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July 5, 2023
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July 5, 2023
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Jonathan Franzen e la nostalgia di New York

Scrittura, sacrifici, critiche e talento della penna dell'Illinois

Michele CrescenzobyMichele Crescenzo
Jonathan Franzen e la nostalgia di New York

Jonathan Franzen (illustrazione di Pia Taccone)

Time: 10 mins read

Oggi, Westside di Santa Cruz. Jonathan Franzen esce dal suo studio “sensory deprivation chamber,” una camera svuotata non solo di internet e cellulari, ma anche di quadri, piante e finestre. “Ho le veneziane sempre chiuse.” ha dichiarato su GoodTimes “Posso intravedere degli alberi di sequoia là fuori. Ma non riesco a vederli abbastanza bene da rischiare di essere distratto da un uccello o qualcos’altro”

Si guarda intorno, la sua compagna Kathy Chetkovich non è ancora tornata. Nota qualcosa spuntare sotto la porta di casa, sarà la solita pubblicità. Quando si china per raccoglierla nota un opuscolo con la cartina di New York. È una brochure immobiliare. Si tira su gli occhiali e la osserva bene. Ha la parola “nostalgia” scritta a grandi caratteri proprio in testata, come se fosse normale che la California sia un ritrovo tra ex- newyorkesi. Lui però non ne ha alcuna di nostalgia, la sua storia con quella città è finita. Vive sulla contea di Santa Cruz da due decenni ormai, da quando lui e Kathy Chetkovich videro per la prima volta a Boulder Creek. Ha vissuto a fasi alterne per anni, ma nel 2018 ha venduto il suo appartamento nella grande mela, facendo di Santa Cruz il suo unico indirizzo di casa.

Jonathan Franzen (Wikimedia Commons)

“La mia preoccupazione era che non avrei mai scritto nulla qui, perché pensavo si vivesse troppo bene” disse “Quando vivi nell’Est e sei cresciuto nel Midwest, la California è vino rosso, colline dorate, vasche idromassaggio, sequoie. Sembra che il tuo cervello stia pronto per marcire.”  Franzen, scoprì presto che, almeno a Santa Cruz, la fantasia dell’estate senza fine dei Beach Boys lasciava il posto a estati grigie e mattine soffocate dalla nebbia. Dell’estate del 2018, ha dichiarato con soddisfazione, “È stata la migliore estate degli ultimi dieci anni per la nebbia mattutina e le basse temperature. Adoro il clima e ci sono molte più relazioni tra gli scrittori qui che a New York. Lì tutto è verticale. Hai il tuo agente, il tuo editore ed è generalmente con chi hai a che fare. Avevo i miei amici a Brooklyn, certamente ma l’idea di comunità è presa molto più sul serio in California”.

Franzen raccoglie l’opuscolo insieme ad altri volantini pubblicitari, si indirizza verso la cucina ma proprio mentre sta per buttare ci ripensa e riprende la brochure immobiliare.

Ricorda nitidamente cosa significasse New York quando aveva vent’anni, qualche anno fa – nel 2017 – ne ha perfino scritto sul The New Yorker:  La mia ragazza, V, e io stavamo finendo il college e New York ha fatto colpo. V. è andata in città e ha firmato un contratto di locazione di tre mesi per l’appartamento di uno studente della Columbia, Bobby Atkins, che potrebbe essere stato il figlio del creatore della dieta Atkins, o forse ci siamo divertiti solo a immaginare che lo fosse. La sua casa, all’angolo sud-ovest tra la 110th Street e Amsterdam, aveva due camerette ed era irrimediabilmente sudicia. Siamo arrivati a giugno con un quinto di Tanqueray, una stecca di Marlboro Lights e il ricettario italiano di Marcella Hazan.

