Gianni Barbacetto, milanese orgoglioso delle sue origini friulane, è un giornalista inviato del Fatto Quotidiano. Nella sua lunga carriera ha lavorato al Mondo, all’Europeo, a Diario, ha collaborato a Micromega, al Venerdì di Repubblica e con Michele Santoro per il programma Annozero. Ha diretto anche Omicron (l’Osservatorio Milanese sulla Criminalità Organizzata al Nord) e nel pieno degli anni Ottanta, in quella che era la “Milano da bere”, aveva contribuito a fondare il mensile Società Civile, di cui è stato direttore per una decina d’anni.
Ha scritto numerosi libri, da Milano degli scandali (uscito nel 1991, una sorta di profezia di quello che poi succederà l’anno dopo) a Il grande vecchio (sui misteri della P2), da Mani Pulite (edito da Chiarelettere, e oggi ripubblicato propro in occasione del trentennale) a Mani Sporche, da Il Celeste (sulle vicende giudiziarie di Formigoni, presidente della Regione Lombardia) a Excelsior – Il gran ballo di Expo, da Angeli Terribili a Piazza Fontana, fino a La beatificazione di Craxi. Quando non lavora si “rilassa” suonando la batteria, della quale è un grande appassionato.
Cos’è cambiato in questi 30 anni da Mani Pulite?
“Ben poco o niente. Non credo che la corruzione sia diminuita o scomparsa. Sono solo cambiati i modi con cui la politica si finanzia. Sempre in un rapporto incestuoso con le imprese e soprattutto con i soldi pubblici. Quando c’era quel sistema che Mani Pulite ha scoperchiato, e che è stato chiamato Tangentopoli, c’era un rapporto scientifico, ingegneristico: ad ogni lira – perché allora c’era la lira – spesa di denaro pubblico, la politica si prendeva la sua percentuale, ossia la tangente. Era un metodo organizzato. Scoperto quel sistema, organizzato dai partiti di destra, di centro e di sinistra, oggi c’è una corruzione più liquida, più diffusa, più ‘bricolage’. Ogni capo politico si organizza a suo modo con le imprese, per cercare di finanziare la sua ascesa politica. Per esempio tramite delle Fondazioni pseudo-culturali: i soldi finiscono lì, e poi da lì tornano ai politici”.
Ma qual è oggi il giudizio della politica e della gente sui fatti di Mani Pulite?
“Diciamo subito che questo Paese non ha mai alcuna memoria storica condivisa, non c’è sul fascismo, non c’è sulla Resistenza, non c’è su nulla, e quindi nemmeno su Mani Pulite. Una parte del Paese dice che è stata una congiura della magistratura contro la politica. Un’altra parte invece sostiene che per la prima volta la magistratura è riuscita a contrastare in maniera efficace la corruzione politica. Tant’è vero che il sistema si è velocemente sbriciolato. Un sistema che era formato da partiti che avevano una storia: la Democrazia Cristiana, il Partito Socialità, il Partito Comunista”.
Si sono sbriciolati quindi per quelle inchieste?
“Secondo me no, si sono squagliati come neve al sole non per quelle inchieste ma perché la gente, subito dopo, non li ha più votati. Non dimentichiamo, ed è storia, che nel 1992 sono successe tante cose: la morte di Falcone e Borsellino, l’ascesa della Lega Nord di Umberto Bossi, e le elezioni ebbero quell’anno una percentuale altissima di astenuti”.
Il magistrato Antonio Di Pietro, con Mani Pulite, divenne un po’ il simbolo della lotta alla corruzione in Italia. Berlusconi arrivò anche ad offrirgli la carica di ministro. Ma poi la sua stella a poco a poco si è spenta. Per quale ragione?
“L’Italia è anche il Paese dei dossier. C’è stato un tempo in cui i servizi segreti italiani avevano milioni di profili di politici, giornalisti, personaggi, e il dossieraggio è sempre stata una pratica molto usata. Lo è anche oggi, basta vedere quel che sta succedendo, con politici prima elevati al rango di leader e poi sottoposti al tiro a segno con sospetti, denunce, inchieste. Di Pietro subì un attacco mediatico continuo appena la politica riuscì a riorganizzarsi. Fu accusato quindi di tantissime cose, ma ne è sempre uscito a testa alta. È chiaro però che a quel punto non ne puoi più e preferisci farti da parte. Ha fatto bene, per me”.
C’è stato anche un momento in cui Di Pietro ammise qualche errore fatto in Mani Pulite?
“Si, ricordo che disse che forse avrebbe dovuto arrestare l’imprenditore Raul Gardini e non lasciarlo libero. Circostanza che gli consentì di suicidarsi”.
Dunque mi sembra di capire che ancora oggi Mani Pulite non ha insegnato molto alla società italiana…
“Non c’è mai stata la rigenerazione della politica italiana. Hanno finto di farla ma non è successo. Sono cambiati i protagonisti ma ‘dietro le quinte’ è come prima. La politica non si è rinnovata. E questa era una cosa che non poteva fare la magistratura, la quale poteva solo individuare i reati, contrastarli, portare alla sbarra i colpevoli. Non poteva costruire. Perché a costruire ci deve pensare la politica. Ma la politica italiana non solo non lo ha fatto, ma ha persino iniziato una guerra contro il controllo della legalità da parte della magistratura. Una guerra che continua ancora oggi”.
Lei ha scritto uno storico libro su Mani Pulite, con Marco Travaglio e Peter Gomez. Oggi su quel libro appena ripubblicato, in copertina, c’è una frase aggiunta giusto per quei 30 anni passati: qual è?
“Per chi non c’era, per chi ha dimenticato, per chi continua a rubare e a mentire”.
Quindi vuol dire che, oggi, c’è chi continua a rubare e a mentire?
“Si, certamente. Non solo la corruzione continua, ma continua l’attacco alla sola idea di una nuova Mani Pulite. Cioè all’idea che la politica possa essere controllata affinché non compia dei reati”.