Cobble Hill. È nel silenzioso incedere tra townhouses ordinate che parliamo per la prima volta di Madre Terra. Novembre 2021. Gli Stati Uniti hanno appena riaperto ai voli europei. In quei giorni incontro Chiara a Brooklyn. Casa sua da tanti anni. Il titolo del suo ultimo libro non c’era ancora. Ma infilando un passo dietro l’altro, oltre l’ora del tramonto, sfugge la fatica nella scrittura di quello che oggi Chiara stessa definisce un “giallo sporco”, nato con una trama che, per sopravvivere, ha dovuto essere ridotta, “tagliata”, non soltanto riscritta.
“Less is more” , si dice nel mondo dell’architettura e del design. Far pulizia, spazzar via personaggi inutili a focalizzare il clou della storia, ha funzionato anche per Madre Terra (NN Editore, pp. 384, 18,00€) opera seconda di quella che dovrà essere una trilogia dedicata a profondi disagi. “L’opera più sociale che io abbia mai scritto” commenta all’alba della presentazione di Madre Terra Chiara Marchelli, la sua autrice.
È la storia della vita e della morte di Mirela, rom che si trasferisce in Italia in cerca di una vita migliore da offrire al figlio Yanko. Qui troverà una morte orribile. Sepolta viva. E dalle indagini del luogotenente dei Carabinieri Maurizio Nardi, che abbiamo imparato a conoscere nel primo giallo, Redenzione, emergeranno difficoltà, maldicenze, razzismo, dolori, rapporti complessi.
Ancora una volta sullo sfondo del racconto c’è Volterra. Qui ha sede un vecchio manicomio psichiatrico. Una struttura abbandonata che oggi “rappresenta un richiamo perfetto dal punto di vista letterario, una fascinazione. Ho lavorato di immaginazione – dice Chiara – ipotizzando che quel posto, in cui un tempo venivano curate persone malate, oggi possa essersi trasformata in una tana per persone disagiate”.
Chiara si esprime con straordinaria pacatezza. Ma dietro la sua dolcezza ferma e decisa si nasconde quella che lei stessa definisce “mancanza di adesione alla comunità, che secondo me è una caratteristica fondamentale degli scrittori. Devi sentirti un po’ fuori dagli schemi per raccontare. Io non ho ancora capito se mi porto dentro un disagio fin da ragazzina, quando mi sono ritrovata nel ruolo della scrittrice che sta ai margini, o se ho bisogno di sentirmi a disagio per scrivere”.
La ricerca, l’osservazione dell’altro, l’analisi di linguaggi, modi di dire, espressioni, sono imprescindibili. Chiara insegna letteratura contemporanea, italiano, traduzione e scrittura creativa alla New York University : “Lo dico spesso ai miei allievi: zitti e guardate, perché la vostra storia da sola non è interessante. Lo scrittore deve essere soprattutto una persona silenziosa, che sa osservare, studiare molto, leggere. Non si può fare lo scrittore, bisogna esserlo, e questa è una propensione naturale, un modo di essere, che porta ad entrare il più possibile nella mente delle persone”.
Chiara Marchelli è questo da sempre. Tace e, sorridendo, ascolta. “Ho bisogno di capire gli altri, è l’unico modo per esplorare. Non credo che la realtà possa essere guardata dall’alto. Mi serve invece un dettaglio, anche minimo, posso partire da li per sviluppare una trama. Per far parlare i personaggi, poi, è necessario percepire ogni sfumatura del linguaggio. I dialoghi sono difficili da scrivere. Si rischia di riprodurre il proprio modo di esprimersi e di rendere poco credibili i personaggi. Invece bisogna cambiare vocabolario e se i personaggi non sono positivi è difficile entrare nella loro mente. La sfida è, ad esempio, far parlare un razzista o un invasato, persone intimamente diverse”.
Madre Terra passa attraverso drammi umani. La pena è un sentimento che ti attraversa quando scrivi?
“Ci sono momenti in cui provo pena per l’altro, e non è necessariamente la persona che vive nel disagio. Poi la provo quando l’altro ha, in qualche modo, a che fare con me. Succede che mi ritrovo a scavare nei sentimenti, caratteristica dello scrivere femminile, che ho sempre rigettato perché le femmine non venivano prese sul serio. Sono, invece, una grande risorsa. E oggi mi ritrovo a leggere soprattutto libri e racconti di donne, scoprendo che sono state capaci anche di ferocia e violenza”.
La scrittura di romanzi gialli ti ha portata in campi a te prima sconosciuti, è stata una sorta di sfida.
“Si, è stato un lavoro di continua ricerca e sono stata pronta a chiedere a chiunque ne sapesse di più”. Per raccontare come si sviluppano le indagini di Nardi e l’ambiente dell’Arma dei Carabinieri, è stato fondamentale sia in Redenzione sia in Madre Terra il contributo di Cesare Neroni, adesso in pensione, ma che come comandante di un Nucleo investigativo dei Carabinieri, è stato in primo piano in diverse indagini su omicidi o criminalità organizzata. E nell’ultimo libro è stato necessario anche il parere di un’esperta in medicina legale, Marina Tumiati, che ha aiutato a descrivere le condizioni di ritrovamento del cadavere di Mirela.
“Il giallo ha regole piuttosto precise – dice Chiara – e i lettori di gialli sono piuttosto esigenti, se scrivi imprecisioni li perdi. Ci vuole un’umiltà di fondo per capire prima e raccontare poi. Scrivere ti mette in discussione continuamente, se esci da un tuo lavoro come ci sei entrata non è servito a niente”.

Per Chiara, la letteratura non deve consolare, ma inquietare. Tuttavia “dopo crisi e Covid-19 ho pensato che forse la gente non avesse voglia di emozioni forti. Ma era difficile ambientare un romanzo nel 2021 ignorando la pandemia. Si, ci sono dei riferimenti”
C’è un personaggio, nel romanzo, che a ben guardare fa tenerezza: Yanko, il figlio di Mirela. “Di lui ho preso lo stereotipo, volevo sfatare il pregiudizio. I bambini sono tutti uguali, ma società e storia possono portare a delitti efferati”.
Poi Chiara torna sulle difficoltà accennate qualche mese fa, passeggiando a Cobble Hill, quando però non aveva ancora svelato nulla del racconto: “Questo libro è più complesso di altri, nasce con molta più trama, che però soffocava il centro del romanzo: la storia di Mirela e Yanko, madre e figlio stranieri. Mirela me la sono immaginata in vita e in morte. Bisogna entrare nella mente delle persone, fare un grandissimo sforzo di empatia. Si vive osservando, senza staccare la spina, con un’ipersensibilità ed acume naturale che rende complicato stare nel mondo”.
In che senso? “Ad esempio a me è impossibile fare una sorpresa. Mi accorgo di tutto, mi basta un dettaglio anche minimo, uno sguardo, e capisco. È, appunto, frutto di un allenamento continuo all’osservazione”.
Come nasce il titolo Madre Terra?
“Lo ha scelto la mia editrice, Eugenia Dubini. È stato folgorante. Come dicevo, più vado avanti e meno ho paura del femminile e di esprimerlo. E questo romanzo è stato definito dalla mia editrice proprio come femminista. Per me è una scoperta interessante, che mi porta ad entrare sempre più dritta nella scrittura. Con Redenzione e Madre Terra il mio lavoro sta prendendo una forma che non immaginavo.”.
L’estate di Chiara Marchelli sarà tutta italiana. Qui la promozione del suo libro, di città in città. Da fine agosto il ritorno a New York. Città ormai sua, ispiratrice, concreta, frenetica, ma che insegna a guardare.