Una volta, Giorgio Bocca scrisse che gli italiani odiano la loro storia. Non so se sia vero, ma, se non la odiano, almeno amano rimuoverla. Consideriamo il libro-intervista di Alessandro Sallusti & Luca Palamara, intitolato: Il Sistema; che, come promette il sottotitolo, intenderebbe rivelare “la storia segreta della magistratura”.

Per la verità, la magistratura non ha segreti, in Italia. Da molti anni. Per fissare un punto, diciamo da oltre trent’anni. Nel 1987, gli italiani, e non i marziani, andarono a votare per un Referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. C’era stato il caso di Enzo Tortora, travolto sin dal Giugno 1983 dalla micidiale potenza del “potere delle manette”, e la cui trasmissione televisiva, “Portobello”, era seguita da decine di milioni di persone (ancora italiani, e non marziani). Alle urne andarono in circa quaranta milioni, esprimendosi in larghissima maggioranza per il SI.
Qualche anno dopo, venne l’ “Operazione Mani Pulite”. E il connubio patibolare già sperimentato “in vitro” su Tortora, quello della gogna costruita da Pubblici Ministeri e mass media “embedded”, giunse a tale grado di potenza che, semplicemente, nel giro di un anno venne liquidato un intero sistema politico. Ancora, sotto gli occhi degli italiani e non di marziani.
Quindi venne la ventennale stagione dei Grandi Processi: una settantina a Berlusconi, e altri, in minor numero ma di grande efficacia rappresentativa, verso Andreotti, e altre notissime pubbliche personalità. La sintesi delle sintesi, i Processi per la cd- Trattativa Stato-mafia, che hanno visto variamente sfilare “agli atti”, fra più o meno larvate accuse di sordide complicità, quattro ex ministri (Scotti, Martelli, Mannino, Mancino), un ex Presidente della Camera (Violante), un ex Presidente del Senato e Vice-Presidente del CSM (Mancino), tre Presidenti della Repubblica (Scalfaro, Ciampi e Napolitano), e uno, Napolitano, ancora in carica e, per questo, oggetto di una clamorosissima audizione al Quirinale, nonché Generali dei Carabinieri (Subranni e Mori), uno dei quali, Mori, aveva tolto le castagne dal fuoco ai predetti italiani, mettendo nel sacco Totò Riina e i suoi complici (evidentemente, la cosa era dispiaciuta). Questo, solo per una sintetica sinossi della questione “novità”.

