New York 2006. Tarda sera. Jennifer Egan inspira a fondo, apre la porta del ristorante ed entra nella penombra e nel brusio. Nell’aria c’è odore di pesce alla piastra e di vestiti bagnati. Vede la madre al tavolo e la raggiunge subito. È stanca e ha bisogno di una serata con lei per sfogarsi. Le racconta del suo ex Steve Jobs che ha un tumore al pancreas, delle difficoltà di pagare il mutuo della casa acquistata in Fort Greene Brooklyn nel 2000, della convivenza con il marito – il direttore teatrale David Herskovits – e i due figli Raoul (5 anni) e Manu (3), e soprattutto di quanta fatica facesse per scrivere un libro storico su New York (quello che sarebbe poi diventato Manhattan Beach). Aveva trascorso tutta la giornata in biblioteca e non era riuscita a ricavarne nulla; più faceva ricerche sul libro, più rimandava a scriverlo facendo nuove ricerche. Aveva una scaletta ben precisa, ma stava andando tutto a rotoli.
In una pausa va nel bagno delle donne dove rimane a fissare prima il suo volto stanco, poi nota un portafoglio che spunta dalla borsa di una donna. “Ho pensato che sarebbe stato facilissimo allungare la mano e prenderlo. Mi sono connessa con la prospettiva della persona che ruba”, spiega l’autrice su Entertainment Weekly “E ho pensato, domani inizierò a scrivere di questo e vediamo cosa succede”. Questa scena è diventata il primo capitolo di A Visit From the Goon Squad (Il tempo è un bastardo minimum fax, 2011 traduzione di Matteo Colombo) vincitore del Premio Pulitzer 2011, il libro ha vinto anche il National Book Critics Circle Award per la narrativa nel 2010, ha ricevuto recensioni positive dalla critica ed è apparso in molte liste dei migliori romanzi degli anni 2010.
La Egan aveva intenzione di scrivere solo un racconto su Sasha, una cleptomane che ha un appuntamento con un uomo di nome Alex, che è nuovo in città ed è stupito quando più tardi scopre che la ragazza ha una vasca da bagno nella sua cucina (come si usava a New York negli anni ‘70). Dopo aver scritto il racconto, ha iniziato a pensare a come potesse essere Bennie Salazar, il capo di Sasha e dirigente discografico e ha scritto anche una storia su di lui. E poi una terza storia e una quarta. Seguendo solo la sua curiosità ha scritto un romanzo di racconti intrecciati su Sasha, Benniee e altri personaggi, che, man mano che invecchiano, cambiano la loro vita in direzioni impreviste. Le storie si spostano avanti e indietro nel tempo dagli anni ‘70 al presente e al prossimo futuro (c’è un capitolo futurista creato solo come una presentazione in PowerPoint). Molte delle storie si svolgono a New York e dintorni, anche se altre ambientazioni includono San Francisco, Napoli e un safari in Kenya.
“Volevo evitare la centralità. Volevo la polifonia. Volevo una sensazione laterale, non una in avanti. Le mie regole di base erano: ogni pezzo deve essere molto diverso dagli altri e avere un punto di vista nuovo – racconta l’autrice su BOMB Magazine – Per me il tempo non è lineare. Una cosa che facilita questo tipo di viaggio nel tempo è la musica, ecco perché io penso che la musica abbia finito per essere una parte così importante del libro. Inoltre, stavo leggendo Proust. Lui cerca, con grande successo, di catturare il senso del tempo che passa, la qualità della coscienza e i modi per aggirare la linearità”.
