La cultura storica avanza. È stata questa la sensazione che mi ha dato la lettura dell’ultimo libro di Enrico Fagnano dall’impegnativo titolo: La Storia dell’Italia Unita edito da Amazon.
L’autore è passato, nel corso degli anni, da fondatore e curatore delle riviste letterarie Brilliancity (1979-86), L’Erba (1986-87) e La parola abitata (1988-93) all’attività di giornalista come redattore di Radio Spazio Popolare, ha collaborato con Radio Kiss Kiss, con Radio Città e con i quotidiani Il Mattino, Napoli Oggi e Il Roma. Non ha disdegnato il teatro e né tantomeno la pubblicazione di numerosissimi volumi, arrivando negli ultimi tempi alla “Poesia”.
Fagnano si dimostra, nella narrazione, un novello Virgilio che prende per mano il suo lettore e lo accompagna nelle carte e negli atti ufficiali nel frattempo venuti alla luce. È quasi un ulisside della storia, che cerca la sua Itaca in questo ultimo volume appena pubblicato: i veri e accertati artefici che portarono alla nascita dell’Italia nel XIX secolo. Avverto chi legge che si rimane colpiti quando Fagnano documenta lo sbarco in Sicilia di Giuseppe Garibaldi alla testa di un manipolo di soli 1.000 uomini.
Molti di noi da bambini si lasciavano sicuramente prendere dal misticismo e dall’aureola da grande condottiero del nizzardo che Fagnano non mette assolutamente in discussione ma, da storico, cita fatti e documenti come sul numero dei partecipanti alla spedizione dei mille che, appunto, mille non erano. Infatti documenta che alcune navi, e qui ne cito solo alcune, come la Washington e la Franklin fecero sbarcare circa 2.700 uomini, la Medeach, la Provence e di nuovo la Washington qualcosa come altri 2.600, per non parlare de la Charles Charge e l’Utile con 800, senza dimenticare il contributo di Sua Maestà britannica con ben 900 soldati inglesi fatti congedare così, nel caso di una loro cattura, non figurassero ufficialmente nell’esercito di Londra.
Esamina e informa che, molto probabilmente, a scatenare la guerra verso il re di Napoli fu anche l’enorme debito accumulato dai Savoia che, dati alla mano, era considerevole aggiungendovi gli enormi interessi britannici nell’estrazione dello zolfo in Sicilia pari a circa l’80% della produzione mondiale gestito quasi in totale esclusiva dal Reno Unito. Per non parlare dell’alleanza stabilita con la “mafia” in Sicilia e la “camorra” nel napoletano, utilizzate per la completa caduta dei Borbone. A tal riguardo, e valga per tutto, c’è la testimonianza dello storico Pasquale Villari che, nel volume “Lettere meridionali” pubblicato nel 1875, testimonia che ci fu ricorso alla mafia scrivendo che “la rivoluzione ricorse ad essa, che potè subito armare contadini e popolo, porsi alla loro testa, e rovesciare il Governo stabilito”.

Un altro aspetto determinante fu il finanziamento ed il depauperamento che occorsero per realizzare l’intero progetto per il quale si va dalle 10.000 piastre d’oro turche alla partenza ligure al totale svuotamento per circa 5.000.000 di ducati dall’allora “Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro” di Palermo che, in seguito, divenne Banco di Sicilia.
A questo punto ci siamo rivolti direttamente all’autore.

Fagnano, nel volume descrivi ciò che è accaduto nel Mezzogiorno dopo il 1860. Qual è stato il tuo modo di procedere?
“Mi sono basato in prevalenza su dati e dichiarazioni tratti da documenti ufficiali, che sicuramente non sono contestabili. Per questo ho utilizzato bilanci e censimenti dell’ISTAT, ma ho utilizzato anche le relazioni di commissioni parlamentari e relazioni ministeriali accompagnate da testimonianze dei politici, degli economisti e dei principali studiosi dell’epoca”.
Nel tuo lavoro ti soffermi in modo particolare sulle conseguenze economiche dell’Unità. Ci puoi descrivere ciò che è accaduto?
“Nel 1860 il Nord e il Sud da un punto di vista economico erano in una situazione di sostanziale parità. Il divario si è creato in seguito con la vendita dei terreni demaniali, iniziata nel 1862, la vendita dei terreni ecclesiastici, iniziata nel 1867, la legge del 1866 sul corso forzoso, la legge del 1887 sui dazi doganali e infine l’utilizzo delle rimesse degli emigrati. Lo storico e politico Giustino Fortunato in una lettera inviata il 2 settembre 1899 a Pasquale Villari è assai esplicito e dice: “L’unità d’Italia è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti”.
Prima di questo hai pubblicato altri libri. Vuoi ricordarli?
“Ne evidenzio tre: Avvistamenti, raccolta di aforismi con racconti sulle contraddizioni della società contemporanea, poi La bomba e il suo contrario ambientato in un futuro surreale ed infine Alternative, con cui arrivo alla poesia”.