Presso la Montclair State University, all’interno del calendario di eventi dell’Inserra Chair in Italian and Italian American Studies, il 15 marzo è avvenuto un importante evento che analizza gli studi pedagogici e intitolato The Reggio Emilia Approach: A Panel on the U.S. School System’s Responses to an Italian Educational Philosophy. Vi hanno partecipato un bel numero di docenti, insegnanti, tirocinanti, studenti e genitori per dialogare con altri esperti su questo metodo pedagogico reggiano e la sua realizzazione attualmente in corso nel New Jersey. La guest speaker e sostenitrice attiva di questa filosofia educativa, Lella Gandini, ha fatto un excursus storico condividendo vari esemplari documentati di questo metodo, fondato a Reggio Emilia nel 1945 dal genio visionario Loris Malaguzzi, che dopo la Liberazione decise di costruire e gestire una scuola per bambini.
Il bambino ha cento lingue ma gliene rubano novantanove
“I bambini hanno un patrimonio di potenzialità e un gran desiderio d’esplorare, costruire e apprendere — ci dice la Gandini — se non ce l’hai nelle mani o nel cuore allora non ce l’hai nemmeno in mente”. Le infinite potenzialità dei bambini si leggono nella poesia “Invece il cento c’è” di Malaguzzi.
Il bambino
è fatto di cento.
Il bambino ha
cento lingue
cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire
cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.
Modelli educativi attuali dall’asilo all’università pretendono invece dallo studente “di scoprire il mondo che già c’è”, ponendo limiti allo sviluppo intellettivo ad un unico modo d’apprendimento, riducendosi al cosiddetto ‘seat time’ (cioè il tempo-scuola “obbligatorio”, le ore che constano un corso, un diploma, una laurea) o ad un percorso pedagogico rigido e inflessibile. L’approccio reggiano diversamente sviluppa le competenze attraverso la sperimentazione e le scoperte in un ambiente che potenzia e sostiene gli interessi dei bambini e gli da’ voce nel processo educativo tramite osservazione, documentazione e sostegno degli insegnanti. Sono i bambini che privilegiano l’apprendimento attivo.
Niente senza gioia
Eppure in America l’apprendimento è gravato da test standardizzati, percorsi di studio prescritti, questioni d’accessibilità e gravi lacune amministrative. Dato la realtà del sistema educativo statunitense, il metodo reggiano offre un’alternativa realizzabile? Sembra proprio di sì. Questa filosofia educativa si è raggiunta in scuole e organizzazioni di ventuno stati americani, con ben sette scuole nel New Jersey. Alcuni rappresentanti della scuola A Child’s Place (di Lincroft, NJ) hanno contributo al panel offrendo tre ottiche diverse del metodo reggiano.
Il mondo della scuola consiste di una collaborazione in cui c’è la compartecipazione di genitori e comunità, insegnanti (che fanno anche da ricercatori che documentano dei processi educativi), ambiente (come interlocutore educativo che stimola curiosità e promuove meraviglia), e in fine i bambini stessi. “L’atmosfera informale, dare del tu all’insegnante, per esempio, aiuta a stabilire un rapporto di fiducia – dice Debbie Piescor, Master Teacher – questo ambiente sicuro permette al bambino di assumere rischi cognitivi, cooperare e risolvere problemi con coetanei e seguire un percorso collaborativo di apprendimento e formazione”.
Il curriculum è emergente: privilegia i temi dell’apprendere attivo, costruttivo e creativo del bambino, integrando tutti gli aspetti di apprendimento scolastico mentre stimola creatività e approfondimenti con gioia. “Il programma di studio è co-costruito da insegnanti, studenti e famiglie ed è particolare all’anno scolastico. I vari campi del sapere – spiega la direttrice Kathleen Berkowitz – si dedicano allo sviluppo intellettuale, accademico, fisico e emotivo dei bambini”.
Negli ultimi quarant’anni, A Child’s Place rappresenta la sostenibilità di un tal approccio negli USA.
Oltre i sette anni

Per capire meglio questo metodo nel quadro educativo, abbiamo posto delle domande a Gina Miele, genitore attiva alla scuola A Child’s Place e professoressa alla Montclair State University.
C’è un ruolo nell’educazione secondaria e universitaria per il metodo Reggio Emilia?
“La premessa della filosofia reggiana si concentra sulla validità del bambino come collaboratore con diritti nel processo educativo. L’uso a livello universitario significa lavorare su progetti e sperimentare in modo che sì permettano l’insegnamento ed apprendimento a tutti i livelli di un corso di studio, che si inizia con una base generale ma risponde all’interesse dello studente durante l’investigazione del progetto”.
Potrebbe elaborare questo concetto?
“In un certo senso io ed i miei studenti co-costruiamo l’informazione, il sapere, l’esperienza e troviamo modi diversi per rendere per esempio, la letteratura medioevale rilevante non solo per capire il mondo moderno ma anche per renderla affine alla loro vita personale. Gli permetto di accedere a tutte le modalità a loro disponibili, come la musica, l’arte, il movimento, i film… essenzialmente i cento linguaggi”.
Quali sono stati i risultati?
“Ho notato uno sviluppo cognitivo più ricco, di un pensiero più critico ed espressivo anche nei corsi base di lingua italiana e nei corsi di livello superiore quando aggiungo il metodo Reggio Emilia nel mio insegnamento”.
Recentemente gli obiettivi che sono stati introdotti nel curriculum a livello di college ed universitario sono quelli del portare uno studente nel mondo del lavoro e rendere l’insegnamento un percorso di vita (cioè che non si ferma con la fine degli studi formali). Cosa offre in realtà questa metodo?
“Senza dubbio l’approccio reggiano ha molto da offrire anche agli studi di livelli superiore. Permette lo sviluppo della potenzialità di uno studente ma anche le capacità e l’umanità. Sono sempre più convinta che ci sia bisogno di una rivoluzione nel sistema educativo –a tutti i livelli – e che i modelli progressivi europei come quelli di Reggio Emilia e Montessori, provenienti dall’Italia e Waldorf dalla Germania, possono essere il cuore della rivoluzione”.
Enza Antenos è professoressa d’italiano alla Montclair State University a Montclair, NJ e si occupa di glottodidattica, tecnologia e la formazione di docenti nel NJ.