Jennifer Egan è conosciuta soprattutto per la sua immaginazione (quasi preveggente) e per l’ingegnosità delle sue costruzioni letterarie fuori dagli schemi. Goon Squad è una meditazione proustiana sulla musica rock e sul tempo perduto che attraversa il passato, il presente e il futuro, cambiando protagonisti e voci a ogni capitolo. The Keep (La fortezza minimum fax, 2014 traduzione di Martina Testa ) è una favola neogotica di tecnologia e paranoia ambientata in un castello dell’Europa orientale. Black Box (Scatola nera minimum fax, 2013 traduzione di Matteo Colombo) è una spy story nata per essere pubblicata su Twitter, ossia scandita in singoli tweet (brevi porzioni di testo non più lunghe di 140 caratteri).
Delle volte è sembrato addirittura che Jennifer Egan fosse in grado di predire il futuro. Nell’ultimo capitolo di Goon Squad, che è stato pubblicato nell’era dell’iPhone, ma scritto principalmente prima che arrivasse sul mercato, ha introdotto lo Starfish, un telefono touch-screen per bambini (due genitori discutono su quando permettere alla figlia di usarne uno, forse la prima rappresentazione in letteratura di quella battaglia persa.) Per il suo secondo romanzo, Look at Me (Guardami minimum fax, 2012 traduzione di Matteo Colombo e Martina Testa), ha inventato una piattaforma di social-media dove persone normali si sottopongono alla sorveglianza continua della webcam (“survivor” era uscito l’anno precedente). Uno dei personaggi principali di Look at Me è Z., un terrorista libanese che insegna matematica al liceo nel Midwest mentre organizza un attacco contro gli Stati Uniti. Egan ha lavorato al libro per sei anni e mancava solo una settimana alla pubblicazione quando le torri del World Trade Center furono colpite. Gli agenti dell’F.B.I. consultati dalla scrittrice le avevano detto che il terrorista medio era giovane, insensibile, abbastanza inetto. Ma lei ha reso Z. un poliglotta ben istruito e sofisticato, integrato nella cultura che sogna di distruggere, proprio come, si è scoperto, i principali dirottatori dell’11 settembre.
Jennifer Egan ha replicato al The New Yorker che tutte quelle erano soltanto “facili previsioni dovute all’energia della logica” ( definizione di Jane Smiley che consiste di canalare il presente verso una serie di possibili futuri). Con Manhattan Beach (Mondadori, 2018 traduzione di Giovanna Granato) il suo ultimo romanzo – quello che stava scrivendo quando ha incontrato nel bagno del ristorante la donna con il portafoglio – l’autrice americana rovescia ogni aspettativa e presenta al lettore un romanzo storico dove la protagonista – la diciannovenne Anna – cerca di scoprire la verità su suo padre all’interno di un mondo popolato da criminali, marinai, sommozzatori, banchieri aristocratici e uomini del sindacato. La National Book Foundation ha inserito il libro nella lista del National Book Award 2017 nella categoria Fiction. La rivista Time lo ha selezionato come uno dei suoi dieci migliori romanzi del 2017.

Jennifer Egan non ha sempre voluto fare la scrittrice. Quando era ragazza viveva a San Francisco e il suo obbiettivo di allora era solo quello di partire per un anno sabbatico in giro per l’Europa prima dell’università (immaginava di fare archeologia). Per recuperare i soldi per il viaggio lavorò in un bar e anche come modella. “Sapevo com’era stare di fronte a una telecamera, sapevo cosa significa essere mercificata – ha detto Egan – ed è uno strano mix tra la denigrazione e l’esaltazione”. In Europa però, in una stanza sterile di un ostello a Reims, ha avuto il primo di quelli che ora identifica come attacchi di panico, ma che all’epoca credeva fossero flashback dell’LSD. Li chiamava The Terror e pensava che stesse impazzendo. “Ero sola ed ero impaurita – ricorda – l’unica cosa che facevo era tenere un diario segreto, scrivere era l’unica cosa che mi faceva stare bene e in quel momento ho deciso che sarei stata una scrittrice”.
