Un giorno sì un altro no è il titolo del bel libro di Isa Grassano, edito da Giraldi Editore. Già l’avevamo incontrata tempo fa su queste pagine. Ambientato in questi tempi ricorda, almeno a me, i colori della pandemia. Un giorno rosso e l’altro no, ma vabbé, questa è un’altra storia.
Perché ne parliamo? Non solo perché Isa, lucana doc, è una bravissima giornalista freelance che collabora con le più importanti testate nazionali tra cui I Viaggi e il Venerdì di Repubblica, Intimità, Lei Style, Touring, Donna Moderna e che molto ha raccontato sull’Italia i suoi misteriosi e insoliti luoghi turistici. Ma perché New York è uno dei luoghi dove si svolge il romanzo. Una città come lei dice che “è rimasta nel cuore”. Quindi, partiamo, come Isa amerebbe sempre fare e cerchiamo di saperne di più.
Innanzitutto parlaci di come nasce il libro. Se non sbaglio questa è la prima volta che ti avventuri nella narrativa.
“Sono soprattutto una giornalista, amo raccontare storie e da un po’ di tempo sentivo la necessità di fare qualcosa al di fuori delle guide emozionali o dei racconti per antologie che ho sempre scritto negli anni scorsi. Ed ecco finalmente una storia che ha ingoiato frammenti di tante vite per provare a farne una narrazione. Un Giorno sì un altro no (Giraldi editore) nasce dopo tanti racconti di amiche o anche di perfette sconosciute incontrate in treno. Per tutte il comune denominatore era un uomo ‘non costante’ nei rapporti, capace di far provare grandissime emozioni ma anche di sparire qualche giorno senza nemmeno rispondere ai messaggi (il ghosting è un tipo di violenza psicologica tra le più dolorose proprio perché non da risposte e per questo ci si tormenta). Racconta le paure e le speranze di una donna, Arabella, in cerca del suo posto nel mondo, la fatica di avere quarant’anni e di essere ancora sola, la sensazione del tempo che passa e della precarietà della vita. E, con delicatezza, ritmo e una gran dose di leggerezza, ma pur sempre profonda, tenta di esorcizzare le paure che poi in fondo tutti ci portiamo dietro. Questo romanzo, pur nella sua dichiarata appartenenza alla fascia femminile e quindi ‘rosa’ è ha un risvolto introspettivo, ma soprattutto lo stanno apprezzando anche gli uomini, a giudicare dalle recensioni che ricevo direttamente o su Amazon e questo per me è la più grande soddisfazione”.
A inizio del libro inserisci una frase di Emily Dickinson. Quando sentiamo il bisogno di un abbraccio, dobbiamo correre il rischio di chiederlo. Perché hai scelto proprio quella frase? È forse anche per il momento storico che stiamo vivendo?
“Adoro Emily Dickinson e adoro il contatto di un abbraccio, capace, come scrivo, ‘di essere come un alfabeto e di riuscire a dire determinate parole’. Anche se l’avrei messo lo stesso, indipendentemente dalla pandemia, in questo momento è ancora più sentita come frase. Una sorta di nostalgia per la vicinanza fisica che ora non ci è possibile e la cosa più brutta è che forse ci siamo abituati. Vorrei attraverso le mie parole – gli abbracci si rincorrono molto tra le pagine – offrire svago e dolcezza in un momento storico in cui abbiamo bisogno di leggerezza quasi più dell’ossigeno che scarseggia ovunque”.
Uno dei luoghi del racconto è New York. Perché hai scelto proprio questa città e quale la tua relazione con la Grande Mela?