Sicché, se per “segreti” il dott. Palamara intende lo strapotere della Magistratura, possiamo dire che si tratta di segreti solo per chi coltiva l’antico costume del “non c’ero, e se c’ero, dormivo”.
L’unica questione di rilievo, qui e oggi, nel 2021, non è “se”, come scrive Palamara, la Magistratura sia “una macchina molto più potente del potere democratico e legittimo”, o “come” e “perché” questo sia successo. Ma perché gli italiani se la raccontano, e fingono, come si dice, di cadere dal pero.
Afferma ancora Palamara, in sintesi, che, “Il centro del Sistema” sono le “correnti”, e che i magistrati italiani usano indagini e processi come “i politici” usano gli appalti: per uso e abuso personale. Si scambiano le carriere, si ricattano, orientano la pubblica opinione, il corso della politica democratica, attraverso tresche mediatiche: “una procura, un giornale amico, un partito che fa da spalla politica”, e il gioco comincia.
E precisa: ma “Palamara non si è svegliato una mattina e ha inventato il sistema delle correnti. Ma ha agito e ha operato facendo accordi per trovare un equilibrio e gestire il potere interno alla magistratura”. E sarebbe questo, il segreto? Perchè, qualcuno può pensare che entro un’istituzione con circa 9000 addetti, arriva uno, e fa tutto da solo? Peraltro, “gli scambi”, postulano banalmente una pluralità più o meno ampia.
Aggiunge il Nostro: “Magistratura democratica è l’embrione del sistema”.
E dove sarebbe la novità, chiedo scusa? Ancora nel 2004, un autorevole magistrato e storico come Romano Canosa (non Berlusconi, per dire) fondatore di questa nota “corrente”, le cui opere sono citate in tutti gli scritti (dai saggi: cospicui quelli dei Professori Carlo Guarneri e Giuseppe Di Federico –questi anche Consigliere del CSM-, agli articoli di giornale) che hanno cercato di occuparsi dell’argomento nei soliti ultimi trent’anni, poteva intitolare un Saggio: Dalla Classe alla Corporazione: e sapendo bene quale profondo significato rivestano tanto la parola “Classe”, quanto la parola “Corporazione”. Le parole conclusive di quell’opera, tenuto conto di una involuzione già in atto dalla fine degli Anni ’80, sono che “essa [MD] potrebbe a buon diritto essere considerata un pericolo per lo stesso sistema democratico-rappresentativo, nel quale la grandissima maggioranza degli italiani aspira a continuare a vivere”. E lasciamo stare tutto quello che, nella predetta stagione di Mani Pulite e dei Grandi Processi (perciò, fino all’altroieri), si documentò su questa “novità”, risalendo, peraltro, fino ai “ruggenti” Anni ’70 del Novecento.
Perciò, l’interesse di questo libro non risiede in chi scrive e nelle sue pretese “novità”. Ci sono, certo, una quantità di nomi, di “situazioni”. Ma senza avere presente tutto l’insieme di minuti meccanismi sottintesi (legislativi, amministrativi e di prassi, relativi alle indagini preliminari, al dibattimento, alla carriera, al quadro politico nella sua sempre mutevole configurazione di soggetto e di atti), mantiene una natura effettivamente criptica, quasi di una “messaggistica esoterica”, rivolta a “chi ha orecchie per intendere”. E ciò che affiora in superficie si risolve in puro pettegolezzo (indipendentemente dai meriti giornalistici di Sallusti, che cerca di fare il suo mestiere): cene, “incontri”, “chat” (e forse questo spiega la larga curiosità suscitata).
L’interesse, semmai, risiede negli italiani che, sulla Magistratura, pretendono di cadere dal pero, come si diceva. Ne basti solo un’altra, che mette in luce la strutturale ambiguità di queste “novità”.
A proposito di una famosa (e ci verrebbe quasi da dubitare che sia tale, a questo punto) strage, quella di Via D’Amelio, oggetto, come si legge in una sentenza “freelance” (nel Processo Borsellino Quater), di “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“, si è appena saputo (archiviazione di poche settimane fa: solo qualche “anomalia”, suvvia!), che tutti poteva riguardare, questo depistaggio, tranne i magistrati della Procura di Caltanissetta del tempo.

Ora, di un’indagine, e di una fonte di prova, specie così delicata come fu Scarantino, i magistrati di una Procura, peraltro a norma di Codice, sono semplicemente i re, gli assoluti e incontrastabili dominatori. Palamara, in questa rassegna dei “segreti” togati italiani, sul punto non dice nulla. Si limita a comunicarci che il dott. Di Matteo (uno dei magistrati che si occuparono delle indagini di cui sopra) era inviso “al sistema delle correnti”, e che, per questo, la sua nomina alla Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria, un paio di anni fa, sarebbe stata impedita.
Fiammetta Borsellino, che di simili nebulose poco si cura, riferendosi a quella archiviazione, ci ha consegnato questa frase, nitida, terribile e diretta: “Faranno i conti con la propria coscienza”.
Ecco il succo della storia. La coscienza: morale, civile degli italiani. Perché nessun magistrato-pentito, o anche non pentito, potrà fare al nostro posto quello che non vogliamo fare: diventare liberi, civili e responsabili. Sulla “macchina molto più potente del potere democratico e legittimo”, “svelata” da Palamara, abbiamo saputo, e finto di non sapere. Visto, e finto di non vedere. Abbiamo recitato una parte, indicibilmente ipocrita e miserabile: dentro e fuori i tribunali.
Fatte le debite proporzioni, come i bravi tedeschi che si raccontavano fosse neve, e non cenere umana, quella che abbondantemente copriva le campagne intorno ai Lager, pretendendo che, dopo, qualcuno gli credesse.
E stiamo continuando: noi, italiani dalla memoria corta e dalla coscienza infelice.