Appena laureato alla Swarthmore si era innamorato di Valerie Cornell in un raduno della rivista letteraria del campus. Lei lo ha conquistato con un’interpretazione brillante di una poesia e un anno dopo, nel 1982 decisero di sposarsi e dedicarsi alla scrittura in modo serio e disciplinato, fino ad autoinflirsi drastiche privazioni sociali. Dal 1980 al 1985, Franzen e sua moglie hanno condiviso un angusto alloggio a Somerville, in cui, separati da soli venti piedi, hanno scritto otto ore al giorno e poi, dopo la cena, leggevano per altre cinque ore. Franzen lavorava solo nel fine settimana, monitorava i terremoti per il dipartimento di geologia di Harvard. Lui e Valerie cenavano fuori esattamente una volta all’anno: il giorno del loro anniversario di matrimonio. Avevano pochi amici, i più preziosi sono stati lo scrittore di racconti David Means e sua moglie, Genève. (The corrections è dedicato a loro.) David Foster Wallace, che ha incontrato la coppia in questo periodo, ha dichiarato che vivevano con “facce premute contro l’interno della campana di vetro”. A quel tempo, Franzen replicò con una risata, “non so cosa intendesse” ma Valerie fu più precisa: “Ha detto che se un assistente sociale ci avesse trovato, saremmo stati arrestati per auto-abuso”. A differenza di altri romanzieri, Franzen non va in giro in cerca di materiale. Le sue lotte si svolgono principalmente nella solitudine del suo studio. Quando gli viene chiesto come sia stato in grado di scrivere in modo convincente sul Parkinson o sulle strade di Vilnius, alza le spalle. ”Non sono mai stato in Lituania”, dice. ”E il fratello del mio agente è un neurologo; siamo andati a cena.”

Jonathan Franzen (Wikimedia Commons)

Negli anni Novanta, Franzen trascorse un periodo molto negativo: il suo matrimonio si stava sgretolando, suo padre stava morendo di Alzheimer e, sebbene avesse pubblicato due romanzi, era al verde e sostanzialmente sconosciuto. Il suo primo libro, “The Twenty-Seventh City” (La ventisettesima città, traduzione di Ranieri Carano, Einaudi) era un intricato thriller sull’urbanistica ambientato a St. Louis. Franzen dichiarò che rimase molto seccato che il New York Times Book Review lo aveva recensito nella sezione Crime/Mystery.

Dopo la pubblicazione, lui e Cornell lasciarono Somerville e andarono in Spagna, Filadelfia, Colorado Springs, Chicago, Boston e Italia. Il continuo trasferimento, disse in un’intervista al New York Times faceva parte di un futile tentativo di salvare il matrimonio: “Continuavamo a cercare di risolvere geograficamente i problemi non geografici”. Quando si separarono nel 1994, Franzen aveva pubblicato il secondo romanzo ”Strong Motion” (Forte movimento, traduzione di Silvia Pareschi, Einaudi). Il libro è stato considerato una critica ecologica al modello di vita della società contemporanea, soprattutto di quella statunitense. Vendette meno del primo.

Alla fine del 1996, Franzen si trasferì in un modesto terzo piano senza ascensore nell’Upper East Side di Manhattan. Scrisse il saggio ”Perchance to Dream: In an Age of Images, a Reason to Write Novels” sulle pagine di Harper’s che diventò una specie di suo manifesto letterario. Secondo l’autore americano, la TV aveva reso superfluo il grande romanzo della coscienza sociale, e i seri romanzieri postmoderni come Thomas Pynchon e Don DeLillo stavano rapidamente diventando irrilevanti. Per scrivere un romanzo che contasse nel ventunesimo secolo un romanziere dovrebbe “collegare il personale e il sociale” radicando la critica in personaggi psicologicamente avvincenti. Bisogna concentrarsi sui personaggi quindi molto più della trama o dello stile.

Seguendo questa nuova teoria, nel 2002, pubblica The Corrections (Le correzioni trad. S. Pareschi, Torino, Einaudi) un romanzo concentrato sui membri di un’unica famiglia: c’è Enid Lambert, l’ossessiva moglie del Midwest, fissata sull’imminente Natale in famiglia; c’è Al, il suo esasperante marito, che combatte la demenza indotta dal Parkinson. Poi ci sono i tre bambini sparsi lungo la costa orientale: Gary, un banchiere di periferia infelice; Chip, un burbero sceneggiatore fallito; Denise, una cuoca gourmet sessualmente confusa.

The Corrections ha ottenuto un notevole successo di critica negli Stati Uniti, vincendo sia il National Book Award for Fiction nel 2001 che il James Tait Black Memorial Prize nel 2002 per la narrativa. The Guardian lo ha definito “una meravigliosa casa dell’era digitale”. Sul New York Times, Michiko Kakutani l’ha definito “di volta in volta divertente e corrosivo, portentoso e commovente”.

Franzen stringe la brochure e si siede sul divano. In questo momento non ricorda il successo di quel libro ma solo cosa gli è costato scriverlo. Certi giorni lavorava al buio. Lo ha fatto in uno studio spartano sulla 125th Street a East Harlem, dietro pareti insonorizzate e una finestra con doppi vetri. Le luci erano spente. Franzen, curvo sulla sua tastiera su una sedia girevole tenuta insieme da nastro adesivo, indossava tappi per le orecchie, paraorecchie e una benda. “Puoi sempre trovare i tasti di ‘casa’ sul tuo computer”, disse poi al New York Times in un sussurro imbarazzato, spiegando come è riuscito a digitare sotto tali vincoli. ”Hanno delle piccole protuberanze in rilievo.” Per Franzen, questo è il prezzo dell’immaginazione, il mezzo arduo con cui evoca un mondo immaginario e lo riproduce sulla pagina. “È molto, molto difficile concentrarsi”, dice. ”Devi mantenere la tua mente libera da tutti i cliché.”

