamente. Analoga crisi si può manifestare nella valutazione collettiva del patrimonio linguistico nazionale, che del resto non comprende solo la lingua letteraria e standard. Già lo si vede in molti scrittori ‘italiani’, che scrivono un italiano impoverito, con lessico elementare e sintassi limitata, e non sono affatto propensi a misurarsi con una tradizione letteraria nazionale, che del resto conoscono poco o niente. Un abisso li separa dalla generazione degli ultimi grandi autori come Montale o Zanzotto, per intenderci. Per difendere la lingua, occorre sviluppare la cultura”.
Dati forniti dal Censimento USA affermano che nelle case degli italoamericani l’italiano è una lingua in estinzione. Ci sono forse dati in Italia che confermano o contraddicono quelli riportati negli USA?
“Ovviamente gli italiani continuano a parlare italiano, nonostante ciò che prima si diceva a proposito della crisi della classe dirigente e dell’ignoranza diffusa in larghi strati della popolazione. Mi dispiace se tra gli italo – americani le cose vanno così male. So tuttavia che ci sono tanti giovani italiani che lavorano in America, anche nel campo della ricerca, e danno un’immagine diversa rispetto al passato, quando esportavamo manodopera generica, non laureati e addottorati. Ci sono comunque segnali positivi, per l’italiano fuori d’Italia, almeno in certi contesti specifici. Per esempio, la Svizzera sta vivendo un momento di rilancio dell’italiano, lingua ufficiale confederale; l’italiano ora risuona nel Parlamento di Berna, grazie alla nuova presidente del Consiglio nazionale, la ticinese Marina Carobbio Guscetti. Molte speranze sono legate al Consigliere federale Ignazio Cassis, la cui ascesa è stata salutata da grande consenso. Posso inoltre citare l’esito positivo del referendum nei Grigioni, una consultazione popolare che, se avesse avuto un esito diverso, avrebbe potuto far sparire l’italiano dalle scuole elementari di quel cantone. Non è stato così, e l’italiano è stato difeso dai votanti, come del resto aveva suggerito il Parlamento cantonale. Passiamo a un altro Stato, seppur molto particolare: il Vaticano. Si qualifica come il motore propulsivo maggiore per l’internazionalità dell’italiano; per capirlo basta leggere il “Tema del mese” di ottobre-dicembre 2018 nel sito della Crusca: abbiamo offerto (eccezionalmente) lo spazio della nostra rubrica più prestigiosa a un non-accademico, cioè a Monsignor Paolo Rizzi, Officiale della Segreteria di Stato. Il suo intervento è illuminante per farci capire l’importanza dell’italiano (e di quale tipo) nella Curia pontificia di oggi. Nessun vaticanista, di qualunque parte del mondo, può fare a meno della lingua italiana, che è usata dai papi, anche se non sono italiani di nascita. Roma è frequentata da prelati di tutto il mondo, e tutti vengono a contatto con l’italiano, anche se è la lingua di una nazione non molto grande, che ha solo una sessantina di milioni di abitanti”.

Negli anni cinquanta la RAI ha aiutato molto ad unificare la lingua tra gli italiani. Potrebbe anche oggi la televisione essere uno strumento per aiutare gli italoamericani a parlare l’italiano nelle loro case?
“Di fatto credo che lo sia. La televisione è uno strumento che esercita una forte influenza. Si tratta di vedere quale televisione riesce ad arrivare così lontano dall’Italia. Forse si tratta di trasmissioni satellitari? Confesso di non conoscere bene questi canali. Purtroppo accade che siano gli italiani ad acquistare molta Tv spazzatura dall’America, e spesso, quando non acquistano, imitano in maniera vergognosa…”
Che consigli può darci per diffondere in maniera più efficace l’italiano nelle scuole americane e nelle comunità italoamericane?
“Credo che sia importante il contatto continuo con il nostro Ministero degli esteri. La Crusca ha partecipato a tutte le iniziative del Ministero degli esteri per la valorizzazione della lingua italiana. Nacque dalla Crusca, al tempo del presidente Sabatini, l’idea della “Settimana della lingua italiana nel mondo”, che poi si è variamente collegata agli “Stati generali della lingua italiana”, promossi a partire dal 2014 dal sottosegretario e poi viceministro Mario Giro. L’esperienza è proseguita con il nuovo governo ora in carica: l’ultima edizione, nel 2018, si è svolta nella bella cornice di Villa Madama a Roma, sede di rappresentanza per gli eventi più prestigiosi del Ministero degli esteri. La nota classifica da cui risulta che l’italiano è la “quarta lingua più studiata” è stata ovviamente riproposta anche in quella sede. Sono anni, ormai, che si fa riferimento a quella statistica. Sono dati che vengono continuamente messi in mostra. Qualche volta vengono intesi bene, qualche volta vengono fraintesi o interpretati in maniera troppo trionfalistica, ma sono comunque dati interessanti, degni di essere conosciuti”.

Professore, lei ha dichiarato: “Se procediamo di questo passo nel 2300 l’italiano sarà sparito. Al suo posto si parlerà solo l’inglese”. Ne è veramente convinto? Perché?
“La frase è più che altro una provocazione. Si riferisce all’eccesso di esterofilia degli italiani, allo loro smania di introdurre novità esotiche senza la minima riflessione e senza autocontrollo. Si riferisce alla loro identità debole, indebolita ulteriormente da provincialismo e localismo. In realtà nessuno può azzardare in maniera seria profezie su di un futuro così lontano, e non so se la lingua egemonica sarà ancora l’inglese, o il cinese, o che altro. Non so se la tecnologia, con i traduttori automatici, nel 2300 avrà risolto il problema della comunicazione linguistica tra popoli. Potrebbe anche accadere una cosa del genere, che cambierebbe il quadro di riferimento”.
Cosa potrebbe significare per l’economia italiana perdere questo meraviglioso patrimonio della lingua italiana?
“Potrebbe significare che non si esista più come nazione. Ciò vorrebbe dire non poter contare sulla nostra identità culturale, e dunque non avere alcuna forza per far riconoscere se stessi e i propri prodotti. Anche gli industriali ne pagherebbero il prezzo, dopo avere collaborato spesso al danneggiamento dell’italiano. Una lingua non è solo uno strumento: è un modo di esistere, di tramandare il proprio retaggio di civiltà. E l’Italia qualche cosa ha pur saputo creare, nel corso dei secoli”.