L’autrice tornò in America e studiò letteratura, innamorandosi di William Faulkner, Ken Kesey e John Fowles. A una cena a San Francisco, l’estate dopo il suo secondo anno, Egan ha avuto una conversazione con un uomo che le ha detto che lavorava ai computer Apple. “Continuavo a chiedergli: ‘Cosa fai esattamente?’ E lui rispondeva genericamente – ha detto l’autrice americana – poiché sembrava così giovane, ho pensato che stesse cercando di nascondere il fatto che aveva un lavoro precario o umile”.

Era Steve Jobs. Aveva ventotto anni ed era già famoso. “Steve era fondamentalmente una persona timida che era costantemente al centro dell’attenzione. Penso che gli piacessi perché non avevo idea di chi fosse”. I due sono usciti insieme per un anno. Facevano lunghe discussioni sulla presunta contraddizione di Steve tra la sua devozione alla filosofia buddista e il suo obbiettivo di convincere la gente a comprare computer. “È stato molto divertente averlo così innamorato di me – ha detto – Lo chiamavo nel suo ufficio dalla biblioteca e, qualunque cosa stesse facendo, veniva sempre al telefono. Ho trovato esilarante che avesse questa gigantesca azienda legata a lui. Sembrava incredibilmente travolgente, ma anche divertente”. Quando le disse che valeva centinaia di milioni di dollari, lei scoppiò a ridere. “Era pazzesco!”
La relazione finì quando Steve Jobs propose il matrimonio, una formalità, in un certo senso, poiché sapeva che lei avrebbe rifiutato. “Ammetto che ci sono stati momenti in cui mi sono sentita oscurata da lui”, ha detto la Egan. “Non dal fatto che fosse una specie di star, se vuoi. Ma di più quando parlava di andare alla Casa Bianca e di essere amichevole con le persone nell’amministrazione Reagan, e di avere conversazioni sul potere e sulla diplomazia. Mi sono sentita davvero sminuita da questo. Tipo, ho sentito, Oh, mio Dio, non sono niente. Niente di quello che faccio è importante”.
Dopo il college, Egan è andata a Cambridge con una borsa di studio in inglese. Un’amica del liceo l’aveva avvertita di evitare un suo orribile ex fidanzato, David Herskovits, che studiava classici in quella stessa scuola. Ma qualcosa nella descrizione dell’amica ha stuzzicato la sua curiosità così si è presentata all’improvviso nella stanza di Herskovits per il loro primo incontro. “Era mezzogiorno e si stava radendo, e c’erano ancora i resti di una cena – ha ricordato – Mi sono resa conto di averlo capito completamente già in quei primi quindici minuti: ama dormire fino a tardi, ama intrattenere, è un cuoco straordinario. È una persona così gioiosa, celebrativa, raffinata”.
Nell’autunno del 1987 i due si trasferirono nell’Upper West Side di New York e si sposarono nel 1994. L’anno dopo venne pubblicato il primo romanzo The Invisible Circus (La figlia dei fiori, Piemme, 2003 traduzione di Vincenzo D’Antonio) di Jennifer Egan che raccontava la storia di Phoebe, una diciottenne sensibile e smarrita che si imbarca in un viaggio in Europa per scoprire il motivo del suicidio della sua sorella maggiore (nel 2001 hanno tratto un film con Cameron Diaz).
L’autrice americana oggi vive a Clinton Hill in Brooklyn, lavora tutti i giorni scrivendo a mano seduta su una poltrona Ikea nel suo ufficio, o, quando il tempo è bello, su una poltrona reclinabile Zero Gravity che lei ha installato sotto l’albero di magnolia nel suo cortile. Immagina di avere ancora venti anni di buona scrittura e ha un piano per scrivere altri sette libri. Il prossimo utilizzerà le stesse idee strutturali di Goon Squad e alcuni dei personaggi. Poi vuole scrivere un romanzo tratto da Manhattan Beach, seguendo il figlio di Anna Kerrigan negli anni Sessanta. Ha una scaletta ben precisa, ma chissà se in un bagno o in qualunque altro luogo si soffermerà su un particolare per creare una storia completamente nuova.