I giorni trascorsi avvolti in una benda erano già abbastanza brutti. La maggior parte, tuttavia, era anche peggio. Ci sono stati giorni che sono semplicemente svaniti, centinaia di ore perse a giocherellare oziosamente con utensili elettrici e sonnellini pomeridiani. C’erano anche serate che scomparivano, innaffiate da bicchierini di vodka e seguite da notti insonni. Ci sono stati lampi di ispirazione seguiti da mesi di disperazione. Ci sono state false partenze, svolte sbagliate e pagina dopo pagina da buttare via.

Franzen ricorda quando la famosissima conduttrice Oprah Winfrey ha annunciato di aver scelto The Corrections per il suo club del libro (i testi selezionati per il Oprah’s Book Club vendevano regolarmente oltre un milione di copie). Lì iniziò un nuovo inferno mediatico a cui non era affatto preparato. Franzen, disse su Fresh Air di NPR che aveva il timore che la presenza da Oprah spingesse i lettori a concentrarsi solo sulla parte divertente del suo libro e non voleva essere frainteso. In un’intervista alla libreria Powell, dichiarò inoltre che Oprah “ha selezionato alcuni buoni libri, ma ne ha scelti altri abbastanza orrendi, che fanno rabbrividire anche se penso che sia davvero intelligente e stia davvero combattendo la buona battaglia”.

Oprah ha ritirato l’invito a Franzen. “Jonathan Franzen non sarà nello show di Oprah Winfrey perché è apparentemente a disagio e in conflitto per essere stato scelto come selezione del club del libro“, ha detto in una dichiarazione pubblica. Franzen è stato il primo autore in assoluto a cui è successa una cosa del genere. Anche se, in seguito, si è scusato più volte la sua immagine ne è rimasta segnata e diventò, per i successivi vent’anni anni, l’uomo snob dell’establishment maschile bianco etero della cultura letteraria.

Jonathan Franzen (Wikimedia Commons)

Nel 2010 Franzen pubblica il suo quarto romanzo, Freedom, ( Libertà trad. S. Pareschi, Einaudi) Proprio come The Corrections, Freedom è stato accolto con grandi entusiasmi. La rivista Time ha messo Franzen in copertina sotto il titolo Great American Novelist. Il New York Times ha definito Freedom “un capolavoro della narrativa americana”. L’allora presidente Obama è stato fotografato mentre lo leggeva in vacanza prima ancora che uscisse. Oprah ha selezionato Freedom per il suo club del libro e Franzen è apparso nello show, dicendo a Oprah che era “un onore”.

Il romanzo segue le vite della famiglia Berglund, in particolare dei genitori Patty e Walter (coppia democratica, attenta alle problematiche ecologiste), man mano che le loro vite si sviluppano e la loro felicità alla fine va in pezzi. Hanno una figlia, Jessica, e un figlio, Joey che affrontano momenti cruciali della crescita.

Ma come ha sottolineato Jennie Yabroff su Newsweek, mentre i lettori erano disposti ad accogliere Freedom a braccia aperte, Franzen, la persona pubblica appariva snob e noioso. “The Corrections è stato scritto da un ragazzo con gli occhiali dall’aspetto serio e abbastanza sconosciuto”, ha scritto Yabroff “Freedom viene dall’uomo che ha insultato Oprah, si è lamentato del fatto che il musical vincitore del Tony Spring Awakening fosse un imbastardimento dell’opera teatrale di Frank Wedekind del 1891 (che lo stesso Franzen aveva recentemente tradotto dal tedesco), ha definito la critica Michiko Kakutani “la persona più stupida di New York’”

“Il NYT è entusiasta del nuovo libro di Franzen”, ha twittato l’autrice  Jodi Picoult. “Qualcuno è scioccato? Mi piacerebbe vedere il NYT entusiasta di autori che non sono i beniamini letterari maschi bianchi.

Cinque anni dopo, Franzen pubblica Purity ( trad. S. Pareschi, Einaudi) un romanzo composto da sei sezioni che raccontano la storia di Purity “Pip” Tyler e la sua ricerca per scoprire il suo padre biologico, conducendola verso Andreas Wolf, un hacker di origine tedesca con sede in Bolivia, e Tom Aberant un editore e giornalista con sede a Denver.