“Noi non siamo fatti solo di parole, ma anche dei luoghi che abbiamo conosciuto, siano esse le case di famiglia, delle amiche, le hall degli alberghi, le città che abbiamo visitato. New York mi è rimasta nel cuore. Da sempre è la città dei miei sogni. Amo ripetere spesso che in un’altra vita vorrei nascere nella Grande Mela, pur amando molto l’Italia. Ci sono stata solo due volte, avevo in programma di andarci la scorsa estate ma l’appuntamento è solo rinviato. I due protagonisti progettano un lungo fine settimana con tanto di elenco di cosa non perdere da Central Park per sedersi insieme su una panchina e ascoltare un audiolibro alla stazione del Path Train, disegnata da Calatrava, dal Brooklyn Bridge al Whitney Museum, da un’idea di Renzo Piano. Per una serie di vicende che non spoileriamo, il viaggio non sarà così come è stato immaginato, ma Arabella avrà la possibilità di alloggiare in alberghi lussuosi “sullo sfondo azzurro di Manhattan, cielo inusuale per la città”, tra cui l’hotel Baccarat proprio di fronte al MoMA, Museum of Modern Art. E non mancano pause golose come al Burger Joint che “si trova all’interno dell’Hotel Parker Meridien, sulla 56esima strada”, un locale molto amato dai newyorkesi che serve uno degli hamburger più buoni. Di certo questo viaggio farà scattare qualcosa in Arabella e tornerà cambiata”.
Alla fine di ogni capitolo scrivi un proverbio o comunque una massima che hai raccolto durante i tuoi innumerevoli viaggi. Puoi dirci a quali di questi sei più legata perché?
“Ce ne sono diversi che mi piacciono e da ragazza con il Sud dentro parlo molto per proverbi. Ne scelgo tre che identificano il mio carattere: uno indiano che dice, ‘Se davanti a te vedi tutto grigio, sposta l’elefante’, a indicare la voglia di non arrendersi mai; un altro siriano ‘i piedi vanno dove va il cuore’, a sottolineare che le mie sono sempre scelte che arrivano prima ‘da dentro’; infine il proverbio namibiano ‘quel che deve accadere accadrà’, perché in fondo bisogna anche essere un po’ fatalisti”.
Ti sei sempre occupata di viaggi. Ma quando torneremo a viaggiare, come lo faremo? Il turismo come cambierà?
“La mia vita è sempre in movimento, come diceva anche Bruce Springsteen e quindi per una ‘nomade’ come me, è davvero una grande fatica stare sempre a casa. Credo che il viaggio sia l’energia per tantissime persone. In primis, spero si possa ricominciare a partire il prima possibile e gli italiani non perdono fiducia nella possibilità di tornare presto a spostarsi e raggiungere mete di villeggiatura, soprattutto nel Belpaese (ben l’80% stando alle rilevazioni dell’Osservatorio sull’Economia del Turismo delle Camere di Commercio di Isnart e Unioncamere). Per i prossimi mesi saranno gettonati ancora i borghi ma anche viaggi lenti immersi nella natura, penso a tour di navigazione lenta della laguna, dove si possono mantenere le distanze. Di certo periodi più brevi. E confido in una sorta di passaporto sanitario che ci permetta di andare più lontano. Al momento, comunque, ci sono isole come le Seychelles che hanno raggiunto il più alto numero di vaccinati e che permettono l’ingresso ai turisti con tampone recente e mantenendo le norme di sicurezza”.
So che hai tanti progetti in cantiere ci puoi anticipare qualcosa del tuo prossimo futuro?
“I lettori mi stanno chiedendo il sequel di Un Giorno sì un altro no che ha, lo anticipiamo, il finale aperto e ho iniziato a lavorarci. Poi mi piace segnalare un progetto a cui tengo molto ed è il Constructive Network, di cui sono co-fondatrice, il primo network italiano di professionisti dell’informazione dedicato alla comunicazione costruttiva e al giornalismo delle soluzioni. Con la fondatrice Assunta Corbo siamo entrati nella Fellowship del Solutions Journalism Network, con sede proprio a New York, motivo per noi di grande orgoglio, che ci sostiene nel lancio di news48.it, il primo magazine di giornalismo costruttivo”.