Causa pandemia, il centenario della nascita di Leonardo Sciascia lo si celebra in modo ridotto, parziale. Purtroppo, non adeguato alla levatura del personaggio. Scrittore, intellettuale, scomodo per le molte verità indicibili che ha letteralmente incarnato, in parecchi avranno come tirato un sospiro di sollievo. In tanti applicano la regola che Manzoni fa enunciare al Padre Provinciale a colloquio con il Conte Zio nei “Promessi sposi”: “…sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire…”.
Quand’era in vita (ma anche dopo, da morto), in tanti hanno insultato Sciascia; c’è chi gli dà perfino del mafioso, per le sue coraggiose posizioni, rigorose e radicali, in difesa del diritto e della giustizia giusta. Gli danno del quaquaraquà, una delle cinque categorie, la più infame, con cui il mafioso de Il giorno della civetta, Mariano Arena, suddivide l’umanità … Schivo, discreto, Sciascia incarna quel decoro e quell’eduzione che sono la cifra di un’Italia che si vorrebbe e che spesso non è.
Nasce a Racalmuto, paese siciliano arroccato vicino ad Agrigento. Per tutta la vita la Sicilia, e quel paese in particolare, gli restano nel cuore. Dice: “Incredibile è l’Italia; e bisogna andare in Sicilia, per constatare quanto lo sia”.

Quella che segue è una parziale selezione degli insulti e delle infamie che ha dovuto patire. “Codardo”; ”Sprazzi di autentica balordaggine”; “Aspetto profondamente reazionario”; ”Amara e inutile vecchiaia”; ”Lancia avvertimenti mafiosi”; ”Precipitato al livello di un terrorismo piccolo-borghese”; ”Penoso”; “Travolto dagli anni e da antichi livori”; ”Gravissimi furono i suoi silenzi”; ”Stregato dalla mafia”; ”La sua funzione è esaurita”; ”Non ci serve più”: ”Fa l’apologia della mafia”; ”Non è più capace di immaginare un uomo vero”; ”Il suo credo: vendo, ergo sum”; ”Sta finendo piuttosto male”; ”Disfattista”; ”Arrogante”; ”Si riduce in misere polemiche sulle Brigate Rosse e l’antimafia”; “Nei suoi romanzi, qualunquismo e codardia civile”; “Trozkista”; “Iena dattilografa”…
Sciascia: uno degli scrittori più colti e raffinati del secolo che ci siamo lasciati alle spalle… Con i suoi romanzi, e racconti, con i suoi interventi ha saputo raccontare l’Italia e gli italiani; quello che seppero fare autori giustamente considerati “classici”, come Alessandro Manzoni, Luigi Pirandello, Federico De Roberto. Per aver saputo dire tante indicibili verità è stato (ed è) tanto amato e detestato.

Il giorno della civetta è uno dei romanzi più conosciuti di Sciascia; così famoso che quasi ne provava fastidio. In quel romanzo c’è su cui meditare, che sarebbe bene fosse scolpita anche nei manuali – se ve ne sono – di addestramento per poliziotti, carabinieri, magistrati. E’ quella in cui il capitano Bellodi vagheggia l’uso di strumenti al di là e al di sopra della legge, come quelli del prefetto Cesare Mori durante la dittatura fascista. Bellodi vince subito quella tentazione/ illusione in cui era precipitato; e svolge un ragionamento che è il nocciolo della questione:
Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come in America. Ma non soltanto le persone come Mariano Arena; e non soltanto qui in Sicilia. Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nella contabilità generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inquieti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari; e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso. Soltanto così a uomini come don Mariano comincerebbe a mancare il terreno sotto i piedi….
Una strategia investigativa, quella degli accertamenti bancari e del controllo dei patrimoni, che nessuno aveva mai tentato, e che nessuno tenterà mai seriamente prima di Giovanni Falcone, che lo farà vent’anni dopo.
Anima tante battaglie politico-culturali: la vicenda Moro, la vicenda del rapimento del giudice Giovanni D’Urso; la lotta alla mafia, e a certa anti-mafia, l’impegno a fianco di Enzo Tortora per una giustizia più giusta, umana e rispettosa…

Si sorride un po’ amari nel vedere che oggi, a piangerlo, in prima fila, spesso sono gli stessi che in vita (e qualcuno anche dopo che era morto), si sono prodigati in insulti volgari e meschini. Si dirà che non è cosa nuova.
Ci lascia una sorta di testamento:
Bisogna rompere i compromessi e le compromissioni, i giochi delle parti, le mafie, gli intrallazzi, i silenzi, le omertà; rompere questa specie di patto fra la stupidità e la violenza che si viene manifestando nelle cose italiane, rompere l’equivalenza tra il potere, la scienza e la morte che sembra stia per stabilirsi nel mondo; rompere le uova nel paniere, se si vuol dirla con linguaggio e immagine più quotidiana, prima che ci preparino la letale frittata.