Questo romanzo ha ricevuto recinzioni tutt’altro che entusiastiche. Tutti i critici pensavano che fosse fondamentalmente buono, ma avevano delle riserve; trovavano la prosa troppo blanda, la trama troppo farsesca, il trattamento del femminismo troppo vago. Purity si è rivelato una relativa delusione commerciale rispetto ai due precedenti romanzi di Franzen poiché ha venduto “solo” 255.476 copie rispetto a 1,15 milioni di copie di Freedom e 1,6 milioni di copie di The Corrections.

Purity è stato un passo falso secondo The Nation è un libro debitore di Dickens, pieno di coincidenze e intrighi (identità segreta, paternità misteriosa, una fortuna miliardaria). C’erano ancora una famiglia e grandi questioni coinvolte (gentrificazione, giornalismo, la caduta della Germania dell’Est e l’ascesa di Internet) ma c’era anche un tono quasi “assurdo”.

La pubblicazione di Crossroads (trad. S. Pareschi, Einaudi) non è stato un evento nel modo in cui lo erano la pubblicazione di The Corrections e Freedom, ma ha ottenuto ugualmente ottime recensioni. L’Atlantic lo ha indicato come il miglior libro di Franzen. Crossroads “fa tutto ciò che dovrebbe fare un grande romanzo”, ha detto Slate, esortando i lettori a “dimenticare tutte le controversie e leggerlo”. Il New York Times ha concluso che Crossroads era “più caloroso di qualsiasi cosa abbia mai scritto, più ampio nelle sue simpatie umane, più pesante di immagine e intelletto”.  “Grazie a Dio per Jonathan Franzen”, sospirò il Washington Post.

Crossroads è il primo di una trilogia (chiamata “A Key to All Mythologies”) e segue le storie di Russ e Marion Hildebrandt, il cui matrimonio è vicino al collasso, e i loro quattro figli: l’idealista ingenuo Clem, uno studente universitario; Becky, una liceale carina e popolare; Perry, un adolescente troppo brillante per il suo bene; Judson, il piccolo di famiglia, al quale nessuno, Franzen compreso, sembra particolarmente interessato. Ogni capitolo è raccontato dal punto di vista di uno degli Hildebrandt, e la maggior parte è ambientata nell’immaginario New Prospect Township della periferia di Chicago.

In The Corrections and Freedom, i temi erano molteplici (crisi famigliari- politica – ambiente – internet) ma in Crossroads, ogni trama porta a Dio. Non la religione, anche se questo è interessante, ma il loro rapporto individuale. “Quasi tutto nella vita”, scrive Franzen, “è vanità: il successo una vanità, il privilegio una vanità, l’Europa una vanità, la bellezza una vanità. Quando ti sei spogliato della vanità e sei rimasto solo davanti a Dio, cosa è rimasto?”

Franzen riguarda l’immagine di New York dalla brochure. New York per lui è stata una montagna russa, fatta di incontri, riflessioni, stanze chiuse, sale piene di gente, il successo e l’insuccesso. È il luogo dove sono ha potuto approfondire i temi che hanno interessato tanto il suo lavoro: l’ambiente, il capitalismo, la fede. Dove ha capito quanto è importante mantenere l’attenzione e il piacere del lettore.

Sente il rumore della porta che si apre. La compagna lo guarda seduto sul divano con l’opuscolo.

«Cosa fai? Stai pensando di tornare a New York?»

«Certo che no.»

«Allora?»

Si alza e butta la brochure nella spazzatura. «È stato solo un momento di nostalgia.»

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Michele Crescenzo

Michele Crescenzo

Michele Crescenzo legge e scrive, appena può. È nato a Napoli nel’77 dove si è laureato in Sociologia. Vive a Milano dal 2002, dove lavora in una multinazionale americana. La sua quotidianità è alternata da numeri e parole. Da lunghissime call conference internazionali alla stesura di articoli letterari. Scrive recensioni per Satisfiction. Gestisce “Ti ho Rivista” tabloid sul mondo delle riviste indipendenti italiane. Organizza eventi culturali alla libreria milanese Gogol&Company. Cura la column “Gotham's Writers” su La Voce di New York. Nel tempo libero scrive: Nel 2009 ha vinto il Premio Chatwin, concorso internazionale sul viaggio. Ha pubblicato racconti per antologie e riviste letterarie (‘tina, Pastrengo, Talking Milano, Lettura la newsletter del corriere della sera).

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